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Discorsi di Mons. Farina

Discorso di don Fortunato Farina all’inizio delle solenni feste di commemorazioni del IX centenario della nascita di San Gregorio VII (a.1913)

Discorso nel IX centenario della nascita di S. Gregorio VII

Farina D (pagg. 41 -50) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione Mons. Farina. – Cartella: Documenti vari.
* Articolo tratto dal periodico “Il Buon Senso”- Salerno 1913 – (pagg. 5 – 6)
Discorso del S. D. all’inizio delle solenni feste di commemorazioni del IX centenario della nascita di San Gregorio VII (a.1913).

Discorso del Sacerdote Professore D. Fortuna Farina

Mi suona ancora armonioso nell’animo il ricordo di quel che ho visto in questi giorni in Roma. Drappelli innumerevoli di giovani, di diversa lingua, di diverse nazioni, sentirsi tutti fratelli a l’ombra della Croce, e, fieri della loro Fede, incedere pregando nelle maggiori basiliche delle città eterna. Baldi di vita e di giovinezza, – dopo di aver mostrato nei loro concorsi ginnastici, come le pratiche della pietà cristiana, potente coefficiente alla purezza dei costumi, valgono a formare giovani veri e non già vecchi in sembianze di giovani, cui il vizio ha inoculato i germi della morte nel sangue – si prostravano ai piedi del Papa, venerando in lui il Vicario di quel Cristo, che giovane eterno, fu ieri ed è oggi, e sarà nei secoli a venire.

E’ ancora forte e recente in me sì grato ricordo, ed ecco che adesso qui, in questa nostra Salerno, si iniziano solenni feste per commemorare il Nono Centenario della Nascita di S. GregoriaoVII, la cui tomba, invidiataci dall’universalità dei fedeli, costituisce uno dei più preziosi tesori, onde Iddio volle arricchita la città nostra.

Ed è ancora viva sotto le volte di questo tempio l’eco di un popolo intero osannante, nella solenne chiusura della Sacra Missione, a Cristo Gesù vivente nell’Ostia santa, e inneggiante ai trionfi della sua Croce nella celebrazione del Centenario Costantiniano. E’ l’eloquenza dei fatti, che ci parla della perenne giovinezza della Chiesa.

Essa è come un albero meraviglioso, piantato dalla mano dell’Uomo-Dio; passano i secoli, si succedono le età, tutto tramonta e viene distrutto da l’ala del tempo, ed esso sta. Contro quest’albero imperversarono gli elementi, scrosciarono i fulmini, scoppiarono le più terribili tempeste; avrebbe dovuto molte volte soggiacere privo di vegetazione e di vita, ma le tempeste passarono…e l’albero sta. Essa non aveva fatto che portar via le foglie ed i rami disseccati, rimuovere la corteccia decrepita, e l’albero meraviglioso era riapparso ringiovanito, ricco di rami nuovi, più folti e più forti, rivestiti di nuovo verde, abbelliti di nuovi frutti, sotto i raggi fecondatori del Sole Divino. E’ questa, o miei fratelli, la storia della Chiesa! Perennemente combattuta, perennemente attentata nella vita da le forze d’Inferno, congiurate insieme, essa esce dalla lotta purificata, ritemprata a vita novella, balda di novella giovinezza, adorna di nuove prerogative e di novelle conquiste. Tutte le sue lotte ed i suoi dolori non hanno fatto che rialzar la sua gloria: tutti i nemici suoi hanno rinforzato il suo piedistallo. Gl’imperatori di Roma tentarono di soffocarla nel sangue ancora nascente, ed essa, dopo tre secoli di lotta, esce vincitrice da le catacombe, redimita dalle palme dei suoi martiri. Gl’imperatori di Roma sono passati e la Chiesa sta.

Vennero le eresie, si succedettero le une alle altre, pullularono in ogni parte, la assalirono da ogni lato, parvero soffocarla ma essa trionfò su tutte, e incedette per la sua via adorna della dottrina dei suoi padri e dei suoi dottori, irradiando fulgori di luce.

La riforma protestante strappa al suo seno buona parte d’Europa. In questa lotta immane pare che essa debba soccombere, ma Iddio manda un soffio vivicatore e la faccia della terra si rinnovella.

A un tratto come altrettanti prodigi, appariscono in Italia S. Pio V, S. Carlo Borromeo, S. Filippo Neri, S. Girolamo Emiliani, figure di eroi, innanzi ai quali anche colui che dice di non credere, se ha la mente non offuscata da pregiudizi settari, non può non sentire un fremito di ammirazione. E questo soffio di vita passa nella Spagna, e spuntano Ignazio di Loyola, Giovanni della Croce, Giovanni di Dio e Francesco Saverio, che nelle Indie conquista alla Fede e alla Chiesa Cattolica nuove regioni e nuovi regni. Viene nella Francia, nella Bretagna, nella Lorena, ove Francesco Regis, Giovanni Eudes, Pietro Fourier, Cesare di Bus iniziano una nuova era di restaurazione. Ed ora la Chiesa prosegue il suo lavoro di rinnovazione e di espansione mentre l’eresia va perdendo palmo a palmo il terreno conquistato con la violenza. E abbiamo visto ripristinato la gerarchia cattolica in Germania, in Olanda e in Inghilterra, ove, in questi ultimi cento anni, il numero dei cattolici da 120 mila, ascese a 3 milioni e 180 mila, rendendo così possibile il grandioso Congresso Eucaristico tenuto, or son tre anni in Londra. E intanto le ultime statistiche, riguardanti il 1912, stabiliscono a più di 15 milioni il numero dei cattolici agli Stati Uniti, con un aumento di oltre 400 mila in un anno e di 4 milioni in un decennio, mentre a Berlino i cattolici adesso superano i 350 mila, divisi in 40 parrocchie. Oh! Chiesa santa di Dio perennemente giovane, non ostante il volgere dei secoli! Sempre combattuta, perseguitata, oppressa, e sempre fiorente di vita novella! Nulla potettero contro di te, nelle età più vicine e noi, gli acuti astrali di Voltaire, corifeo della scuola atea dagli enciclopedisti di Francia; nulla la manomissione dei tuoi beni, dei tuoi ministri, dei tuoi diritti più sacrosanti, compiuta dalle moderne rivoluzioni. Tu incedi vittoriosa per la tua via, quale forte matrona; il fango di questo misero mondo, le brutture dei tuoi nemici, possono talvolta, per poco, appigliarsi al lembo del tuo maestoso paludamento, ma tu, indisturbata, scuoti il fango dalla tua veste e passi oltre, sempre vincitrice e sempre giovane.

La perenne giovinezza adunque della Chiesa, che nell’età più critica, che abbia attraversato, si manifesta soprattutto in S. Gregorio VII perennemente giovane nello spirito, ecco il soggetto intorno a cui, assai poveramente, vi tratterrò questa sera. Ultimo fra i sacerdoti del venerando clero di questa Archidiocesi, obbligato a parlare, soltanto perché, – posto dalla Provvidenza in mezzo ai giovani – , io avessi tributato a lui, che fu sempre d’invitto spirito giovanile, l’omaggio della gioventù cattolica salernitana, non avrei saputo sotto altro aspetto considerare la sua grande figura.

Egli, che nonostante gli anni e le traversie, ripieno di fortezza, col suo incruento martirio, guidò la Chiesa a nuove vittorie, ritempri e nel cuore dei giovani e nel cuore di noi tutti l’amore santo per essa. E nella lotta, che oggi, di nuovo, le s’ingaggia contro, ci guidi alla sua difesa, renda tetragoni i nostri petti contro il cozzo nemico. E alla luce dei suoi esempii, irradiantesi dalla sua tomba, c’insegni ad affrettarle il trionfo con la nostra immolazione.

La giovinezza si rivela nel pieno rigoglio delle forze, nella esuberanza della vita. Elementi deleterii potranno talvolta attentare a questa vita, ma quando l’organismo è ricco di giovinezza gli sarà facile vincerli e superarli, non così quando è oppresso da l’indebolimento e da l’esaurimento, proprio della vecchiezza. Ogni organismo non può sottrarsi a questo disgregamento, conseguenza inevitabile del tempo; e, come ogni organismo, così ogni istituzione puramente umana.

Gli antichi regni assiro, egizio, babilonese, la repubblica e l’impero romano, il regime feudale, le prime monarchie europee, e così ogni altra umana istituzione, ebbero il loro periodo di grandezza e di pieno rigoglio, poi declinarono e sono passate. Ma eccoci di fronte a un’istituzione, e questa istituzione è la Chiesa Cattolica: essa dalla sua fondazione, che risale a ben venti secoli, ha resistito a tutti gli elementi avversi, e apparisce sempre ricca di nuove energie. Anche quando parve soccombere, risorse d’un tratto trionfatrice, ed ha vissuto malgrado tutto. Ed è proprio questo perenne rifiorire in Lei di energie e di forza nuove, questo suo perenne rigoglio di giovinezza, contro del quale nulla può il volgere dei secoli, né la nequizia degli uomini e le ire d’inferno congiurate insieme, una delle prove più belle e più evidenti della sua divina istituzione. Se non traesse da Gesù Cristo la sua origine, e se Gesù Cristo non fosse Dio, e non la degnasse della sua divina assistenza, ahi quante volte sarebbe infiacchita dal tempo, sopraffatta dalle forze avverse, avrebbe dovuto soccombere, come ogni umana istituzione! Ma essa invece, destituita di aiuti terreni, impigliata in lotte formidabili, da le quali era umanamente impossibile uscir vittoriosa, ci apparisce fiorente di nuova vita, rinvigorita, purificata, santificata dalla lotta: essa quindi non è l’opera dell’uomo, ma l’opera di Dio.

La lotta intanto più formidabile, che abbia sostenuto la Chiesa, una delle prove maggiori della sua divina origine, nel campo della storia, noi l’abbiamo proprio in quell’epoca, che a ragione, per molti rispetti, è detta l’età di ferro. E’ in quella lotta, in quell’ora di prova, che ci si rivela più che mai perennemente ricca di divina giovinezza. E colui, pel quale questa rivelazione si compie, è il grande Ildebrando di Soana, è il nostro S. Gregorio VII.

Siamo in pieno secolo undecimo; geme il popolo cristiano; l’abominazione è penetrata fin nel sacro recinto del santuario; mai fu più desolata la Chiesa. Sì duro stato di cose si è formato attraverso il secolo decimo. L’innovazione dell’imperatore Ottone, che creava i vescovi, conti e grandi feudatarii de l’impero, aveva di conseguenza aperto l’adito a l’ingerenza della potestà laica nella nomina ai benefici ecclesiastici.

Per questa ingerenza – che è sempre iniqua e fonte di gravissimi mali, sotto qualsiasi forma e in qualsiasi età noi la rinveniamo nella storia – i più importanti vescovadi e benefici ecclesiastici erano d’ordinario come messi a l’incanto, e conferiti da l’imperatore al maggiore offerente. La simonia dilaga. Non più l’uomo irreprensibile, sobrio, prudente, casto, modesto, ripieno di carità e di dottrina, quale ce lo descrive S. Paolo, viene prescelto alla dignità di vescovo, ma sono uomini protervi e ambiziosi, avidi di potenza e di comando, totalmente privi di dottrina. Pigliano come insegna il pastorale, ma anziché essere pastori vigilanti sono lupi rapaci. Le ricchezze dei loro benefici in luogo di essere impiegate per l’incremento della religione e a vantaggio del popolo, servono per rifarsi delle ingenti spese sostenute, quando simoniacamente ne ottennero l’investitura. Servono per soddisfare alle loro cupidigie di fasto e di grandezza, per la loro vita lussuriosa. Sì, per la loro vita lussuriosa, e non deve recar maraviglia. Quando per la simonia sono posti sul seggio episcopale uomini mondani, ignari di ogni altra vita a l’infuori di quella del lusso e dei piaceri, si afferma in essi il regno della carne e dei sensi e con la simonia il concubinato desola la Chiesa. Come potevano sì fatti uomini concepire e amare una vita tutta spirituale e angelica, e comprendere la sublimità del consiglio evangelico e del santo precetto della Chiesa?.Essa esige dai suoi ministri il sacrificio d’una famiglia propria, individuale, secondo la carne e il sangue, perché loro unica famiglia sia il popolo dei fedeli, che spiritualmente devono generare e alimentare in Cristo, e alla cui salvezza e santificazione devono con Cristo e per Cristo aver sacrata la loro esistenza.

Non è quindi da maravigliare se in tali contingenze il concubinato dilaga in mezzo al clero, e se quelli, che avrebbero dovuto andare innanzi illuminando la terra coi raggi purissimi d’una vita immacolata, tutta celeste, la ricoprono di fosche tenebre e di profonda caligine. Da Roma avrebbe dovuto venir la luce, ma anche a Roma, in quest’ora di estrema desolazione, sono tenebre fittissime.

