Fortunato Maria Farina

Profilo Biografico

Mons. Fortunato Maria Farina, secondo di nove figli, nasce a Baronissi, Provincia e Arcidiocesi di Salerno, l’8 marzo 1881 dai coniugi Francesco ed Enrichetta Amato, appartenenti all’alta borghesia campana. Nella sua prima infanzia è soprattutto la madre che esercita un particolare influsso sulla sua formazione religiosa.

All’età di sette anni entra nel Convitto Pontano dei Padri Gesuiti a Napoli, per compiere gli studi delle scuole elementari, medie e superiori. In questo ambiente, austero e ricco di spiritualità, cresce e si tempra nella fede, seguendo l’esempio dei suoi educatori, sulla scia di S. Ignazio di Loyola e dei Santi giovani gesuiti, S. Luigi Gonzaga, S. Giovanni Berchmans e S. Stanislao Kostka. Quivi matura la sua vocazione al Sacerdozio.

Ormai già vescovo, così parla della sua esperienza di Dio durante questi anni: “L’amore alla SS. Eucaristia e alla Vergine Madre, per un tratto dell’infinita misericordia del Signore, s’impossessò del mio cuore nel pieno rigoglio della mia adolescenza; per esso intesi fluire nel mio spirito una vita novella e al mio cuore e alla mia mente si dischiusero nuovi orizzonti e gustai gioie che il mondo non intende e non può dare”.

A causa della sua malferma salute non può realizzare il suo sogno di diventare gesuita. Intraprende, allora, il cammino di preparazione al Sacerdozio, sotto la guida del Rev. Sac. Giuseppe Petriccione e di Mons. Gioacchino Brandi, che sarà suo direttore spirituale fino al 13 settembre 1949, giorno della sua morte.

Il Sacerdote

Riceve il Sacro Ordine del Presbiterato nella Basilica Superiore della Chiesa Metropolitana di Salerno il 18 settembre 1904 per le mani di Mons. Luigi Del Forno, Vescovo di Nocera, delegato dal suo Arcivescovo, che in quei giorni era malato. Nel giorno della sua ordinazione sacerdotale così scrive nel suo diario: “Oggi, o mio Gesù, mi avete ricevuto nel novero dei vostri sacerdoti. Quanto grande è il vostro amore per me!!! Io così ingrato sempre a vostro riguardo e Voi così misericordioso e buono verso di me. Vi amo, v’amo assai, o mio amato Signore, e d’ora in poi non avrà altra brama questo mio povero cuore se non di amarvi e di fare quanto è in suo potere affinché siate amato da tutti… Io mi offro a Voi vittima volontaria per la santificazione del clero, per la salvezza delle anime; vittima senza riserve, senza restrizione di sorta; immolatemi e sacrificatemi tutto come a Voi meglio aggrada, come a Voi meglio piace… V’amo assai, o, perlomeno, vorrei sapervi amare assai, o mio dolce Signore Gesù, e vorrei saper condurre a Voi anime senza numero!”

Dopo la sua ordinazione sacerdotale, si adopera per fondare a Salerno l’Unione Apostolica del Clero, edificando col suo esempio tanti sacerdoti, ed inizia un intenso apostolato tra i giovani, con la fondazione, nel 1909, del Circolo Giovanile Cattolico Salernitano, esercitando un grande fascino spirituale su tutti i giovani.

Quando nel 1919, diventato vescovo, li lascerà, le sue parole di commiato saranno come un bilancio del suo apostolato giovanile: “Sono dieci anni, da quando Iddio mi pose per la prima volta in mezzo a voi, piccolo drappello allora di fanciulli e di adolescenti: non eravate che venti; siete oggi una schiera numerosa di baldi giovani di cui molti sono entrati nella vita sociale e qualcuno è già padre di famiglia. Dai registri di frequenza del nostro Circolo risulta che in questo suo primo decennio di vita oltre mille e seicento giovani vi appartennero stabilmente per un periodo più o meno lungo di anni. Vari iscrittisi nel primo anno lo frequentarono durante l’intero decennio e tuttora vi appartengono, e molti qui fra voi sono di questi. Moltissimi altri portati lontani da Salerno dalle vicende della vita vi appartengono sempre col cuore e di giorno in giorno tuttora ricevo lettere, da tanti punti diversi, di giovani che si rallegrano meco avendo appreso la mia elevazione all’episcopato. E nei giorni scorsi che fui a Napoli molti dei vostri antichi compagni io rividi, stabiliti ora in quella città, i quali venivano a congratularsi meco e con affettuoso trasporto e amabilmente rimpiangevano la dolce vita di famiglia vissuta nel nostro Circolo a l’ombra della Croce, durante gli anni del corso dei loro studi secondari”.

In questi primi anni del suo Sacerdozio, svolge anche il ministero di direttore spirituale dei seminaristi presso il Seminario Diocesano della Badia di Cava dei Tirreni e poi nel Seminario Diocesano di Salerno.

Il 12 maggio 1916 è nominato Curato della Parrocchia S. Agostino in Salerno.
Durante la guerra del 1915-18 egli profonde tutte le sue energie per stare vicino ai giovani in partenza per la guerra, ai loro familiari, e ai reduci feriti nel combattimento. Manifesta il suo grande spirito di carità, aprendo un asilo per i figli dei richiamati e un laboratorio per le loro mogli. Anche durante l’epidemia , denominata “spagnola”, nella città di Salerno si distingue per il suo grande spirito di carità.

Il Vescovo

Il 21 giugno 1919, all’età di soli 38 anni, viene nominato da Sua Santità Benedetto XV Vescovo di Troia. Il 10 agosto dello stesso anno è consacrato Vescovo, in Roma, nella Chiesa di S. Carlo ai Catinari dal Card. Gaetano de Lai, Prefetto della Sacra Congregazione Concistoriale. Conconsacranti sono Mons. Carlo Maria Grasso, Arcivescovo Primate di Salerno, e Mons. Giacomo Sinibaldi, Vescovo titolare di Tiberiade. In questo giorno memorabile nel suo Diario si leggono queste note: “Devo emulare S. Carlo nello zelo pastorale; tutto il segreto, però, dei frutti ammirabili del suo zelo è nella sua vita interiore così intensa e nel suo grande spirito di orazione e di mortificazione. Preghiera e penitenza, ecco le armi di cui devo avvalermi, ecco i mezzi soprannaturali coi quali unicamente potrò operare la salvezza e la santificazione del mio popolo”.

Il 30 novembre, I Domenica di Avvento, fa il suo ingresso in Diocesi. I suoi sentimenti di questo giorno sono espressi così nel suo Diario: “… Tutta la festa che mi ha circondato, per grazia di Dio, non mi ha prodotto alcun senso di umano compiacimento; ero tutto compreso dal pensiero della grande responsabilità assunta, dal pensiero delle anime della cui salvezza un giorno avrei dovuto rendere conto a Dio, dalla vanità e dalla fugacità di ogni cosa terrena. Pensavo alla volubilità degli uomini, agli osanna mutatisi nel crucifige pel mio amato Signore. Paratum cor meum Deus… Il Vescovo, poiché ha la pienezza del Sacerdozio, deve essere immagine e copia del divino Maestro, l’eterno Sacerdote”.

A Troia inizia il suo ministero volgendo la sua attenzione verso quella che sarà la sua principale occupazione pastorale: la cura delle vocazioni sacerdotali e la formazione del clero. Restaura a questo scopo il Seminario diocesano, che, sotto la sua guida, diviene presto un centro di spiritualità, alla cui scuola un gran numero di giovani si formano alla vita sacerdotale. In questo intenso clima spirituale egli favorisce l’Unione Apostolica del Clero e getta le basi per l’ideale della vita comune del clero diocesano, che egli poi realizzerà fondando la S. Milizia di Gesù. Per questa Opera precorre i tempi della istituzione degli Istituti Secolari. Anche per le vocazioni missionarie mostra il suo zelo, favorendo la nascita di un Seminario Apostolico per le Missioni Africane dei Padri Comboniani.

Nel Concistoro del 18 dicembre 1924 viene nominato anche Vescovo di Foggia, secondo la formula canonica dell’unione “ad Tui personam”. Questa nomina suscita grande malumore in Troia, tra clero e fedeli. Solo il suo spirito di fede, permeato di pazienza e di umiltà, e la sua fermezza e sincera volontà di obbedienza alla Sede Apostolica, riescono ad appianare difficoltà e contrasti.

In precedenza per ben due volte, in occasione del trasferimento di Mons. Salvatore Bella alla diocesi di Acireale e di Mons. Pietro Pomares all’Arcidiocesi di Bari, Mons. Farina era stato nominato Amministratore apostolico di Foggia. In tutte e due le circostanze il suo zelo pastorale aveva lasciato nella città di Foggia un segno incisivo, che ha – quasi certamente – spinto la S. Sede ad operare quella scelta, che, poi, alla prova dei fatti, risultò molto positiva.