La potente famiglia dei conti di Tuscolo aveva cominciato a riguardare il Papato come un’eredità a sé appartenente e cercò di conservarla senza fare nessun conto delle qualità e dei meriti del candidato. Sei Papi aveva già dato alla Chiesa, ed ora il superbo conte Alberico, mediante l’oro largamente profuso, e le sue influenze, dopo un’elezione tumultuosissima pone sul trono pontificio il proprio figliuolo Teofilatto, non ancora ventenne, che prende il nome di Benedetto IX. Di questo giovane, posto simoniacamente sulla cattedra di S. Pietro, da lui tenuta per circa undici anni, scrive l’Hergenrother che “mostrò non poche volte profondo senso pratico, sicchè se avesse avuta una educazione migliore e avesse saputo dominar le sue passioni, forse sarebbe stato uno dei Papi più illustri, che abbia avuto la Chiesa”[1] . Ma dolorosamente non fu così, e a misura che crebbe negli anni, crebbe nei vizi, e lo stesso storico soggiunge che fu il ludibrio insieme e la vergogna della cristianità. S. Pier Damiani lo dice luxuriis inquinatum, e Vittore III inorridisce a dover riferire quanto turpe, quanto cattiva, quanto esecranda sia stata la sua vita post adeptum sacerdotium, e lo annovera tra quei pontefici che lo erano soltanto di nome.[2] Possono forse i pusilli scandalizzarsi di questo, a cui accenno con schietta veridicità storica, e possono gli avversari trarne argomento per impugnare la santità della Chiesa. Ma i vizi dei sacri pastori non sono i vizi delle loro sedi, e la vita talvolta scandalosa di uomini di chiesa (che quasi sempre furono intrusi nel santuario), non menoma punto la santità della Chiesa stessa, anzi costituisce una prova irrefragrabile dell’assistenza divina, che mai non le vien meno. Quando quelli, che dovrebbero essere i naturali difensori, ne sono i dilaniatori, se Essa vive e trionfa, non è questa una prova evidente che è Iddio che l’assiste e la sorregge? E se non ostante la corruzione dei suoi ministri, Essa conserva intatto il sacro deposito della Fede e della Morale, come fu nell’età di cui parliamo, non è questo un segno manifesto che Iddio veglia questo sacro deposito, e non permette che alcuno osi manometterlo? Gli avvenimenti poi, ai quali abbiamo accennato, furono permissione di Dio, perché alla prova si fosse conosciuto quanto importi alla cristianità intera, e al genere umano che la Chiesa romana sia, anche temporalmente, indipendente da ogni famiglia e particolare nazione.[3]

Su Roma adunque, donde doveva venir la luce, più fitte si addensavano le tenebre: la simonia e il concubinato avevano tentato d’insozzare fin la cattedra di S. Pietro, ove l’umana ambizione mediante l’oro e la violenza, aveva insediato un giovinastro indegno e corrotto. Pareva proprio che fosse sonata per la Chiesa l’ora suprema, – ed in fatti fu quella l’ora più esiziale che abbia mai attraversato -, ma le porte de l’inferno, per divina promessa, non potevano prevalere, e Iddio a vendicarla e a liberarla suscita un grande. Egli è il nostro Ildebrando: nato in Soana da un umile artigiano, ancor tenero negli anni fu dal padre condotto in Roma, ove lo protesse l’abate di S. Maria su l’Aventino, presso del quale compì i suoi primi studi. Divenuto giovane, alla vista dei mali che affliggevano la Chiesa, gemendo per la sua libertà oppressa dal potere laico e pei depravati costumi e l’ignoranza della maggior parte dei suoi ministri, si rifugiò nella solitudine del monastero di Cluny. Quivi, ove vigeva la perfetta osservanza della regola di S. Benedetto e il primitivo fervore, egli trae di lontano sitibondo di giustizia e di perfezione, e si fa monaco. Ben conosce che per apprestare valido soccorso alla Chiesa, bisogna cominciare dal santificare se stessi. Sa che alla desolata Sposa del Nazareno l’aiuto deve venire da l’alto, e che questo aiuto le si ottiene dai suoi figli, purificando e santificando il proprio spirito con la macerazione della carne e le sublimi elevazioni della preghiera. E’ nella solitudine che si formano le anime grandi, e che esse attingono forza e ispirazione alle più ardue e nobili imprese: nella solitudine, ove la febbrile e snervante avidità dei sensi e del piacere vien doma, e si afferma la feconda, corroborante attività dello spirito. Perciò, nel momento storico che attraversiamo, vediamo le anime sante, assetate di giustizia, – che non possono mai mancare alla Chiesa, anche nelle età più corrotte – darsi quasi convegno nella solitudine degli eremi e dei monasteri. Sono S. Romualdo, S. Pier Damiani, S. Giovanni Gualberto, S. Anselmo di Aosta, S. Bartolomeo abate di Grottaferrata, S. Nilo di Rossano, e il nostro S. Alfiero, gloria di questa nostra Salerno, che chiamano a raccolta intorno a sé pleiadi di solitari, dalle cui file usciranno più tardi i forti restauratori dello spirito evangelico in mezzo al clero. Essi costituiscono le energie, le forze latenti della Chiesa, per le quali, al momento assegnato, proprio quando pareva soccombere per sempre, risorgerà d’un tratto, e, giovane e forte, ripiglierà il suo cammino fatto di lotte e di trionfi. In quelle fitte tenebre, essi sono come amiche stelle, poste a brillare nel firmamento della Chiesa per rassicurare gli animi affranti, per attestare che la luce non è spenta del tutto. Sono quasi luci minori, nunzie della gran luce, che folgorerà in Roma. E Ildebrando è l’eletto di Dio, designato a raccogliere le sante energie della Chiesa e guidarle alla riscossa del più opprimente servaggio, e opporle a l’iniquità dilagante. Egli è l’astro fulgidissimo suscitato per fugare le tenebre e redimere di luce novella la fronte di Lei; posto nel centro del Medio Evo a dominare con la sua maestà i secoli che lo precedono e quelli che lo seguono.

In Cluny, è tanto l’ardore della sua pietà e la sua prudenza, che quei santi monaci lo eleggono, ancor giovanissimo, a loro priore. Di là la Provvidenza Divina dispone che torni a Roma, ove, appena trentenne, è eletto abate della badia di S. Paolo, fuori le mura. Correvano allora i tristi giorni di Benedetto IX. Ahi quante volte il giovane e santo abate dovette gemere pregando sulla tomba dell’Apostolo delle Genti! Quante volte, emaciato dalle veglie e dal digiuno, dovette supplicarlo a volere intercedere da Dio per la sua Chiesa la sospirata libertà, per cui essa avesse potuto eleggersi veri pastori, quali Egli li aveva descritti nelle sue epistole a Tito ed a Timoteo! Ed ecco che s’inizia l’era della risurrezione. Benedetto IX, persuaso da S. Bartolomeo abate di Grottaferrata, rinunzia al pontificato e si ritira in quel monastero ove poi, – dopo altre vicende – vestì l’abito monacale e morì da penitente.[4] E, non ritenuta legittima la nomina di Silvestro III, fatta alcuni anni innanzi dagli oppositori di Benedetto fu elettro papa Giovanni Graziano, arciprete di Roma, uomo di molte virtù, che prese il nome di Gregorio VI. Egli che ben conosceva la virtù d’Ildebrando, e che, pare, giovanetto, l’avesse avuto suo alunno, lo chiama ora al suo fianco e lo vuole suo consigliere e confidente. E’ questa la prima volta che il nostro eroe ancor giovanissimo, appare a giovare direttamente con la sua virtù e col suo consiglio la travagliata navicella di Pietro. E S. Pier Damiani si allieta per questi eventi, parendogli che finalmente torni a l’arca santa la colomba con il ramoscello d’ulivo.[5]

Segue questa nota:

Non essendo giunto il resto del discorso e dovendosi assolutamente stampare il giornale, il quale non si è pubblicato finora appunto per aspettare questo discorso, si rimandano i lettori, per la continuazione, al prossimo numero.

LA DIREZIONE

  1. Hergenrother- storia della Chiesa, t. III, p. 198

  2. Muratori, Ann. d’Ital. Ann. 1033- e DarrasHist. Gén. de l’Eglise, t. XX, p. 573 e 574.

  3. Rohrbacher – Stor. Un. della Chiesa, t. VII, p. 27

  4. Muratori, Ann. D’It. Ann. 1044

  5. Petr. Damianus, Epist. lib. I, 1.

Parole rivolte ai giovani del Circolo Giovanile Cattolico Salernitano in memoria del Sac. Prof. Matteo De Martino (senza data, ma certamente prima del 1919)

In memoria del Sac. Prof. Matteo De Martino

Scatola XII (pagg. 37-49) -Archivio della Curia Diocesana di Troia – Cartella: Documenti vari II

* Documento autografo del S.D., scritto su 18 facciate di cinque fogli, piegati in due.
Parole rivolte ai giovani del Circolo Giovanile Cattolico Salernitano in memoria del Sac. Prof. Matteo De Martino (senza data, ma certamente prima del 1919, data in cui don Fortunato è stato nominato Vescovo).

Parole rivolte ai giovani del Circolo Giovanile Cattolico Salernitano
in memoria del Sac. Prof. Matteo De Martino

È ben mesta quest’ora pel nostro cuore, o miei cari figliuoli; essa si presenta misteriosa e grave: perché se dinanzi allo spettacolo della morte di un giovane si rimane sempre attoniti come dinanzi ad un mistero, più ascoso mistero ci si presenta la morte del giovane sacerdote, al quale or ora insieme con la partecipazione dei più sublimi misteri della nostra Fede pregammo, che fosse affrettato l’ingresso nella Patria dei Santi. Noi l’amavamo e d’un tratto lo vedemmo rapito alla dolce comunione del nostro affetto. Noi l’amavamo perché nel nostro Circolo avviati insieme dai legami dolcissimi delle più nobili e più sante aspirazioni, noi ci amiamo tutti l’un l’altro intensamente come membri d’una famiglia sola, e l’amore e il vincolo del nostro sodalizio. E per ciò intimamente dolorano in questo momento le anime vostre, dolora la povera anima mia. Voi rimpiangerete chi vi fu sempre con affetto, sarei per dire fraterno, sprone dolce e soave, guida amorosa e sollecita nella era del bene: io rimpiango chi mi fu sempre in mezzo a voi compagno e consigliere fedele, chi con me divise sempre i palpiti e le ansie amorose per il vostro bene.

È sempre vivo nell’animo mio il ricordo di quando lo vedeva modesto e riservato nel tratto, col sorriso sulle labbra aggirarsi in mezzo a voi! Ancor mi suona dolcemente all’orecchio la sua voce, così ricca di lume e di consiglio per la povera anima mia. Voi non potrete mai immaginare, o mie cari figliuoli, quanto io l’amassi, quanto io l’abbia in segreto amaramente pianto!

Il dolore però per noi credenti non è senza conforto: esso è sempre consolato dal vivido raggio della speranza. E questa speranza oh come bella, oh! Quanto fulgida e serena splende in quest’ora all’anima mia. Essa si fonda sulle verità indefettibili della nostra Fede che ci dice che quello che noi piangiamo non è morto ma vive, vive la vita eterna dello spirito, che non può corrompersi né dissolversi con la materia. Come potrebbero puro parto della materia tanta delicatezza di sentimenti; tanta nobile e forte tenacia di volontà, tanta splendida fioritura di virtù per cui tanto amabile ci apparve qua giù nel breve cielo dei suoi anni il nostro carissimo D. Matteo.

Sì non è morto ma vive: noi lo crediamo e non solo noi lo crediamo per Fede, ma noi lo sentiamo nell’intimo dei nostri cuori. Non è morto ma vive, e benché invisibile, noi lo sentiamo aleggiare in mezzo a noi col suo spirito e vegliarci con la sua preghiera = sentiamo la sua voce misteriosamente risuonarci nell’anima e parlarci un linguaggio assai più efficace che la semplice parola, il linguaggio che si sprigiona dagli esempi delle sue virtù: sicché con tutta ragione ben può dirsi di lui mortuus adhuc loquitur, che benché sia scomparso dalla scena di questo mondo ancora egli parla. E la sua voce è là, eco fedele della voce santa di Dio, che nelle ore tristi ed angosciose della vita più forte si fa sentire al nostro spirito, e ci sprona per la via della salute, beati coloro che l’ascoltano: Beati qui audiunt verbum Dei.

A voi figliuoli di famiglia, a voi giovani studenti e studenti cattolici egli parla con la voce efficacissima dei suoi esempii. Esempii che ci appariscono tanto più belli in quanto durante la sua vita furono celati da inalterabile modestia. Il coro unanime di voci che alla sua morte si è levato a lodarlo, mi è parso il compimento della parola dei Libri Santi “Humiliamini igitur sub potenti manu Dei, ut vos exaltet in tempore visitationis (S. Pietro – Ep. Cap. 5).

Fanciulletto ancora nel seno della sua famiglia egli formò la consolazione più pura del cuore dei suoi genitori e sin d’allora fece comparire di sé le più belle speranze. D’ingegno svegliato sin d’allora si dedicò allo studio con tenacia di volontà superiore ai suoi anni. Di temperamento vivo, seppe moderare la sua naturale vivezza e rendersi modello d’ubbidienza ai suoi cari ed ai suoi maestri. Educato dai suoi genitori ai sensi di vera e soda pietà, con fervore ed una ingenuità angelica fece la sua prima comunione. E da quel giorno arrise all’anima sua un sogno lontano, che alla sua giovane fantasia apparve quasi celeste visione: poter essere un giorno sacerdote di Cristo. Aveva appena dodici anni e non poteva più resistere al fascino di questo sogno e non poteva più contenere gli ardori della sua giovane anima. Con viva insistenza ottenne dai suoi di poter vestire l’abito ecclesiastico ed egli trasaliva dalla gioia. V’era però un ostacolo: in quel epoca i Superiori della nostra diocesi, per giusti motivi avevano sospeso la vestizione dei chierici, anche a lui quindi veniva negato l’ambito favore. Egli ne fu inconsolabile, quante lagrime non versò: e fu allora che nella sua ingenua pietà pensò di ricorrere alla Madonna. La festa del Rosario non era lontana: ed egli alla Madonna del Rosario di Pompei cominciò una novena con tutto l’ardore della sua anima: egli voleva ad ogni costo per la sua festa vestir l’abito ecclesiastico. E così fu: i superiori commossi da tanto candore di pietà, vinti dalle sue insistenze gli dettero il bramato consenso: e il giorno della festa del Rosario ai piedi di quest’altare, dalle mani del suo parroco egli vestì l’abito di chierico, la santa divisa dei figliuoli del santuario, che egli portò intemerata sino alla morte. Era il 2 Ottobre 1898, con la festa della Vergine del Rosario ricorreva la festa dei Santi Angeli Custodi. Dovette essere così grato il ricordo che sempre egli serbò di quel giorno, che anche ora per sentimento di gratitudine serbava viva devozione alla Vergine del Rosario e ai Santi Angeli, e questa divozione egli cercava d’insinuare nell’animo che egli coltivava. Era il sabato antecedente alla sua morte, e un giovanetto che aveva assistito alla lezione di catechismo fatta da lui, lezione che egli faceva sempre non alla leggera ma dandovi grande importanza e con grande arte pedagogica e che chiudeva sempre con una breve ma efficace esortazione: io gli domandai. “Che cosa hai imparato oggi dall’esortazione di D. Matteo?”. Ed egli mi rispose: “Ad amare assai assai la Madonna e raccomandarmi mattina e sera al mio Angelo custode”. Beato lui che alla vigilia quasi della sua morte così bene e così salutarmente aveva saputo evangelizzare le anime dei pargoli.

Così egli tornava nel seno della famiglia vestito dell’abito ecclesiastico, raggiante di gioia. Ma ogni gioia qua giù dura poco: questa terra è luogo di prova: e le anime virtuose devono essere plasmate alla scuola del dolore. Dopo dieci mesi appena dall’appagamento dei suoi voti, egli perdette il padre. La sua famiglia perdeva così il suo principale sostegno. Da questa prova dolorosissima l’anima sua ne nasce ritemprata d’una vita superiore alla sua età: ed è allora che la sua figura di figliuolo di famiglia, ci appare circonfusa dai raggi d’una virtù maschia, di cui non è facile rinvenire l’eguale. Egli si propose di divenire il braccio destro della sua vedova madre, di alleviarle in tutti i modi la desolazione della sua vedovanza, di farsi la guida delle sue sorelle e dei suoi fratelli più piccoli. Da quel giorno non ebbe altro cibo che il sacrificio, il dovere fu l’unica sua ispirazione. Con tenacia inaudita si dette agli studii, sicché sempre fu tra i primi, e meritò sempre la dispensa dalle tasse. S’interdisse ogni svago, ogni sollazzo, ed i ritagli del suo tempo li consacrava ad aiutare la madre nel disbrigo dei doveri famigliari e a vegliare al buon andamento del negozio paterno.