Tra le numerose opere, frutto del suo zelo, sono da ricordare, per la Diocesi di Troia, il restauro della Cattedrale e la costruzione di case canoniche e di asili infantili in diversi centri del Subappennino Dauno. Per la Diocesi di Foggia sono da segnalare il restauro della Cattedrale, l’erezione dell’Opera S. Michele per la gioventù, affidata ai Padri Giuseppini, la costruzione del Piccolo Seminario per le vocazioni sacerdotali dei “Piccoli Amici di Gesù”, il riscatto dal Comune di Foggia del Santuario dell’Incoronata, affidato ai Figli di Don Orione, il ripristino del Monastero delle Monache Redentoriste, richiamate di nuovo a Foggia, la ricostruzione della chiesa S. Maria della Croce, elevata a Parrocchia ed affidata pure ai Figli di don Orione, e la costituzione di altre parrocchie e vicarie curate per la cura pastorale del popolo. Dà sostegno concreto anche a Don Pasquale Uva nella costruzione dell’Ospedale Psichiatrico a Foggia, tanto che il primo nucleo di “ricoverati” della nascente Opera è ospitato nell’Episcopio di Foggia.

La mole di lavoro apostolico, svolto durante il lungo periodo del suo ministero episcopale a Troia e a Foggia, è tanta che non può essere espressa compiutamente in poche righe. Oltre il già citato impegno per la cura delle vocazioni sacerdotali e per la formazione del clero, che ha caratterizzato in modo significativo tutto il suo ministero episcopale, per sommi capi si indicano: un fecondo apostolato tra i laici, che ha saputo coinvolgere nella pastorale diocesana, formandoli con una incisiva e personale direzione spirituale e con altre iniziative (incontri vari, settimane religiose-sociali, missioni al popolo, incremento dell’Azione Cattolica, l’Opera di S. Francesco Regis per la regolarizzazione delle situazioni familiari, l’Opera di S. Pietro Canisio per la preservazione della Fede dagli attacchi del Protestantesimo, ecc.). Da questo suo zelo pastorale è venuto fuori un laicato maturo, che ha saputo far sentire la sua presenza nei problemi sociali del tempo, sia nella lotta saggia e prudente contro il Fascismo, che ha avuto il suo momento più difficile nel 1931, sia, dopo la guerra, nella ricostruzione morale, spirituale e materiale della Capitanata.

La Provvidenza ha permesso che il suo ministero episcopale fosse provato anche dall’evento disastroso della Seconda Guerra Mondiale. Il grande spirito di carità, manifestato già nella Guerra del 1915-18, si esplica con più ardore in questa seconda occasione. Durante i bombardamenti che radono al suolo la città di Foggia, egli, con alcuni sacerdoti e religiosi, è il grande apostolo della carità: assistenza ai moribondi, rimozione dei defunti dalle macerie, organizzazione dei soccorsi agli sfollati. Si interessa attivamente anche di raccogliere informazioni sui prigionieri di guerra e, dopo l’armistizio, di assistere i reduci tramite la Pontificia Opera di Assistenza. Soprattutto decisi ed oculati sono i suoi interventi in tutti i problemi socio-religiosi, sorti subito dopo la guerra.

Negli anni seguenti comincia a farsi insistente nel suo spirito il pensiero della morte. Il 10 aprile 1948 ha un primo serio malore. Si riprende e continua il suo lavoro apostolico, contrassegnato negli ultimi anni da critiche e da contrasti all’interno del presbiterio. A tale proposito si legge nel suo diario: “Fa’ il bene e non curarti se proprio per questo si dice male di te: torna a fare il bene e benedici coloro che ti calunniano. Ma non aspettare che essi si ricredano o ritirino i loro oltraggi. Pati et mori! E’ la nostra ricompensa. La prova della maldicenza è una specie di battesimo del fuoco per il cristiano: non si è certi di essere veramente tali senza averla subita. Fare il bene e lasciare che ci si insulti é atteggiamento veramente regale”.