Conseguita la licenza ginnasiale a primo scrutinio, cominciò a dare le prime lezioni, ed allora si rivelò in lui quella grande attitudine all’insegnamento, per ciò più tardi le migliori famiglie fecero a gara per affidargli i loro figliuoli. E da quel giorno tutti i frutti del suo nobile lavoro depose sempre nelle mani della madre, e così praticò anche quando fu divenuto sacerdote; ed anche allora come per l’innanzi volle sempre dipendere dalla madre sua come l’ultimo dei suoi figliuoli. Ed essa se lo vide sempre al fianco pieno di tenerezze e di cure amorevoli, i cui particolari, che per brevità sono costretto a tralasciare commuovono sino alle lagrime. Angelo di bontà e di conforto egli vegliò sempre al suo fianco.

Qual meraviglia che ora ella senta tutto il vuoto che ha fatto intorno a lei l’improvvisa scomparsa dell’Angelo suo, e sia umanamente inconsolabile nel suo dolore? Avventurata lei però che a somiglianza della madre di Francesco di Sales ha potuto ripetere di questo suo figliuolo: “Non mi ha dato mai verun disgusto, ma è sempre stato la mia consolazione”.

Oh credete, credete a me, a voi come figliuoli di famiglia il nostro caro D. Matteo, non poteva lasciare esempii più belli. Esempii mirabili di pietà filiale, di amor fraterno, di serietà, di assennatezza, di abnegazione, di sacrificio, che hanno dell’eroico.

Ma egli parla ancora a voi come studenti e studenti cattolici con il nobile coraggio con cui professò sempre la sua fede, parla col soave profumo delle sue virtù, onde non è ancora un anno noi lo salutammo in questo tempio sacerdote secondo Dio e con effusione di riverente affetto baciammo la sua mano, unta il giorno innanzi col crisma sacerdotale.

Già vi ho detto com’egli assiduo allo studio serbò sempre il primato tra i suoi compagni.

Egli fu studente e frequentò le scuole del Regio Liceo Ginnasio Torquato Tasso di questa città, quello stesso che molti di voi frequentano. Ai tempi suoi però non spiravano in quel recinto aure favorevoli pei giovani cattolici = v’era colà qualche professore volterriano, notoriamente settario, che la propaganda settaria aveva portato fin nel sacro recinto della scuola. Molti pur rimanendo nel loro cuore fermi nelle loro convinzioni, si mostravano esteriormente reticenti, e sovente con deplorevole viltà d’animo davano il loro nome alle associazioni nemiche del nome cristiano promosse dal loro maestro. Quale nobile contrasto fu accanto a questi vili la nobile e coraggiosa figura di Matteo De Martino. Egli non si vergognò mai d’entrare in iscuola vestito della divisa di chierico, alla quale giovanetto egli aveva tanto anelato: non esitò mai di professare pubblicamente le sue convinzioni di cattolico. Allo scherno, alla parola mordace, egli ammaestrato alla scuola del Vangelo, rispose sempre con dignitoso silenzio; e contro chi lo derideva sapeva all’uopo vendicarsi prestando qualche servizio. Sì virtuoso contegno, tanta nobile e soave fermezza di carattere, il suo ingegno, il suo primato sulla scolaresca accoppiato alla più grande modestia fecero sì che in breve fosse amato da tutti, e conquidesse financo l’animo del suo maestro settario. Invidiarono allora alla Chiesa una pianta così rigogliosa di speranze e vi fu taluno, che con premure, con ripetute istanze presso la madre, presso il fratello maggiore, tentò di fargli deporre l’abito ecclesiastico: “Vostro figlio, vostro fratello – diceva loro – è tanto buono, è tanto studioso, è d’ingegno così svegliato, peccato che debba vestir di nero. Fategli deporre la sottana, voglio fargli io a mie spese un elegante vestito, voglio regalargli io un bel abito bianco”.

Ma il virtuoso giovane fu irremovibile, egli voleva essere sacerdote di Cristo. Beato lui che per questo santo ideale, seppe sprezzare le vane lusinghe e le misere pompe del mondo! Ora ben altra candida veste, circonfusa di luce immortale gli ha preparato Iddio nel Cielo.

Così egli compiva nobilmente i suoi studii conseguendo nel Luglio del 1906 la licenza liceale a primo scrutinio. Sì rari esempi di tenace amore allo studio, e di nobile attaccamento alla Fede Cattolica, che egli professò sempre a fronte alta, anche in mezzo al campo avverso al cospetto di professori e di compagni increduli vorrei che a caratteri indelebili fossero scolpiti nel vostro animo. Oggi più che mai abbiam bisogno di uomini di carattere e di uomini di studio, che facciano soprattutto rispettare la Fede nei nostri padri con l’elevatezza della loro cultura e con la fortezza del loro animo.

Ed ora finalmente a voi giovani cattolici egli parla col profumo soave delle sue virtù, ond’egli veramente fu sacerdote secondo il cuore di Dio.

Il suo parroco allorquando nell’ottavo giorno dalla sua morte volle suffragare insieme col clero tutto della città suffragarne l’anima con solenne funerale, nel parlare di lui al suo popolo in mezzo alla più viva commozione, disse che egli era stato infaticabile, e gli applicò le parole dell’apostolo S. Paolo: “Impendar et superimpendar etc.”.

E di fatto egli fu giovane di lavoro assiduo ed indefesso: si può dire di lui, senza tema d’esagerare, che non si sia mai concesso un giorno di riposo. Egli potrebbe in qualche modo e in un certo senso ripetere con lo stesso apostolo: “Nullam requiem habuit caro nostra”. Ed è morto sulla breccia, è morto lavorando. Fece sempre il più retto uso del suo tempo, neppure un istante ne sprecò, non conobbe che cosa fossero inutili visite, inutili conversazioni. Lo divise tra l’insegnamento, lo studio, le opere di zelo.

Lo ricordo quando stanco dopo una giornata di lavoro, veniva al nostro oratorio, e voleva ad ogni costo attendere all’insegnamento del catechismo; compito che con viva istanza volle che fosse riserbato a sé. Molte sere prolungandosi le confessioni sino a tarda ora, sapendo quanto avesse lavorato durante il giorno, io lo pregavo a volersi ritirare e non attendermi, ma non vi fu verso che cedesse alle mie istanze, e il più delle volte mi aspettava pregando in silenzio ai piedi dell’immagine della nostra cara Madonna.

E questo lavoro, questo suo zelo era animato unicamente dal sentimento di fare il bene, dal bisogno che sentiva di prestarsi a tutti, di non sapersi ricusare ad alcuno. Egli fu in tutto e sempre disinteressato e generoso: so di giovani ai quali con grave suo sacrifizio fece lezione senza esigere alcun compenso, perché sapeva tribolate le loro famiglie. L’oratorio del nostro Circolo, la nostra Piccola Biblioteca, financo i nostri giuochi conservano ricordi duraturi della sua generosità e del suo zelo. Ed egli talvolta sarebbe andato troppo oltre, ed io mi sentii un dovere di porre in questo un freno al suo zelo, sapendo quali gravi obblighi egli avesse verso la sua famiglia. E a me, che in questo ero costretto ad assumermi il compito di suo moderatore con tutta semplicità rispondeva: “Ma non sono forse anch’io sacerdote e non devo anch’io nel mio poco compiere qualche piccolo sacrificio per opere che sono a vantaggio delle anime?”.

E questo zelo per il bene delle anime egli l’ebbe forte nel suo cuore. Più volte io vidi condotti ai miei piedi giovani ed uomini adulti che o da anni non s’accostavano ai sacramenti o che non ancora avevano fatto la prima comunione. Essi erano stati nel segreto convertiti e catechizzati da lui, ed oh! Come trasaliva di gioia allorquando li vedeva alzarsi dai miei piedi rigenerati dalla confessione, ed egli poteva con le sue mani istesse far loro la comunione, e spezzare ad essi il pane dell’eterna vita.

Mi domandava spesso notizie di libri apologetici e di opuscoli: egli aveva in animo di farne una raccolta nella sua piccola biblioteca privata, per farla servire a vantaggio di qualche giovane, che venisse da lui a prendere lezione, e nel cui animo il raggio della fede si fosse offuscato. L’ultima volta che ci vedemmo appunto si fece dare uno di tali opuscoli, che aveva avuto agio di osservare sul mio tavolino. Egli si era formato il concetto vero del sacerdote cattolico: essere cioè nel silenzio e nel nascondimento la guida, il maestro, il salvatore e il santificatore di anima umile e mansueta sempre, tutto bontà e tutta carità, e non già semplicemente un rigido e rude ministro di culto, un sagace amministratore e rettore di chiesa.

E per ciò che aveva scorto in lui tanto tesoro di sante aspirazioni, da qualche tempo in qua lo veniva sollecitando, affinché si fosse affrettato a fare gli esami per la confessione e ad esercitare talvolta il ministero della predicazione. Predicazione semplice ma sostanziosa, umile ma corretta nella forma che ha per fine di santificare le anime: e non già predicazione vuota e clamorosa – e vanamente declamatoria.

E questo suo zelo egli rese fecondo con una pietà tutta intima, ma vera e soda = pietà tanto più preziosa in quanto profondamente sentita, non era vuota e meramente esteriore , né molto meno ipocrita come talvolta si rinviene in alcuno per nascondere una vita occultamente sozza e corrotta.

E qui a proposito di pietà io sono lieto di dover fare in suo favore una pubblica confessione. Nei primi anni che io lo conobbi, non conoscendolo intimamente, io temetti che la frequenza alle pubbliche scuole, il contatto con giovani troppo mondani, le continue occupazioni, avessero isterilita alquanto nell’animo suo la fonte della pietà. E poiché un sacerdote senza pietà è come il fico del vangelo che non apporta frutti ed è destinato ad essere condannato al fuoco eterno: io volli provarne la vocazione e tentai di distoglierlo dalla via del santuario.

Parlammo insieme su quest’argomento, gliene scrissi più volte: e conservo le sue risposte umili, virtuose, sagge, che m’indussero a tacere. In quest’ultimi anni ammesso alla sua intimità oh come ho avuto a ricredermi! Quale tesoro di vera pietà cristiana ho scoperto nel fondo dell’anima sua. E perciò ora io voleva ad ogni costo che presto fosse confessore e predicatore; ministeri che sarebbe assai meglio non esercitare mai quando manca nel cuore la vera pietà.

In mezzo alle sue molte occupazioni sapeva trovar tempo per non far mancare al suo spirito l’alimento della lettura spirituale: ed aveva abitualmente fra mano l’aureo libro “L’Ambasciatore di Cristo” del Card. Gibbons. Libro che gli era assai caro, dal giorno che chiedendomelo in prestito l’ebbe letto la prima volta. L’ebbe tanto caro che nel giorno della sua prima messa, credetti non potergli fare dono più gradito, che donargliene una copia.

Ricordo quando talvolta uscendo ad ora tarda dall’oratorio del nostro Circolo, egli mi diceva: “ora la nostra parrocchia è chiusa per fare la visita a Gesù Sacramentato, venite adunque con me” ed egli stesso mi conduceva a qualche chiesa che stesse ancora aperta, e chiudevamo così insieme la nostra giornata ai piedi del nostro amato Signore.

Trasaliva dalla più tenera divozione verso la Madonna: “Tutta la mia fiducia è riposta in Lei” l’udii ripetere in varie circostanze. Quando l’anno scorso cominciò i suoi Esercizi Spirituali in apparecchio all’ordinaz. s’affretto a scrivermi: “Altri pochi giorni adunque e sarò sacerdote, pregate, pregate anche voi Iddio e la Vergine Santissima, che mi facciano essere un sacerdote pio e santo”. Bada che questa notizia ebbi lieta ci è giunta oggi nella festa della Madonna, scriveva al suo fratello maggiore nel partecipargli una nuova assai lieta per la sua famiglia.

Anche stanco ed occupatissimo non omise mai la recita del Rosario: ora si può dire la sua preghiera prediletta e ne era l’apostolo. Nei giorni delle vostre gite egli sempre umilmente ma premurosamente mi suggeriva che avessi fatto in modo da non farvi trascurare la recita del rosario: e voleva che avessi stabilito in mezzo a voi l’Apostolato della Preghiera, per fa sì che almeno una posta ne aveste recitato ogni giorno.

L’aneddoto di Pompei – le sue visite a quel santuario. E la divozione alla Regina dei Vergini, quasi per…tal conseguenza avevano prodotto in lui una purezza angelica di vita. Purezza che egli custodiva gelosamente serbando nel suo tratto la più rigorosa modestia ed il più castigato riserbo. Egli sempre mite e buono diveniva di fuoco quando si trattava di questa virtù.

Ancora studente, a un suo compagno che per fare più presto gli proponeva di battere una strada un po’ sospetta, tutto acceso nel volto egli con santa risolutezza diceva: “Noi queste vie non dobbiamo degnarle neppure d’uno sguardo”. Come fu lieto quando vide stabilita in mezzo a voi la Lega per la Purità, come la caldeggiò. E questa purezza egli custodì frequentando con assiduità il sacramento della Penitenza. Come mi era caro il vederlo nei sabati, nel nostro Oratorio, compiuta la lezione di catechismo, inginocchiarsi ai piedi del sacerdote, che da qualche tempo si era scelto per confessare, per fare la sua confessione. Predicando così ai suoi giovanetti alunni assai più efficacemente con l’esempio quella frequenza ai sacramenti, che sempre inculcava loro con la parola. Egli in quei momenti m’appariva imitatore di S. Francesco di Sales, che da vescovo, sovente amava confessarsi in pubblico nella sua cattedrale per esser così d’esempio al suo popolo.

Tanta dovizia di virtù era calata in lui dalla più schietta e sentita umiltà. Mai dal suo labbro una parola che alludesse alla sua persona: sempre rispettoso verso tutti, non l’udii mai mormorare d’alcuno fosse pur menomamente. Nascondeva sempre sotto un fare semplice, bonario, disinvolto, tanti talenti ricevuti da Dio = i quali solo potevano essere scorti dall’occhio vigile e scrutatore di persona che fosse stata ammessa alla sua intimità.

Così ricco di virtù egli ci venne involato. La domenica 9 luglio egli era per l’ultima volta in mezzo a noi. Come eravamo lungi dal supporre che non l’avremmo visto più! Sapendomi fisicamente sofferente e avendo appreso che non facevo in quel giorno ritorno a casa, ma che avrei dovuto proseguire per Eboli, non fu pago se non quando gli ebbi promesso che sarei andato a casa sua per ristorarmi alquanto. Mi colmò di sollecitudini delicate e squisite, e nel congedarmi mi accompagnò sin sulle scale, il suo volto come sempre era pieno di bontà e sorridente.

Passarono tre giorni e la sera del dodici volle come sempre che la famiglia l’avesse atteso per la recita del rosario, che intonò egli stesso, poi ritiratosi in camera col fratello maggiore recitarono insieme le preghiere della sera.

Il domani quando i primi sintomi del terribile male apparvero, suo primo pensiero fu d’avere al suo fianco il sacerdote. Dalla Fede e dai Sacramenti della Chiesa attinse tutto quel coraggio che gli fu necessario per compiere così generosamente nel suo cuore giovanile il più grande olocausto = il sacrificio della vita.

Ed ora, se non è temerità penetrare attraverso le ombre del mistero, perché mai volle Iddio svellere sì presto dal giardino della Chiesa codesta pianta così rigogliosa di speranze?

Forse in tanta tristezza di tempi il mondo preparava ad essa delle gravi insidie, e prima che la corruzione la toccasse volle trapiantarla nel cielo: “Raptus est ne malitia mutaret intellectum eius (Sap. IV, 11) come dicesi del giusto. E volle renderle più splendida l’aureola di gloria riserbata ad essa, con una morte dura, con un sacrifico generosamente compiuto: che a sua volta commuovendo il cuore di tutti gli ha procurato sovrabbondanza di suffragi.

Forse fu novello castigo al popolo che si rende ogni giorno più indegno del ministero del buon sacerdote. Forse fu per dare a voi in questo giovane sacerdote un esempio ed uno scudo di difesa. Un esempio come figliuoli di famiglia, come giovani studenti, come giovani cattolici. Uno scudo di difesa, perché quando più tardi i nemici della Fede, vi denigreranno il sacerdote cattolico e tenteranno di allontanarvi da esso: la figura di questo giovane sacerdote morto nel fiore degli anni dopo aver logorato la sua esistenza nell’adempimento del dovere, dalla coscienza intemerata e pura così ricca di santi ardori, dal cuore così nobile e così desideroso del vostro bene, sarà per voi la più convincente confutazione delle loro calunniose osservazioni. E vi sentirete quindi sempre più legati al sacerdote cattolico, e pel sacerdote a Cristo, di cui egli è la figura vivente qua giù.

Ciò non vieta però che noi sentissimo in questo momento tutto il dolore per la perdita che abbiamo fatto qua già d’un fiore così vago ed olezzante di virtù. Anche Gesù pianse dinanzi la tomba di Lazzaro.

Le nostre lagrime però non siano senza conforto: in alto il nostro sguardo, da quest’altare splenda a noi, quale dolce visione di conforto l’immagine della Madre nostra. Oh! Come ci è caro contemplarla in quest’ora di dolore e di prova. Oh! Come è consolante in quest’ora in cui sentiamo che questa terra è veramente valle di lagrime, come ci è caro levare a lei i nostri clamori: “Exules, filii Hevae, ad te clamamus in hac lacrymarum valle”. Domani con rinnovellati tripudii la Chiesa celebra la memoria del suo trionfo nel Cielo, e come è consolante al nostro cuore contemplare con l’occhio della fede in mezzo al suo corteo trionfale, redimita di gloria immortale l’anima di colui che noi piangiamo qua giù. Non è illusione la nostra: egli amò teneramente la Madonna, egli la glorificò, fu apostolato della sua divozione e la Chiesa pone sul labbro della Madonna queste consolanti promesse: “Io amo coloro che mi amano, io glorifico coloro che mi glorificano, quelli che annunziano le mie misericordie avranno la vita eterna. Diligentes etc.

Oh! Quanta è bella la nostra Fede così ricca di consolazioni ineffabili nelle ore più tristi della vita. Noi vi ringraziamo, o Signore, per tanta sovrabbondanza di conforto che in quest’ora ci largite.

Discorso sull’Opera della Propagazione della Fede (senza data; dal testo si desume data anteriore alla sua nomina a Vescovo)
Discorso sull’Opera della Propagazione della Fede

Predicazione B (pagg. 50 – 52) – Archivio della Curia Diocesana di Troia -Scatola VI bis. – Cartella n. 3
*Scritto autografo del S. D., su 3 facciate di 2 fogli.

Discorso sull’Opera della Propagazione della Fede (Il S. D. spiega il significato e l’importanza dell’Opera della Propagazione della fede).
(senza data, dal testo si desume una data anteriore alla sua nomina di Vescovo).

Discorso sull’Opera della Propagazione della Fede

Che cosa è l’Opera della Propagazione della Fede?

Questa domanda mi sono udito rivolgere da più d’uno quando talvolta in qualche conversazione intima presi a parlarne. E forse questa domanda avrà fatto a se stesso anche qualcuno fra voi quando fu invitato alla festa che oggi con tanta solennità, onorata anche dalla presenza del nostro Arcivescovo, si celebra in questa chiesa.

Estendere la conoscenza della vera religione tra le nazioni infedeli nei due mondi per mezzo di missionari cattolici: strappare all’abisso dell’ignoranza dell’idolatria, della barbaria milioni e milioni di uomini, che pur sono nostri fratelli; ricondurre al materno seno della Chiesa tante anime che l’eresia e lo scisma ne ha strappate: in una parola adoperarsi perché tutti i popoli dell’universo vivano la vera vita del Vangelo e si sentano fratelli a l’ombra amica della Croce, quasi formanti un sol regno, il cui re sia Gesù Cristo, il cui codice la sua Divina Dottrina. Ecco il fine dell’Opera della propagazione della Fede.

Secondo recenti statistiche fra i mille e settecento milioni circa di uomini, che coprono la superficie della terra, quasi mille e trecento milioni, sono, secondo l’espressione della Scrittura, seduti nelle tenebre e nell’ombra della morte, cioè sono fuori della strada della salute, della via che mena al Cielo, perché privi della Fede, ovvero di quell’elemento senza di cui è impossibile piacere a Dio, come scrive l’Apostolo. Provvedere alla salvezza eterna di tanti milioni di uomini: e nel provvedere ad essa, provvedere ancora al loro benessere materiale facendo sì che godano dei benefici effetti della civiltà, di quella civiltà vera, che soltanto dalla croce s’irradia: ecco il fine dell’Opera della Propagazione della Fede.

Come sorse l’Opera della Propagazione della Fede. Quali sono i suoi mezzi?

E’ circa un secolo e due gridi di penuria venuti uno da l’Oriente, l’altro dall’Occidente, uditi da due pie donne in una città di provincia ispirarono quel disegno da cui poi è venuta fuori felicemente ad effetto quest’opera, alla quale ogni cattolico dovrebbe farsi un dovere di appartenere. Mons. Dubourg consacrato vescovo della nuova Orleans – si fermò per qualche tempo in Lione – parla dei bisogni della sua diocesi alla vedova Petit – un franco a l’anno – Paolina Maria Jaricot, figlia d’un negoziante di Lione – il fratello le scrive dal Seminario di S. Sulpizio … il seminario delle missioni estere di Parigi. Le pie lavoratrici di Lione…- un soldo la settimana. La fusione delle due opere. Ebbe il suo statuto. I suoi mezzi = la preghiera e l’elemosina. Suo sviluppo. Sua organizzazione. Suoi progressi. Il grido di desolazione dell’ora presente. Noi dobbiamo ascriverci.

Il fine di quest’opera è rendere paga la sete ardente di Gesù Cristo per la salvezza delle anime- non rimanere impassibili al grido : “ Sitio” che levò da l’alto della Croce.

Ascriverci a quest’opera importa lavorare in un maniera efficace lavorare alla nostra eterna salvezza.

Noi diveniamo benemeriti della civiltà.

L’infanticidio, la schiavitù. Cannibalismo degli antropofagi. Infernale tirannia dei sacrifici umani.

Discorso di addio ai giovani del Circolo Giovanile Cattolico Salernitano (Ottobre 1919)

Discorso di addio ai giovani del Circolo Giovanile Cattolico Salernitano
Scatola IX (pagg. 93 – 98) – Archivio della Curia Diocesana di Troia, Scatola: IX – Documentazioni (V)

*n. 3 foglietti piegati in due, autografi del S. D.,con molte correzioni, contenuti in busta su cui è scritto dalle mani del S. D. il titolo del documento.
Discorso di addio ai giovani del Circolo Giovanile Cattolico Salernitano, in risposta ai festeggiamenti a lui dedicati. (Ottobre 1919)

Discorso di addio ai giovani del Circolo Giovanile Cattolico Salernitano
Ottobre 1919 – Salerno

La musica delicata e gentile con cui voleste festeggiarmi; le vostre parole, le note del vostro canto tradizionale, di cui tante volte echeggiarono le pendici dei nostri colli e le onde del nostro golfo durante le nostre gite e le nostre passeggiate sociali, costituiscono in questo momento nell’intimo dell’animo mio una dolce armonia il cui ricordo mi accompagnerà lontano. E nelle ore più dure di fatica e di travaglio la rimembranza di esso tornerà e sarà al mio spirito dolce ristoro, quasi fragranza di primavera lontana.

Quanti ricordi! Sono dieci anni da quando Iddio mi pose per la prima volta in mezzo a voi, piccolo drappello allora di fanciulli e adolescenti, non eravate che venti: siete oggi una schiera numerosa di baldi giovani, di cui molti già sono entrati nella vita sociale e qualcuno è già padre di famiglia. Dai registri di frequenza del nostro Circolo risulta che in questo suo primo decennio di vita oltre mille e seicento giovani vi appartennero stabilmente per un periodo più o meno lungo di anni. Varii iscrittisi nel primo anno lo frequentarono durante l’intero decennio e tuttora vi appartengono e molti qui fra voi sono di questi. Moltissimi altri portati lontano da Salerno dalle vicende della vita, vi appartengono sempre col cuore, e di giorno tuttora ricevo lettere da tanti punti diversi di giovani che si rallegrano meco avendo appreso la mia elevazione all’episcopato.

E nei giorni scorsi che fui a Napoli molti dei vostri antichi compagni io rividi, stabili ora in quella città, i quali venivano a congratularsi meco e con affettuoso trasporto ricordavano e amabilmente rimpiangevano la dolce vita di famiglia vissuta nel nostro Circolo, a l’ombra de la Croce, durante gli anni del corso dei loro studi secondari.

Quanti dolci rimembranze nelle lettere di quelli, nelle affettuose parole di questi, sui volti, negli sguardi di voi nella gentile festa di oggi. Oh! come vorrei che in quest’ora poteste tutti penetrare nel mio cuore e leggervi quanto vi amai e quanto vi amo. (Non sono facile al pianto eppure piansi in segreto, solo nel nostro piccolo oratorio quando tornata vana ogni mia rinunzia, fu necessario adorare i diurni decreti e cominciare a dispormi alla separazione). La commozione e il pianto di quell’ora gelosamente tenuta occulta in quest’ora non può essere più contenuta onde prorompe e fuori si rivela.

Vi porterò adunque sempre tutti nel cuore e con voi porterò il ricordo dei vostri cari, di quanti mi onorarono della loro amicizia, e hanno voluto in quest’ora onorarmi partecipando alla vostra festa, in mio onore, porterò il ricordo di questo clero, a cui mi sarà sempre gloria l’aver appartenuto, di chi è vostro pastore e fu anche mio pastore e padre, e mi onorò costituendomi vostro direttore e quindi suo rappresentante in mezzo a voi.

E voi avete voluto con il vostro ricco dono che il ricordo di Salerno sensibilmente mi seguisse nella mia vita pastorale e fosse meco nelle più auguste e solenni manifestazioni di essa. Avete voluto donarmi il pastorale, sicchè tutte le volte che lo stringerò nelle solenni funzioni e la mia destra si leverà benedicendo i miei novelli figli, il mio pensiero dovrà correre lontano e benedire ancora Salerno e la sua balda gioventù.

Oh! quanto per questo vi sono grato per il vostro dono. Ed esso con la sua denominazione mi ricorderà che quale vostro direttore ecclesiastico, quale rappresentante del vostro Arcivescovo, di Colui che è il vostro pastore, compii per così dire in qualche modo le sue parti a riguardo delle vostre anime, e in questo decennio, Lui per voi, che costituite secondo la sua espressione la parte prediletta del suo gregge così vasto ed ampio, che Iddio gli ha dato, l’ufficio del buon pastore, del buon pastore di cui parla il Vangelo, che dà la vita per le sue pecorelle e Iddio sa quando volentieri avrei dato e darei la vita per il bene delle anime vostre. E perché il vostro dono sempre più valga a ricordarmi Salerno, Salerno a cui tanti dolci ricordi mi legano, Salerno nel cui maggior tempio, oggi si compiono tre lustri io era insignito del sacerdozio cattolico, oso pregare, Mons. Arcivescovo perché voglia egli stesso benedire quel pastorale sulla tomba di S. Matteo, e poi usarlo nella prima volta nel pontificale solenne che celebrerà domenica prossima nella festa del grande apostolo ed evangelista, nel nostro duomo, consacrato dall’invitto S. Gregorio VII.

Io poi l’userò per la prima volta nel mio ingresso e nel primo pontificale solenne che celebrerò nella mia diocesi. Allora il vostro pastorale mi dirà che in quell’ora solenne partecipa alla mia festa e così ancora di Salerno mi parlerà questa croce. Questa croce che la Chiesa vuole sia sul petto dei suoi vescovi è prescritto che racchiuda e sia impreziosita dalle reliquie dei santi. E i padri benedettini della Badia di Cava ai quali tanti vincoli di affetto mi legano, vollero ad essi riserbato il compito delle sante reliquie. E con la reliquia della santa croce con delicatissimo pensiero vi apposero le reliquie dei loro santi padri fondatori, i quali erano salernitani, insieme con quella di S. Matteo e di S. Gregorio VII, le cui tombe sono la più fulgida gloria di Salerno.

Tutte le volte che noi vescovi indossiamo la nostra croce la Chiesa ci fa ripetere in segreto questa preghiera:

“Degnati o Signore, in virtù di questo santo segno, munito delle reliquie dei tuoi santi, corroborare il mio spirito alle tue sante battaglie: mentre essa risplende sul mio petto continuamente a me ricordi e il trionfo della santa croce e le fulgide vittorie dei tuoi santi e dei tuoi martiri.

Tutte le volte che io ripeterò questa preghiera e bacerò questa croce, resa preziosa dalle reliquie di santi che appartengono a Salerno, intenderò ancora di pregare per voi, o giovani di Salerno, affinché su l’esempio dei vostri santi, sappiate preparare alla civiltà cristiana, alla chiesa di G.C. nuove vittorie e nuovi trionfi.

Ed ora nel separarmi da voi come mio ricordo supremo vi lascio l’amore alla vostra bandiera. Tenetela alta e non vi vergognate di essa. Col suo colore vi ricorda l’augusta regina dei Cieli nel cui nome io vi raccolsi e nel cui amore soltanto voi potrete perseverare e vincere. I bianchi fiori di cui essa si fregia, vi dicono, come per essere degni di Lei abbiate sopra ogni altro amore la purezza dei costumi, è questa condizione necessaria per la vittoria: il mio braccio è forte, perché il mio cuore è puro, ripeteva il Baiardi.

Tra quei fiori, su di un candido nastro è tracciato il vostro programma in quelle tre parole “Fede, Scienza, Patria”.

Amate la vostra Fede e siatene fieri: memori che il Cristianesimo, anche spoglio della sua origine divina, rimane la più grande forza benefica, morale e civilizzatrice che abbia l’umanità.

Amate la scienza, e quindi studiate sempre con ardore, essa rende ragionevole l’ossequio della Fede, tra la Fede e la Scienza vera non vi può essere opposizione: esse sono due raggi che partono dallo stesso fuoco, onde Bacone ripeteva.