Nell’ aprile 1950 si ammala gravemente, tanto che si aspetta ormai imminente la sua morte. Ma non è ancora giunta la sua ora. Supera anche questa grave crisi, ma la sua salute ormai è minata. In una pagina del suo diario (2 luglio 1950) si legge: “Sono grato al Signore per il tanto conforto che mi ha dato nelle grandi tribolazioni da lui permesse per il meglio durante il 1949 e questi primi mesi del 1950, tribolazioni delle mie infermità fisiche, tribolazioni da parte degli uomini e specialmente di alcuni che peraltro amavo e voglio amare”. Nei mesi di luglio ed agosto del 1950 vive intense gioie spirituali in varie parrocchie delle due Diocesi per l’ordinazione di alcuni sacerdoti e per il pellegrinaggio a Roma, da lui guidato, in occasione dell’Anno Santo. Tuttavia le sue condizioni di salute lo spingono a chiedere con insistenza alla S. Sede di essere sollevato dalla cura pastorale della diocesi di Troia.

Il 15 maggio 1951 il S. Padre nomina Mons. Giuseppe Amici, Vescovo di Troia e Coadiutore con diritto di successione di Mons. Farina, che conserva l’ufficio di Vescovo di Foggia.

Durante gli ultimi due anni la sua vita è segnata ancora da una sofferenza crescente per le condizioni malferme di salute e per le tensioni nella diocesi. Ha già scritto di suo pugno la rinuncia al governo della diocesi di Foggia, ma per un travaglio interiore, dovuto un po’ alla malattia e un po’ al timore di sottrarsi alla volontà di Dio, non la invia alla S. Sede. Nonostante ciò egli conserva una pace e una trasparenza di fede, che manifesta negli ultimi due avvenimenti pubblici del suo Ministero episcopale: la benedizione della Fontana nel piazzale della Stazione (6 dicembre 1953), simbolo della ricostruzione di Foggia dopo la distruzione della guerra, e la Consacrazione Episcopale di P. Agostino Castrillo, frate minore, parroco di Gesù e Maria in Foggia, nominato Vescovo di S. Marco Argentaro e Bisignano (13 dicembre 1953).

Il 1° febbraio 1954 la S. Sede lo nomina Arcivescovo titolare di Adrianopoli di Onoriade. Gli succede, come Vescovo di Foggia, il suo Coadiutore Mons. Giuseppe Amici. Sarà quest’ultimo atto di sofferta obbedienza alla Chiesa che lo purificherà, preparandolo all’incontro definitivo con Cristo.

Il 20 febbraio 1954 Mons. Farina muore nell’Episcopio di Foggia.

Una straordinaria fioritura spirituale

Mons. Amici, suo successore a Troia e a Foggia, così parla del Ministero episcopale di Mons. Farina: “Nel successivo corso del mio lavoro pastorale… ebbi modo di comprendere e apprezzare la reale portata della sua opera nelle due diocesi. Aveva egli dovunque lasciato tracce profonde e sostanziali del suo passaggio. Le due diocesi, durante il suo episcopato, avevano veramente conosciuta una straordinaria fioritura spirituale.

Il Seminario aveva raggiunto una grande vitalità, le file del Clero erano state rinnovate nella formazione interiore e nell’impegno pastorale, l’organizzazione del laicato aveva fatto passi notevoli e ricchi di promesse, le strutture materiali delle diocesi avevano largamente beneficiato della sua personale munificenza. E, al di sopra di tutto, ciò che più colpiva era il clima spirituale generale che egli era riuscito a creare attorno alla sua persona, che si respirava nelle opere diocesane e che trovava la manifestazione più alta e più tipica nei sacerdoti che erano usciti dalla sua scuola: clima di fervore interiore e di preghiera, di intenso zelo apostolico e di soprannaturalità, di disinteresse e di operosa carità.

Era immediatamente percepibile, in mezzo al Clero e al popolo, un senso di profonda venerazione per Mons. Farina e questa venerazione non venne mai meno, neppure negli ultimi anni, quando le sue condizioni di salute limitarono considerevolmente le sue possibilità di governo pastorale delle diocesi.

L’esclamazione più comune che si poteva cogliere, sulla bocca del popolo, al momento della sua morte, fu un esplicito e commosso riconoscimento della sua santità: Era un santo! Davanti alla sua salma, che bisognò tenere esposta al pubblico per ben tre giorni, prima in Episcopio e poi in Cattedrale, sfilarono ininterrottamente migliaia di persone, di ogni ceto sociale, provenienti anche dall’intera provincia: era facile scorgere quali sentimenti di affetto, di riconoscenza, di venerazione, di sofferenza profonda fossero dietro quell’estremo saluto che si veniva a dare al Pastore che, per tanti anni, aveva costituito un punto di riferimento spirituale non comune per tutta la terra di Capitanata”.

Torna in alto