Che amiate la Patria non vi è bisogno che io ve lo ripeta: quanto l’amiate lo dicono i vostri compagni caduti, le vostre decorazioni, lo ha detto eloquentemente il vostro Luigino Ruoppolo più che con le parole con le sue ferite. Nell’ufficio di corrispondenza del nostro Circolo si conservano oltre duemila lettere e cartoline, scritte da voi sui campi di battaglia, e circa altrettante ne conservo io a casa dirette a me personalmente. Questo che io voglio che amare il nostro archivio di guerra è tra le prove più convincenti dell’amore con cui amate la patria. Ed esso dice quanto la Fede valga a ritemprare in un cuore giovanile l’amore della Patria, e quanto voi per essa imparaste e sapeste amare l’Italia, questa terra cotanto amata e benedetta da Dio.

Amate adunque la vostra bandiera donata a voi dalle vostre madri e benedetta in Roma, nel maggior tempio della cristianità, sulla tomba dei santi martiri Processo e Martiniano, nell’anno del centenario costantiniano in cui la Chiesa celebrava, il 16 centenario del suo primo trionfo ottenuto con tre secoli di lotta cruenta. Amate la vostra bandiera e ricordate che nel giorno solennissimo della mia consacrazione, quando per la prima volta cinta la mia fronte dell’infula episcopale, dopo la celebrazione dei misteri odierni, levai dal trono la mia destra benedicendo, in quella mia prima benedizione episcopale io compresi quasi in unico amplesso e il capo della madre mia e la vostra bandiera nella quale intesi di benedire voi tutti o giovani di Salerno.

E il domani, io vescovo novello…

La benedizione del Papa…[1]

  1. Sull’immaginetta stampata nel trigesimo della morte di Mons. Farina è riportato uno stralcio del suo discorso, pronunziato per i soci del Circolo Giovanile Cattolico il 25 ottobre 1919, alla vigilia della partenza per la Sede Vescovile di Troia. Non essendo presente nel discorso sopra riportato, lo trascriviamo in questa nota:

    “L’amore alla Santissima Eucarestia e alla Vergine Madre, per un tratto dell’infinita misericordia del Signore, s’impossessò del mio cuore nel pieno rigoglio della mia adolescenza; per esso intesi fruire nel mio spirito una vita novella e al mio cuore e alla mia mente si dischiusero nuovi orizzonti e gustai gioie che il mondo non intende e non può dare: questo amore vi lascio come il mio più caro ricordo.

    Siate umili: ogni bene è da Dio, adoperatevi adunque sempre perché il vostro povero io scompaia e a Lui solo sia dato gloria. Non si distolga mai il vostro sguardo dalla considerazione del vostro nulla e delle vostre passate infedeltà. Frequentate il sacramento della confessione, esso è il primo e il più salutare esercizio d’umiltà ed è la migliore salvaguardia per un’anima, specie nell’età giovanile. Siate docili ed ubbidienti alla voce di chi per voi rappresenta Iddio: l’ubbidienza pronta e generosa è la rivelazione più sicura d’un cuore veramente umile. Venerate e amate sempre nel Papa il Vicario di Gesù Cristo in terra. Siate puri: emuli degli Angeli per la purezza, sappiate mostrare al mondo, mediante la illibatezza dei vostri costumi, la divina bellezza del Cristianesimo” (Cf. Archivio Diocesano di Troia, scatola XII – Cartella: Documenti vari II, pp. 5-7).

Discorso per l’inaugurazione della nuova sede del Piccolo Credito Troiano (1921 - Troia)

Benedizione della nuova sede del Piccolo Credito Troiano

Predicazione A (pagg. 122-123) – Archivio della Curia Diocesana di Troia, Scatola VI A N° 17.

* Foglietto autografo del S. D., scritto fronte retro.

Discorso per l’inaugurazione della nuova sede del Piccolo Credito Troiano.(1921 – Troia).

Benedizione della nuova sede
del Piccolo Credito Troiano – anno 1921

Ogni vero progresso è da Dio: il progresso è cammino in avanti verso la perfezione ed egli è l’Essere che attua in sé in tutta la sua pienezza il concetto della perfezione e con essa s’identifica. Per questo il cristianesimo che è la religione vera che tributa a Lui, l’omaggio che gli è dovuto da l’uomo, il quale in virtù dell’intelligenza è immagine di Dio, interviene con i suoi riti a santificare gli inizi di ogni istituzione che è indice e fattrice di progresso. E per ciò oggi coloro che vollero, per il rifiorire economico di questa cittadina, questo piccolo istituto di credito, a circa due anni dal suo inizio; a l’inaugurazione dei suoi nuovi locali, non mancasse la benedizione di chi in questa diocesi rappresenta la prima autorità spirituale.

Essi hanno voluto, continuando le antiche gloriose tradizioni cristiane di Troia, hanno voluto la benedizione del Vescovo; e la benedizione del Vescovo è augurio ed è monito. E’ l’augurio di vita sempre più prospera e rigogliosa per il giovane istituto che non ancora conta due anni di esistenza e già ha avuto un successo, che le previsioni più rosee non facevano sperare: è monito poi che la ricchezza nella concezione cristiana non è, non può essere fine a se stessa, ma deve essere mezzo per favorire e dare incremento ad ogni istituzione che mira direttamente a l’elevazione morale del popolo. Il progresso vero è il risultato di un duplice fattore, del progresso materiale e del progresso morale, così come l’uomo risulta dall’union e sostanziale dello spirito con la materia. Non si ha vero progresso ove questi due fattori non procedono di pari passo; ove il progresso materiale non mira al progresso morale: ne faremmo la dolorosa esperienza negli anni testè decorsi nei quali vedemmo tutti i ritrovati recenti delle scienze positive servire per ottenere durante la guerra stragi di vite umane più larghe più crudeli. Sicché (termina così)

Schema discorso di chiusura del Convegno Universitario Cattolico

Schema discorso di chiusura del Convegno Universitario Cattolico
Scatola VIII (pag. 196) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola: VIII – Scritti inediti, Conferenze, prediche, discorsi.

*Schema di appunti autografi del S.D., su un foglietto a righi verticali.
Schema di un discorso di chiusura del Convegno Universitario Cattolico. Tenuto a Salerno l’11 e 12 marzo 1923 – chiuso alla Badia di Cava: a) Questa Badia affratella e rinsalda i vincoli della vostra unione; b) Riconfermare qui i vostri propositi nello spirito benedettino dell’ “Ora et labora” ecc.

Schema di discorso di chiusura del Convegno Universitario Cattolico
Tenuto a Salerno l’11 e il 12 Marzo 1923
– chiuso alla Badia di Cava-

1 – Questa Badia ci affratella e rinsalda i vincoli della vostra unione. Fondata da un nobile giovane salernitano, ebbe le sue propaggini in tutto il mezzogiorno d’Italia, sin nella lontana Sicilia. Una Badia benedettina riassume il vostro programma per la Chiesa e per la Patria.

2 – Venite qui a riconfermare i vostri propositi = ora et labora

Ora – i mezzi soprannaturali – S. Benedetto, S. Alberto, S. Tommaso.

3 Labora – a) lo studio – per la difesa della fede. b) la lotta contro la passione, la rinunzia al piacere sensibile.

La santa Eucaristia riassume in sé questa vita di preghiera e d’infaticabile operosità – S. Tommaso D’Aquino – Contardo Ferrini – Toniolo – Ozanam.

Lauda Sion Salvatorem

Lauda ducem et pastorem

S.Francesco di Sales

Discorso rivolto a Vittorio Emanuele III in Cattedrale

Discorso rivolto a Vittorio Emanuele III in Cattedrale
Scatola IX (pag. 33 – 34) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola: IX – Documentazioni (I)

*Scritto autografo del S. D. su tre facciate di un foglietto piegato in due.
Discorso del S. D. per la visita del Re Vittorio Emanuele III alla Cattedrale di Foggia, riaperta dopo il restauro, nel giorno dell’inaugurazione del Monumento ai Caduti. (senza data e senza firma) (La visita di Vittorio Emanuele III nella Cattedrale di Foggia è avvenuta il 4 giugno 1928).

Discorso di Mons. Farina rivolto a Vittorio Emanuele III in Cattedrale
in occasione dell’inaugurazione del Monumento ai Caduti

Maestà,

La solenne commemorazione, che Foggia già fa dei suoi prodi, s’inizia dal tempio santo di Dio, e la fede che li sorresse nel supremo cimento, ora, in questa basilica, (ricca pel cuore di ogni foggiano dei più dolci e santi ricordi) ne consacra la glorificazione.

Il popolo che esultante, vide in questi giorni restaurata e riaperta al culto la sua Cattedrale, è, in questo momento, fiero che tra i primi riti, che in essa si celebrano, sia quello che rende sacre le onoranze pei suoi figli, i quali, soldati e cristiani, tutto sacrificarono per un dovere altamente civile e religioso.

E queste onoranze, o Sire, ricevono dalla vostra augusta presenza il massimo onore, che si possa ambire, perché come Voi, primo soldato d’Italia, sui campi di battaglia, testimoniaste dei nostri soldati l’immolazione gloriosa, così oggi col vostro intervento conferite alla loro memoria altissimo premio. E per ciò nel cuore di tutti noi sono, in quest’ora, fremiti d’indicibile tripudio, che trovano la loro espressione più adeguata nell’inno del ringraziamento, che noi eleviamo a Dio.

Noi lo eleviamo perché il sacrificio dei nostri prodi fu coronato dall’alloro della vittoria e preparò alla nostra patria un’era nuova di feconda operosità e di auspicata grandezza.

Noi lo eleviamo per quella protezione celeste, che di continuo si afferma su di essa, mediante la preservazione e la incolumità della vostra augusta Persona malgrado folli ed inique macchinazioni.

Nelle età, che furono, più volte e re e imperatori varcarono la soglia di questa basilica per venerare la misteriosa effige della Vergine, che essa accoglie, ma mai come nella visita del vostro eletto figliuolo, or sono cinque anni, e come oggi, nella visita della Maestà Vostra, è celebrata in essa l’anima di tutta Foggia.

Le fulgide glorie di cui s’intesse la storia della dinastia sabauda, sono vere e pure glorie italiche. Possano i vincoli, che legano il cuore del popolo alla Vostra Persona sempre più rinsaldarsi sì che al nome di Savoia si elettrizzi sempre lo spirito degli italiani per compiere i doveri, che ci vengono imposti dalla grande vittoria.

Relazione sul tema: “L’Associazione dei Sacerdoti adoratori”

Relazione sul tema: “L’Associazione dei Sacerdoti adoratori”
Scatola VIII (pagg. 225 – 242) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola: VIII – Associazione dei Sacerdoti Adoratori.

*Scritto pubblicato sulla Rivista “Annali dei Sacerdoti Adoratori” Anno XXXV – Luglio-Agosto 1929 – pagg. 207 – 216.
Relazione sul tema “L’Associazione dei Sacerdoti Adoratori”. Il S.D. delinea lo spirito dell’Associaz. dei Sacerdoti Adoratori: fare dell’Eucarestia il centro e il cuore della vita e dell’apostolato sacerdotali. Per alimentare la vita eucaristica l’Associazione propone ai Sacerdoti la pratica dell’ora di adorazione settimanale. (Roma – 2° Congresso Nazionale dei Sacerdoti Adoratori: 10 – 14 giugno 1929).

Relazione di Mons. Farina sul tema “L’Associazione dei Sacerdoti adoratori”

Quando sul cadere del 1° agosto 1868, il Beato Pier Giuliano Eymard, nel silenzio della sua piccola casetta natia, chiudeva gli occhi al crepuscolo della terra, per riaprirli al meriggio eterno del Paradiso, i figli di quell’anima eletta ebbero motivo per temere che con Lui venisse meno una parte sostanziale del suo programma di apostolato Eucaristico: (Ann. Dei Sac. Ador.Giugno 1929 Pag. 169) l’Associazione dei sacerdoti adoratori.

Era stato questo il sogno più radioso di lui, dell’umile e grande Apostolo dell’Eucaristia “Rianimare, nutrire, perfezionare la conoscenza e la devozione eucaristica nei sacerdoti” com’egli stesso scriveva nel 1857, ed aggiungeva : “Comprendo sempre più che questa è opera eccellente e di prima necessità: lavorare sui sacerdoti è lavorare su moltiplicatori.” E il suo grande cuore di Apostolo, fremendo nel contemplare col pensiero l’immenso campo a cui si sarebbe estesa l’opera sua, se fosse riuscito nel suo sogno di conquista dei sacerdoti, usciva in questi accenti, che valgono un programma “La SS. Eucaristia divenga il centro dei loro pensieri, lo scopo delle loro fatiche; avranno in mano il mezzo più efficace per convertire e santificare i popoli ”.

Di questo sogno alla morte del Beato, nulla rimaneva realizzato, fuorché un frammento di quel che doveva essere lo statuto della vagheggiata associazione, e un primo esiguo gruppo di sacerdoti aderenti.

Era come l’abbozzo di un testamento, era come il frammento di una eredità, i quali parevan però destinati a perire.

Ma l’Apostolo dell’Eucaristia, nel cielo non poteva non patrocinare caldamente una causa che gli stava tanto a cuore.

E fu così, che, irrorato dalle preghiere di un tanto protettore, coltivato con amore dai suoi figli, e soprattutto fecondato dal calore divino, che si sprigiona dall’Eucaristia, il grano di senapa, la piccola associazione, che, vivendo ancora il Fondatore, non contava che pochi membri, sebbene fra essi rifulgesse il nome di Giovanni Battista Vianney, il S. Curato D’Ars, si sviluppava nel corso di poco più che sessant’anni, fino a diventare quell’albero rigoglioso, delle cui gigantesche dimensioni è prova eloquentissima questa nostra imponente assemblea.

Ma se dappertutto l’Associazione dei Sacerdoti Adoratori si è sviluppata con un crescendo meraviglioso, in nessun luogo essa è tuttavia così fiorente come in Italia. Già nel 1915 più che un quarto di tutta la grande famiglia era rappresentata dai Sacerdoti Adoratori italiani. Presentemente quasi tutti i Cardinali, Arcivescovi e Vescovi d’Italia, e più della metà del nostro clero italiano, sono iscritti tra i sacerdoti adoratori: il loro numero oggi ascende a 37207.

È questa una prova di più del meraviglioso slancio che anima il clero d’Italia, il quale, più di ogni altro, essendo stretto intorno al centro della Chiesa nostra madre, più di ogni altro sente il benefico influsso dell’irradiazione di luce e di calore che da Esso emana, come da un faro possente, piantato fra le tenebre e i marosi, per guidare i popoli lungo l’unica via del cielo.

In ogni fase della vita di una istituzione il numero dice sempre ben poco; lo spirito, invece, tutto, ma se questo è sempre vero, è assolutamente fuori dubbio quanto il numero è tale da potersi, senza esagerazione, dire imponente. Cosa sarebbe infatti, un grande esercito privo di spirito militare? Sarebbe come un grande ammasso di corpuscoli disgregati, quasi come un grande ammasso, di polvere che una forte ondata di vento spazza via.

Giacchè dunque lo spirito è tutto, e – se anche il numero fosse qualche cosa, nessuna preoccupazione toccherebbe alla nostra associazione da questo lato, poiché solo in Italia essa conta oggi oltre 37 mila ascritti – io toccherò brevemente di quello che costituisce il punto essenziale, cui ora debbono convergere gli sforzi di noi suoi componenti, perché essa sempre meglio risponda al suo fine, che è santificare il sacerdote per mezzo dell’Eucaristia, affinché per mezzo del sacerdote, siano salve e santificate le anime.

Questo è il punto essenziale, cui ogni sacerdote adoratore deve mirare con costante tenacia, di conoscere cioè sempre meglio lo spirito della nostra associazione, e viverlo sempre più intensamente; questa è prima ed essenziale condizione per la vera prosperità dell’Associazione dei Sac. Ador. E’ per ottenere con abbondanza quei frutti, che la Chiesa da essa si ripromette.

E per ciò io credo opportuno delineare brevemente quale sia il suo spirito, quale la maniera pratica di viverlo, affinché ognuno di noi, esaminando se stesso alla luce di quei principii, si ritempri nel proposito di tradurre in atto sempre più perfettamente il magnifico ideale di un vero sacerdote adoratore.

Se il nostro Congresso non ottenesse altro frutto che quello di farci vivere un po’ più profondamente lo spirito della nostra associazione, potremmo ben dire di aver raggiunto lo scopo per cui siamo qui convenuti e il Cuore Divino di Gesù e il Cuore Immacolato della Sua SS. Madre, la prima e la più perfetta adoratrice della Divina Eucaristia, il nostro Beato Fondatore, al certo ne saranno sommamente compiaciuti.

Lo spirito dell’Associazione

Il Beato Eymard aveva, per così dire, il culto del sacerdote, ed era profondamente convinto che lavorare sui sacerdoti è lavorare su moltiplicatori, e per questo, consumato dalle fiamme del suo zelo eucaristico, con accenti infuocati, sovente lo si udiva ripetere: “ Oh! I sacerdoti, i sacerdoti… io lascerei tutto per i sacerdoti”.

E per questo, vagheggiando nella sua mente quell’opera sacerdotale, che fu poi l’Associazione dei Sacerdoti Adoratori, con brevità lapidaria ne definiva lo spirito quando esclamava: “La Santissima Eucaristia diventi il centro dei pensieri dei sacerdoti, lo scopo delle loro fatiche: avranno così in mano il mezzo più efficace per convertire e santificare i popoli”.

Ecco adunque il fine, ecco lo spirito informativo dell’Associazione dei Sacerdoti Adoratori, fare cioè che i sacerdoti, (rimanendo ognuno nelle mansioni del proprio ufficio, assegnatogli dall’ubbidienza), pongano l’Eucaristia al posto che le compete, e riconoscendo in Essa il centro della vita soprannaturale, La costituiscano centro dei loro pensieri, scopo delle loro fatiche, e se ne avvalgano come del mezzo più efficace per rendere feconde quelle opere, cui furono addetti, e che ad essi devono stare sommamente a cuore: sacri ministeri, studio, predicazione, azione cattolica, opere missionarie. L’Eucaristia deve essere il centro a cui tutto deve convergere e da cui, a sua volta, s’irradia ogni energia fecondatrice di qualsiasi opera di bene. Non da altra fonte il sacerdote può sperare il vero successo e la vera fecondità alle opere, cui è chiamato a dedicarsi e alle varie forme di apostolato, cui si consacra. E quanto più noi saremo compenetrati di questa verità e cercheremo di viverla, tanto più la nostra Associazione sarà rigogliosa e prospera.

L’Eucaristia è, infatti il centro della vita sacerdotale, e il sacerdote è, per eccellenza, l’uomo dell’Eucaristia. Noi, in quanto sacerdoti, resi partecipi del Sacerdozio Eterno del Verbo – Umanato, siamo chiamati, per sua infinita degnazione ad essere con Lui sacrificatori e santificatori.

Oltre quello che insegna il Concilio di Trento “Sacrificium et sacerdotium ita Dei ordinatione coniuncta sunt, ut utrumque in omni lege extiterint”; nell’opera trepida e solenne della nostra ordinazione ci fu ripetuto “ Sacerdote enim, oportet offerre” “Accipe potestatem offerre sacrificium Deo, missasque celebrare”. (Pontif. Rom.). E al conferimento di una potestà sublime, fu congiunto anche il mandato dell’apostolato, la missione cioè di salvare e di santificare. Anche a noi fu ripetuto l’”euntes docete” e la Chiesa con ineffabile sollecitudine materna, in quell’opera così solenne, ci ridisse “ Sit doctrina vestra spiritualis medicina populo Dei… Sit odor vitae vestrae delectamentum Ecclesiae Christi, ut praedicatione atque exemplo aedificetis domum, id est familiam Dei” (Pontif. Rom.).

A questo duplice mandato, sacrificare e santificare si riduce il duplice potere di ordine e giurisdizione, il potere sul corpo reale e sul corpo mistico di N. S. Gesù Cristo, che fu a noi conferito in virtù del sacerdozio.

E per questo duplice potere il sacerdote è per eccellenza l’uomo dell’Eucaristia. Di tal verità si fa banditore il Catechismo Tridentino, quando afferma che la potestà sacerdotale in ordine all’Eucaristia non si restringe solo alla consacrazione e all’offerta del S. Sacrificio “Sed ad eam (seu Eucharistiam) accipiendam, hominum animos praeparat et idoneos reddit, et cetera, omnia complectitur quae ad Eucharistiam quovis modo referti possunt”.

E, infatti, se – come insegna S. Tommaso – l’Eucaristia è la perfezione (Summ. Th. III Q. 75, a 1), la consumazione (P. III,Q.63, a 6), il fine (ibi) di tutti gli altri sacramenti, ben a ragione l’Eucaristia può dirsi la perfezione, la consumazione, il fine di tutto il ministero sacerdotale. A che altro è ordinato il sacerdote se non alla dispensazione dei misteri di Dio (I Cor. C. IV) cioè dei Sacramenti?

Dunque il sacerdote altro non è se non l’uomo dell’Eucaristia.

Vestito dei sacri paramenti, non ancora è spuntato il mattino ed egli, già ritto su l’altare, si erge mediatore di pace tra la terra e il cielo, stringendo fra le sue mani l’Ostia Divina. Discende da l’altare, imporporate le labbra del Sangue dell’Agnello (come diceva S. Francesco di Sales) ed eccolo alle opere del ministero. Ma, in fondo a tutte quelle opere, fine, meta, complemento di esse, è sempre l’Eucaristia.

Se leva la mano per battezzare, egli non fa che preparare un’anima all’unione eucaristica con Gesù. Se fa scendere sul capo di un penitente il sacramento del perdono, egli non fa che riaprire quell’animo a l’amplesso eucaristico di Gesù. Se invoca sul cresimando la pienezza dello Spirito Santo, se al letto del moribondo purga l’anima partente dalle reliquie del peccato, con l’estrema unzione, egli non fa che preparare l’anima a una più perfetta unione con Gesù Eucaristia. Se impone le mani per consacrare un sacerdote, non fa che creare un nuovo ministro dell’Eucaristia. Se leva la sua mano per benedire un matrimonio, egli non fa che sanzionare un sacramento grande (Phil. c.V.) perché significa la congiunzione di Cristo con la Chiesa, la cui unità è figurata dal sacramento dell’Eucaristia. (S. Th.1,c.).

Non basta: se il sacerdote predica, se conversa, se studia, se si spende nell’educazione e nella formazione della gioventù o nel Ministero pastorale; se viene in aiuto delle immense schiere, ancora erranti fuori del mistico ovile di Gesù Cristo; in qualunque modo egli esplichi un ministero di apostolato o di carità, sempre e da per tutto il sacerdote è l’uomo dell’Eucaristia, perché tutto il culto, tutta la dottrina, tutta la vita della chiesa, gravita intorno a questo unico Sole, sfolgorante e onnipossente: la Divina Eucaristia.

Orbene essendo tale il Sacerdote, il Beato Eymard aveva colpito nel segno, quando intuiva il bisogno di chiamare per mezzo dell’istituzione della nostra Associazione tutti i sacerdoti a compenetrarsi di così grande e sublime verità e a formare dell’Eucaristia il centro dei loro pensieri, lo scopo delle loro fatiche, l’anima e la vita del loro apostolato.

Ogni pianeta tanto più brilla, quanto è più vicino al suo sole; ogni virtù tanto più splende quanto più prossima al suo principio; ogni fiamma tanto più arde, quanto più è strettamente congiunta col focolaio, che l’alimenta.

L’Eucaristia fonte di grazia santificante

Inoltre noi, in virtù del sacerdozio siamo obbligati alla perfezione ed alla santità. Vi è un pregiudizio assai diffuso e dannoso, che bisogna combattere ad oltranza. Ed è che alla perfezione e alla santità siano tenuti soltanto i religiosi e che alla perfezione del clero secolare sia sufficiente una bontà ordinaria. Funestassimo pregiudizio! Il sacerdote, in quanto tale, sia che venga dalle file del clero regolare, sia che venga da quelle del clero secolare, è tenuto sempre egualmente alla più alta perfezione e santità, perché, come insegna S. Tommaso, per sacrum ordinem aliquis deputatur ad degnissima ministeria, quibus ipsi Cristo servitur in Sacramento altaris; ad quod requiritur major sanctitas interior, quam requirat etiam religionis status”. (Summ. Th. II. A, II. Ae, Q.184,A.).

Obbligati, dunque, alla santità – in virtù della nostra vocazione al sacerdozio – noi abbiamo nell’Eucaristia racchiusi e contenuti, nel grado più perfetto, tutti gli aiuti e tutte le grazie per la nostra santificazione, che sogliamo trovar divisi in tanti altri mezzi: negli amici, nei consiglieri, nei maestri, e nei libri, negli esempi e nelle devozioni tutte del Cristianesimo. Perché in questo Sacramento noi abbiamo la fonte viva di ogni aiuto e di ogni grazia sempre a noi presente e sempre a nostra disposizione.

In esso Gesù ci dona tutto se stesso: la sua umanità sacrosanta con tutti i meriti della sua vita mortale; la sua divinità con tutti i tesori della sua sapienza, potenza e bontà infinite. E non mette altro confine alla nostra brama di arricchirci se non quel confine che vi mettiamo noi stessi con le nostre disposizioni e la nostra capacità. (Borgo, S.J.).

Possiamo dire, quindi, con tutta ragione, che il nostro progredire nella vita della perfezione e della santità e, in conseguenza, la fecondità di tutte le nostre opere di apostolato, qualunque esse siano, è in ragion diretta dell’intensità della vita eucaristica da noi vissuta, e la cura da noi posta nel costituire la SS. Eucaristia centro della nostra vita spirituale e centro vivificatore del nostro apostolato sacerdotale.

L’ora di adorazione – Or bene, ad alimentar questa vita eucaristica, è necessario che abbiamo cura di formare in noi, intorno a queste grandi verità, forti e profonde convinzioni, generatrici di forti e generosi propositi, e a ciò risponde mirabilmente la pratica dell’ora di adorazione, che costituisce uno dei doveri precipui della nostra Associazione.

Anzi potremmo dire che niente è più indicato a polarizzare tutte le nostre attività esteriori ed interiori intorno all’Eucaristia, quanto la pratica dell’ora di adorazione fatta bene, cioè fatta intera, continua, costante, e compiuta a modo di un piccolo ritiro spirituale settimanale ai piedi del Maestro Divino.

Ia. caratteristica: Intera e continua. – e diciamo innanzi tutto che l’ora di adorazione per essere fatta bene deve essere intera e continua. È questo un requisito tanto importante per la fruttuosità dell’ora di adorazione, che la Chiesa lo ha posto come condizione necessaria per l’acquisto delle indulgenze, che vi sono annesse.

Senza dubbio, le visite, anche brevissime, al SS. Sacramento, non sono senza frutto per l’anima che le compie. Gesù Cristo nel Tabernacolo ama vedersi visitato, anche per un sol minuto. Ma per fruire di particolari lumi e ispirazioni, e per fare con profitto il nostro rendiconto spirituale al suo cospetto, è necessario raccoglierci alla sua presenza con la tranquilla posatezza del discepolo, che presta ascolto alle lezioni del maestro, dell’amico, che va presso l’amico, non per una fugace visita di convenienza o per salutarlo soltanto passando, ma per rimanere con lui e godere della sua presenza, della sua conversazione, dei suoi consigli, del suo affetto.

IIa caratteristica – Costante – Però non basta che sia intera e continua l’ora di adorazione. È necessario, ai fini della nostra associazione, che essa sia settimanale, cioè, periodicamente costante.

Infatti un’ora di adorazione è sempre un’eccellente pratica di pietà. Perché questa pratica di pietà possa diventare il centro, possa dare l’intonazione a tutta una vita, è necessario che essa sia ripetuta, continuata periodicamente, costantemente. Ora è proprio questo il fine della nostra associazione: santificare i sacerdoti per mezzo della vita eucaristica, rendere eucaristica la vita di un sacerdote per mezzo della pratica dell’ora di adorazione.

IIIa caratteristica – Meditata. – Altra condizione, perché l’ora di adorazione sia proficua, è che essa sia, almeno nella sua massima parte meditata, e sia per noi come un piccolo ritiro spirituale settimanale. Da quel che abbiamo già detto discende spontaneamente questo terzo carattere, che noi abbiamo assegnato all’ora di adorazione.

Un’ora di adorazione ripiena di pratiche esteriori: recita di orazioni vocali, canti, letture fatte rapidamente e quindi con poca o niuna riflessione, al certo non fatta per dare un’intonazione eucaristica a tutto lo svolgersi della nostra vita sacerdotale durante una settimana; né, molto meno, per operare la riforma e il perfezionamento della nostra vita sacerdotale, mediante propositi particolari e pratici, formulati con fermezza e generosità, fecondati dalla preghiera confidente, intima, fervorosa.

Secondo lo spirito della nostra associazione, l’ora di adorazione dovrebbe essere la sorgente di un sempre rinnovato fervore nella vita del sacerdote, il rifornimento di quel raccoglimento, che le occupazioni esteriori tendono continuamente ad eliminare; la rassegna periodica delle nostre debolezze, delle nostre infedeltà piccole e grandi, per confessarle e umilmente ai piedi del Maestro ed ottenerne in cambio grazia novella per combattere, per resistere, per svellere e sradicare, per rimarginare e sanare certe intime ferite, che altrimenti potrebbero divenire purulenti e cancrenose…

Dunque la nostra ora di adorazione dovrebbe essere, principalmente, un’ora di meditazione, compiuta, con quel metodo che ci riesce più acconcio e più profittevole, seguendo gli ammaestramenti di Sant’Ignazio do Loyola, illustrati da S. Francesco di Sales e poi dallo stesso nostro Beato Fondatore, che li compendiò e li ridusse al metodo dei quattro fini del sacrificio eucaristico.

Per evitare che poi le nostre risoluzioni s’incalzino senz’ordine, disfacendosi l’una con l’altra, ad ottener la quale sarebbe assai desiderabile che dei lumi avuti e dei propositi formulati pigliassimo, almeno talvolta nota in iscritto nel nostro taccuino spirituale.

Più che qualsiasi manuale di adorazione ci riuscirà sommamente profittevole rileggere ai piedi di Gesù i lumi ed i propositi dei nostri Ritiri Spirituali, delle ore silenti passate in dolce ed intima comunione col nostro amato Signore e Maestro. E poi… esaminarci… ringraziare, domandar perdono, proporre di nuovo, pregare…

Oh! Un Sacerdote che prega, o miei fratelli, un ministro di Dio che tratta in udienza privata col suo Re gli interessi delle anime, delle opere a cui si dedica, dell’apostolato a cui è votato!… non avrà egli con se una forza irresistibile per convertire, per salvare, per santificare? Ah! Come s’ingannano coloro che credono di far molto per mezzo della loro attività naturale, del loro saper fare, per mezzo, insomma, delle gambe, delle braccia, della lingua, senza spirito di orazione! (Schryvers). Nella Chiesa l’azione è necessaria, ma è molto più necessaria la preghiera (Bernadot).

Or bene l’ora settimanale di adorazione fatta bene, ci fa adempiere al grande dovere della preghiera, non solo perché essa è per se stessa un’ora di orazione compiuta nella forma più nobile e più elevata, ma anche perché da essa prenderà luce e calore la nostra meditazione quotidiana quindi di conseguenza la preghiera pubblica, quella preghiera liturgica cioè, cui noi sacerdoti siamo votati in virtù del nostro sacro carattere: la S. Messa, io dico, e l’Ufficio Divino.

Il più delle volte la nostra meditazione quotidiana è arida, perché il nostro cuore è dissipato. Ma quando, mediante l’ora di adorazione, noi faremo settimana per settimana la nostra rivista, il nostro bilancio spirituale, allora la meditazione non diventa se non la ripresa, la continuazione, il complemento dell’adorazione. E questa luce, questo calore si trasfondono necessariamente nelle sublimi e grandi azioni sacerdotali tutte proprie del sacerdote: la celebrazione del S. Sacrificio, la recita dell’Ufficio Divino, l’amministrazione dei Sacramenti, la predicazione.

Con qual devozione e con quanto fervore non celebrerà la Santa Messa un sacerdote che sarà solito a far bene l’ora di adorazione settimanale?!

Non c’è dubbio: se la Messa da tanti si strapazza, ciò è dovuto quasi sempre al fatto che il celebrante non ha vivo e profondo il sentimento della grandezza dei misteri che si compiono sotto i suoi occhi e per le sue mani. Ma un sacerdote abituato a meditare settimanalmente la sublimità del Mistero Eucaristico ai piedi del Tabernacolo, quando investito di una potestà tutta divina, divenuto alter Christus, pronunzierà le parole, che fanno presente sull’altare un Dio Umanato, quando lo stringerà fra le sue mani per levarlo Ostia di propiziazione fra la terra e il cielo, quando lo riceve nel suo petto per nutrirsi della sua vita divina, quando lo dispensa ai fedeli, egli non potrà non esser dominato e pervaso dalla sublimità dell’azione che compie.

E il ringraziamento?! Oh! Il ringraziamento di un sacerdote che ha celebrato bene, come sarà fervoroso e raccolto! Come riuscirà salutare e proficuo per l’anima sua, per le anime che gli sono confidate!…

E poi quando prenderà in mano il breviario, il libro ufficiale della preghiera, per adempiere al sacrificio della lode, sacrificium laudis, quale sarà del pari il suo fervore, la sua attenzione, la sua fede nella efficacia della recita dell’Ufficio Divino! Il sacerdote fedele all’ora di adorazione non saprà trovare luogo più acconcio alla recita del suo breviario che l’altare del SS. Sacramento, ove, se non potrà recarsi realmente di persona, si recherà indubbiamente in ispirito, per ivi unir la sua lode alla lode incessante degli angeli adoranti la più arcana e meravigliosa manifestazione dell’amore divino, per cui il mistico pane, del Cielo, si fa cibo di noi viatori: “Ecce Panis Angelorum factus cibus viatorum”.

E così al confessionale il sacerdote adoratore, quando sarà stato fedele alla sua ora di adorazione, sarà tutto consumato da un sol grande desiderio: salvare e santificare le anime: egli non sarà né silenzioso né loquace, ma la sua parola, misurata, ben ponderata, improntata a vera carità, toccherà, penetrerà nell’intimo delle coscienze, per commuovere, illuminare, rassicurare, convertire, infiammare.

Eccolo infine sul pulpito, comunicare ai suoi uditori i palpiti, che egli stesso ha provato, meditando ai piedi del Tabernacolo, eccolo trasfondere nelle anime, quello che già soprannaturalmente fu trasfuso nella sua. S. Leonardo da Porto Maurizio e S. Alfonso dei Liguori, i due grandi apostoli dell’Italia nel secolo XVIII, furono concordi nell’affermare, quello che già S. Francesco di Sales aveva asserito con il suo esempio, che le prediche più efficaci e più feconde di frutti di conversione e di santificazione, sono quelle che si preparano in ginocchio, cioè pregando e pregando innanzi al SS. Sacramento. Il Sacerdote adoratore, che vive fedele agli impegni assunti, farà con la sua predicazione la consolante constatazione pratica di questa grande verità.

E come Gian Giacomo Olier, l’insigne fondatore del Seminario di S. Sulpizio in Parigi, come l’umile Curato d’Ars, come S. Filippo Neri, egli troverà nelle soste prolungate dinanzi al tabernacolo il segreto per convertire i cuori induriti, che nulla era valso a commuovere, per trasformare anime infiacchite nel vizio, prive di ogni energia vitale, e farne nuove reclute per la santa milizia del Cristo, e dare in esse nuovi apostoli alla Chiesa e al mondo.

È vero tutto questo, mi si obietterà, è bello, è seducente, ma in pratica, in una vita di lavoro incessante, nel continuo incalzarsi delle occupazioni molteplici e svariate della vita dei ministeri, tra affari per natura, così opposti e talvolta fatti proprio si direbbe, per dissipare, e che intanto incombono inesorabilmente su chi dovette sobbarcarsi al governo pastorale, come fare per trovare il tempo anche per quest’ora settimanale di adorazione, fatta bene, cioè meditando e trattenendosi in intimo colloquio col Signore ai piedi del S. Tabernacolo? Eppure quanto più ci troviamo travolti nel vortice delle opere esteriori, tanto più dobbiamo imporci il dovere di sostare di tempo in tempo, per raccoglierci ai piedi di Gesù, e rinvigorire il nostro spirito e le nostre forze interiori, che si vanno esaurendo, senza quasi avvedersene. Anche a noi come già ai suoi Apostoli il Maestro Divino, ripete, venite mecum in desertum locum et quiescite pusillum (Marc. 6,31). Le anime nostre han bisogno di questo riposo soprannaturale e se noi non ci diamo pensiero di apprestarlo ad esse, presto o tardi finiranno per soccombere e il nostro apostolato fallirà. È pur troppo vero ciò che scrive il Bernardot, che ogni apostolato che non ha la sua sorgente in un’abbondante vita interiore è infecondo e può anche divenire nocivo a colui che l’esercita. Ogni vita attiva, che si svolge a scapito della vita interiore va contro la volontà di Dio.

Costerà, è vero, alla nostra natura raccoglierci, dopo esserci, con tanta profusione, donati al di fuori; dovremo imporci dei sacrifici per trovare il tempo per attendere alla nostra ora di adorazione; occorrerà privarci della conversazione di un amico; di lesinare sulle ore assegnate al nostro riposo, di rinunziare ad un onesto sollievo… Poco importa, dobbiamo essere generosi, si tratta della nostra santificazione, si tratta del bene della nostra anima e del bene di quelle anime, a prò delle quali noi profondiamo tutti i tesori della nostra attività, i quali rischiano di andar perduti, se non c’imponiamo quest’ultimo sacrificio.

Avanti, adunque, con generosità! La nostra santificazione, la santificazione delle anime, cui ci siamo votati col nostro apostolato, sono un’opera grande, e S. Caterina da Siena nella sua lettera XVIII ci ricorda che dal principio del mondo sino alla fine Nostro Signore ha voluto e vorrà che nulla di grande si compia senza molto soffrire.

Non dobbiamo mai dimenticare che non si è veri sacerdoti senza essere uomini d’immolazione.

Ma poi vi è un segreto per renderci facile ed agevole questa vita eucaristica, che a prima vista sembra richiedere sforzi e sacrifici non lievi da chi è quasi interamente intento ad opere esteriori, e il segreto è di passionari per l’Eucaristia:“ Amor onus non sentit, labores non reputat… de impossibilitate non causatur quia cuncta sibi posse et licere arbitratur.(De Im. Chr.L.III,c.5)”. o sante fiamme, che consumaste il cuore del nostro Beato Fondatore, appigliatevi al nostro!

Ma per poter suscitare in noi questo mistico incendio, egli ci addita Colei per la quale unicamente si dona alle anime, ci rimena alla Vergine Immacolata, Mediatrice Universale di tutte le grazie, e quindi sopra di tutte quelle che è massima grazia, cui dobbiamo anelare: un amore forte e generoso, strapotente per Gesù Cristo.

La formazione eucaristica è opera di Maria, e per ciò egli ci ripete nella nostra regola “itius et suavius itur ad Jesum per dulcissimam eius Matrem ac nostram”.

Ci assegna la Vergine SS. come modello e come patrona. Beatissima Virgo Maria in Coenaculo adorans sit eorum (seu sacerdotum adoratorum) vitae regula et zeli gratia. E noi ubbidienti alla sua voce, sulle orme dei Santi, cresciamo nella devozione a Maria per crescere nell’amore per Gesù. Guidati e ammaestrati da Maria, compiamo in sua compagnia le nostre ore di adorazione, e sentiremo allora crescere in noi la mistica fiamma dell’amore eucaristico e sentiremo il bisogno di comunicarla ad altri cuori sacerdotali, e l’Associazione dei Sacerdoti Adoratori in Italia, già prospera e rigogliosa per il numero dei suoi ascritti, prospererà ancora più per il loro fervore e per l’intensificarsi della loro vita eucaristica..

Schema commemorazione di Mons. Emilio Giacomo Cavalieri

Schema commemorazione di Mons. Emilio Giacomo Cavalieri
Predicazione B (pag. 34) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 2

*Scritto autografo del S. D., su una sola facciata di un foglietto.
Commemorazione di Mons. Giacomo Cavalieri (Breve e schematica biografia di Mons. Cavalieri).

(Troia, 5 dicembre 1929)

Commemorazione di Mons. Emilio Giacomo Cavalieri
– Troia, 5 Dic. 1929 –

1 – Il quadro della Madonna della Speranza fatto dipingere dal Ven. Giantommaso Eustachio nobile cavaliere di Troia, poi Filippino in Napoli, indi Vescovo di Larino.

2 – Nato in Napoli nel 1663 (24 Luglio) da Federico e Elena D’Avenia, che lo lasciò orfano in giovane età.

Lo battezzò nella parrocchia di San Giovanni a Porta il 26 Luglio – il Sacerdote D. Pietro Giacomo Salerno di Biccari.

3– Giovanissimo riesce mirabilmente nelle lettere e più ancora nella Giurisprudenza, il padre vagheggia farne un magistrato.

4– A sedici anni assume il governo degli affari domestici, e per ciò lascia lo studio del canto e della musica. Il tempo che gli supera lo dedica allo studio del greco, della matematica e di altre discipline. Largheggia con i poveri. Santifica i fratelli minori.

5- Sette ore di studio ogni giorno – Innocenzo XII e il Card. Cantelmo. La biblioteca. Il collegio di San Gaetano. 40 mila scudi. Riformatore del clero, dei Monasteri.

Discorso in risposta al Podestà di Troia, che domanda di consacrare la città alla Beatissima Vergine Maria

Discorso in risposta al Podestà di Troia, che domanda di consacrare la città alla Beatissima Vergine Maria

Fiorita d’anime (pagg. 5-16) – FIORITA D’ANIME. Foggia, Gennaio 1930 – Anno VII – N. Straordinario, che riferisce sulla celebrazione del 25° di Sacerdozio e 10° di Episcopato di Mons. Farina con la presenza del Card. Ascalesi, Arcivescovo di Napoli, nella Cattedrale di Troia.

Viene qui riportato:

Il discorso di Mons. Farina in risposta al Podestà di Troia, che domanda al Vescovo di consacrare la città alla Beatissima Vergine Maria (8 dicembre 1929).

«Signor Podestà,

la Sua petizione di consacrare questa città alla S.S. Vergine è per il mio cuore di Pastore il più gradito dono che mi si possa fare in queste mie feste giubilari.

A Maria, infatti, consacrai questo gregge nel segreto del mio cuore nell’atto stesso che l’ubbidienza m’imponeva di sobbarcarmi al governo di questa storica Diocesi. E tale consacrazione, il giorno stesso in cui feci il mio ingresso in questa città, rinnovai con cuore pieno di fiducia, qui, in questa Cattedrale, ai piedi dell’Altare della Madonna, al quale mi prostrai dopo aver visitato quello del S.S. Sacramento.

Non può adunque che riuscirmi sommamente gradita la petizione di questo popolo, solennemente espressami per mezzo di lei che lo rappresenta, poiché essa risponde appieno al mio più caro e antico desiderio in perfetta armonia, com’Ella ha ben ricordato, con le nobili tradizioni religiose di questa storica cittadina. Desiderio che oggi si realizza magnificamente, poiché a rendere oltremodo solenne e ricordevole quest’atto, un Principe di Santa Chiesa, l’Em.mo Card. Alessio Ascalesi, così teneramente e profondamente devoto della Madonna, e per di più Arcivescovo di una Città che ben a ragione si vanta di essere la città dell’Immacolata, si è degnato onorarlo di sua presenza»

(Indi, rivolto al popolo, Mons. Farina prosegue):

«Voi, o figlioli miei dilettissimi, reputatevi sommamente avventurati di essere testimoni di quest’ora e di quest’atto, che in perpetuo resterà memorabile nei fasti della devozione di questa nostra città alla Madonna. Ricordatevi sempre che con la città, ogni famiglia, ogni persona si consacra per sempre alla Vergine Benedetta. A ognuno di voi adunque tocca l’obbligo di mostrare praticamente che appartiene ad una città che è tutta di Maria.

Per la qual cosa, io vi esorto, o miei figliuoli, a questi due impegni: di onorare il nome della Madonna, attaccando alle porte delle vostre case una targa con qualche motto che suoni lode al Nome di Dio e al Nome di Maria, e, più ancora, imponendo ai vostri figliuoli, d’oggi in avanti, come secondo nome, qualora non venga loro imposto come primo, il nome benedetto di Maria, sicché questo nome venerato sia quasi come un contrassegno che si è figli di quell’avventurata città. E poi di adoperarvi con tutte le forze per la glorificazione sempre maggiore della nostra augusta Madre e Regina, e ciò cominceremo a fare promuovendo una petizione sottoscritta da tutti i cittadini di Troia al Santo Padre per affrettare l’ora della definizione dommatica dell’Assunzione della Beata Vergine in corpo ed anima al Cielo, mistero questo sommamente onorato dai nostri Padri, al quale vollero dedicato e consacrato il maggior tempio di questa Città e Diocesi, la nostra artistica Cattedrale.

Per fare in fine che la memoria di questo giorno non perisca giammai nei secoli avvenire, stabilisco e decreto che ogni anno, il dì dell’Assunzione di Maria e il dì dell’Immacolata si rinnovi l’atto di consacrazione, che ora io, vostro Pastore, leggerò e voi ratificherete nel vostro cuore».

Rapporto tra Azione Cattolico e Terz’Ordine Francescano

Rapporto tra Azione Cattolico e Terz’Ordine Francescano ’

Scatola XII (pagg. 18-36) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Cartella: Documenti vari II
*Documento, dattiloscritto su tredici facciate di fogli (formato A4), più un’altra facciata di correzioni ed aggiunte.
Relazione, tenuta dal S. D. al Primo Convegno Provinciale del Terz’Ordine dei Cappuccini a Foggia, sul rapporto tra Azione Cattolica e Terz’Ordine Francescano.
(senza data, ma presumibilmente: a. 1934)

SPIRITO INFORMATIVO DEL TERZ’ORDINE FRANCESCANO
E I SUOI INTIMI RAPPORTI CON L’AZIONE CATTOLICA
DAL PAPA VOLUTA E COMANDATA

Per poter con chiarezza scorgere gl’intimi rapporti, che intercorrono tra Terz’ordine Francescano (potremmo anche dire ogni Terz’ordine Religioso in genere) e l’Azione Cattolica = forma modernissima di un antichissimo organismo della Chiesa di Gesù Cristo = è necessario fissar con precisione i caratteri specifici che costituiscono l’essenza di ciascuna di queste due istituzioni.

L’Azione Cattolica: cos’è.

L’Azione Cattolica ha ricevuto la sua definizione classica dal labbro stesso del Vicario di Gesù Cristo, il Santo Padre Pio XI.

Essa è “la collaborazione del laicato all’apostolato gerarchico della Chiesa”.

Intesa in questo senso così ampio e generico, e prescindendo dalle forme più o meno diverse assunte nei vari secoli e nelle mutevoli circostanze della storia, l’Azione Cattolica risale direttamente fino ai tempi apostolici, anzi fino ai giorni della vita mortale del Salvatore.

È infatti nient’altro che un manipolo di collaboratori e di collaboratrici alla divina opera dell’evangelizzazione, quel gruppo di fedeli, non insigniti del Sacerdozio né investiti di un mandato ufficiale, in quel pusillus grex, che fu l’embrione della Chiesa, i quali accompagnano Gesù e il Collegio Apostolico, li assistono, li ospitano, li agevolano in mille modi, tra le tempestose vicende della sua vita pubblica.

Accanto alla gigantesca figura di S. Paolo e nell’orbita del suo universale apostolato, si affolla tutta una gloriosa schiera di collaboratori e di collaboratrici, cui egli, non di rado, fa cenno nelle sue epistole, ringraziandoli, salutandoli, incoraggiandoli, facendo sentire quanto egli dall’opera loro abbia ricavato, e quanto su tale opera conti ancora.

E dal Vangelo, dalle Epistole, dalle gloriose pagine della storia di tutti i secoli cristiani, l’Azione Cattolica giunge fino a noi come un organo sempre operante in seno alla Chiesa di Gesù Cristo.

Questa constatazione prova due cose:

  1. L’Istituzione, potremmo dire, in certo modo “divina” dell’Azione Cattolica, e quindi la sua nobiltà ed antichità;
  2. La sua essenziale fisionomia, consistente come abbiamo già riferito, in un vero e proprio apostolato in ausilio e alla dipendenza della Gerarchia Ecclesiastica: il Romano Pontefice, i Vescovi e – di conseguenza – i parroci, primi ed immediati cooperatori del loro apostolato, che si identifica col ministero pastorale.

Ascriversi adunque all’Azione Cattolica importa votarsi all’apostolato, ed entrare a far parte di una istituzione al di sopra di ogni altra nobilissima e antica nella Chiesa di Gesù Cristo, alla quale tutte le altre devono convergere ed essere ordinate. Né si può essere vero ascritto all’Azione Cattolica senza avere una volontà forte e risoluta di lavorare efficacemente alla dilatazione del Regno di Gesù Cristo, a trarre altre anime e sulla via della salute e della santità, e ad operarsi, nella forma a ciascuno consentita, perché la vita individuale familiare e sociale, e l’ordinamento stesso delle Nazioni, sia fondato e si svolga secondo i dettami del Vangelo.

Cosa presuppone

Un apostolato così ampio, che ha per fine plasmare l’individuo, la famiglia, la società civile secondo gl’insegnamenti divini del Verbo Umanato;

così arduo, che ha per compito far vivere ed operar tutto in piena antitesi con lo spirito del mondo, da cui ognuno – in forme e gradazioni diverse – suol essere contaminato;

così soprannaturale, che consiste nel render partecipi tutti gli uomini di quella vita divina di cui Gesù Cristo è l’unica sorgente;

un tale apostolato non può essere certamente compiuto senza che ci teniamo stretti al Redentore, mediante una intensa vita interiore, e senza che ci teniamo stretti al suo Vicario in terra, Pastore supremo del suo mistico gregge, mediante lo spirito di disciplina e di organica compattezza.

Questa intensa vita interiore – presupposto indispensabile dell’A.C. – consiste innanzi tutto nella fuga dql peccato “aversio a malo”, che ci pone nello stato di grazia: e poi, nella imitazione fervida e costante degli esempi datici da Gesù Cristo, nostro Divino Modello; imitazione nella quale, possiamo dire, è riposta tutta la nostra “conversio ad Deum”.

È necessario compenetrarsi di questa grande verità, che i frutti di ogni apostolato (e parlo dei frutti veri e duraturi di cui fa cenno Gesù Cristo ai suoi apostoli, e non già di quelli solo apparenti ed effimeri, di cui si appaga il nostro amor proprio) sono sempre in ragione diretta dell’intensità della vita interiore vissuta da chi si vota all’apostolato.

Il Terz’Ordine Francescano: cos’è

Fissata così, fugacemente, ma chiaramente, l’essenza dell’Azione Cattolica e la sua funzione specifica, stabilito che essa presuppone necessariamente un rigoglioso sostrato di vita interiore, eccoci a delineare i tratti caratteristici del Terz’ordine Francescano.

Possiamo enunciare in poche parole il nostro pensiero, dicendo che il Terz’Ordine Francescano è una mirabile scuola di vita interiore.

La vita interiore, infatti, trae il suo alimento da quello spirito di orazione, di umiltà, di abnegazione e di ardentissima, universale carità, che sono le caratteristiche del Serafico Padre S. Francesco, e che lo trasformarono in immagine vivente del Redentore Divino.

Questo ci spiega tutta l’ampiezza, l’efficacia e tutta la consistenza del suo apostolato per cui, esso, anche oggi, dopo sette secoli, fruisce di vita sempre nuova e rigogliosa e compie sempre nuove conquiste.

La grotta ove Egli si ritirò dopo il suo addio ufficiale al mondo; l’alpestre Eremo delle Carceri, il solingo oratorio di S. Maria degli Angeli, ci parlano eloquentemente della sua formazione a questa vita interiore, per cui Egli diverrà davvero l’Araldo del gran Re, il pacifico conquistatore delle turbe a Gesù Cristo. E infatti, a misura che con la vita di orazione e di penitenza e con l’esercizio dell’umiltà e della carità rendeva, rapidamente, più intensa la sua partecipazione allo spirito e alla vita di Gesù Cristo, Francesco veniva da Lui investito, con sovrabbondanza sempre crescente, della grazia e dei doni necessari per un apostolato così ampio, e possiamo dire, così travolgente come fu il suo.

Quale fu l’intima sorgente di quel fascino che Francesco esercitò sulle masse, per cui queste, assetate e fameliche di una sete e di una fame affatto spirituali, si stringevano intorno a Lui, bramose di tenergli dietro; fascino di cui restano a noi mille episodi, tra cui emergono, quasi vette tra la moltitudine, il grandioso capitolo delle stuoie e il commovente episodio di Cannara che preluse all’istituzione, nuova e geniale, del Terz’Ordine della Penitenza, iniziato più tardi a Poggibonsi?

Questa meravigliosa sorgente fu la sua sovrabbondante pienezza interiore di Gesù Cristo; pienezza che poteva fargli far sua e ripetere con tutta verità la felice espressione dell’Apostolo: “Vivo, ma non più io: è il Cristo che vive in me”.

È la realtà del Cristo vivente in Lui, l’esuberanza di questa vita tutta soprannaturale traspariva all’esterno e diveniva quasi tangibile nel suo tatto semplice, umile, nelle sue parole e nelle sue conversazioni tutte improntate a quella mitezza e a quella carità ardente ed universale, che sono le caratteristiche del Divin Cuore di Gesù Cristo. I suoi sguardi, le sue parole, il suo portamento, le facoltà dell’anima sua, tutto in lui era vivificato dallo spirito di Gesù Cristo, tutto in lui effigiava Gesù con singolarissima perfezione. All’udirlo, e talvolta al solo vederlo, si sentiva che una virtù ascosa, usciva dalla sua persona, come da quella del Salvatore, e risanava le infermità dell’anima e talvolta anche quelle del corpo: “Virtus de illo exibat, et sanabat omnes”. E quindi anche di Lui, che divenne viva immagine di Gesù Crocifisso, potrebbe ripetersi: “Nemo ad eum accessit, quin meliora ierit”; niuno si avvicinò a lui senza che poi se ne partisse migliore.

S. Francesco, con la sua vita, ripete a tutti quanti siamo chiamati all’apostolato, come sia necessario che la santità del Figliuolo di Dio splenda in noi, affinché possiamo riverberarla negli altri. Più sapremo, al pari di Lui, sotto la guida e l’alto magistero della Madonna, avvalorati dal suo materno aiuto, rassomigliarci al Verbo Umanato; più saremo atti a scolpire nelle anime e nel mondo che ci circonda, il suo sembiante e i suoi insegnamenti divini.

Tale adunque l’ideale francescano: accostarsi, unirsi a Gesù Cristo, immedesimarsi con Lui, riempirsi del suo spirito per poi effonderlo sulle anime, sul mondo.

Fucina d’apostoli

Questo ideale S. Francesco assegnò al suo Terz’Ordine.

Fondandolo, Egli altro non fece che chiamare tutti i fedeli di buona volontà a vivere intensamente in loro stessi questa vita interiore, base e fondamento, elemento vitale di ogni apostolato. E quando, più tardi, ispirandosi a lui, la balda Milizia di Cristo, istituita da S. Domenico, si trasformerà anch’essa in vero Terz’ordine, quando le altre Famiglie Religiose istituiranno anch’esse i loro relativi Terz’Ordini: tutte queste nuove, ampie aggregazioni di fedeli viventi nel secolo con intenti ed ideali di perfezione religiosa – indice della perenne e rigogliosa fecondità della Chiesa – altro non saranno nella loro essenza, se non vere scuole e palestre efficacissime per l’acquisto della vita interiore, della santità, e – per conseguenza – vere e proprie fucine di apostoli.

Tale, ripetute volte, i Romani Pontefici dichiararono il Terz’Ordine Francescano.

L’apostolato vuol essere organico

Già da questo fugace sguardo sulla natura specifica del Terz’Ordine e dell’Azione Cattolica, apparisce di scorcio quale debba essere la vicendevole relazione dei due importantissimi organismi.

Ma prima di addentrarci nel delicato argomento, occorre fissare un altro concetto, che varrà a rischiararci anche meglio il cammino.

L’apostolato, specie quello sociale – che non si limita soltanto all’individuo, ma si estende anche alle famiglie e a tutte le forme della vita pubblica e civile – per essere efficace occorre si svolga in forma compatta, disciplinata ed organica.

Questa organicità e compattezza oggi, più che mai, è apparsa necessaria. Soppresse le distanze, con i mirabili ritrovati dell’ingegno umano, la società ha talmente dilatato i suoi confini, da rendere inadeguato alla sua ampiezza ogni tentativo d’influire su di essa, quando questo tentativo non assume quelle gigantesche proporzioni che né l’individuo, né un mediocre aggregato d’individui può conferirgli. È dunque necessario, in ogni impresa, fondere tutte le energie in un sol fascio, evitare ogni frazionamento di sforzi, che – elidendosi – si sperdono: è necessario organizzare, stringere, unificare.

È appunto quest’organicità tutta moderna e tanto indispensabile, ciò che il Papa ha inteso dare all’apostolato ausiliare della Chiesa, inquadrandolo in quel magnifico esercito che è l’Azione Cattolica, cui devono convergere con unità non solo d’intenti, ma anche di metodi, di vedute, d’indirizzi, quante organizzazioni di fedeli vivono ed operano in seno alla Chiesa di Gesù Cristo.

Organico, disciplinato e compatto si svolge nella Chiesa l’Apostolato Gerarchico, e in suo ausilio sono le Famiglie di Religiosi, suscitate da Dio a tale scopo, come il nostro Gerarchico Patriarca ottimamente proclamava, raccomandando espressamente ai suoi Frati di amare e venerare i Vescovi, come Angeli del Signore, deputati alla salvezza delle popolazioni: e di tenersi perciò sempre pronti per aiutarli in ogni maniera nel disimpegno di sì sublime missione.

Organico, disciplinato, compatto deve parimenti svolgersi l’apostolato dei semplici fedeli voluto da Dio quale integramento necessario dell’apostolato commesso alla Gerarchia Ecclesiastica, culminante nei Vescovi e nel Papa.

Per questo il Santo Padre Pio XI insiste tanto sul concetto della compattezza organica dell’apostolato laico, compattezza che si ottiene per mezzo dell’Azione Cattolica qual’egli l’ha definita e costituita. Per questo ancora Egli ad ogni buon cattolico ha fatto non un semplice consiglio, ma un vero obbligo di appartenere all’Azione Cattolica.

In virtù di tale organizzazione, infatti, vien determinato volta per volta – da chi gerarchicamente ha il comando nel mistico esercito di Gesù Cristo – quale sia il nemico spirituale contro cui bisogna premunirsi o combattere; quale il nuovo campo da conquistare, quali i mezzi da operare, in quale direzione tutti devono lavorare e marciare con abnegazione, disciplina e, soprattutto, con fraterna concordia.

Nell’esplicazione, insomma, della virtù dello zelo, che è la forma più elevata e sublime della carità, bisogna mettere da parte l’individualismo e l’indipendenza (sotto cui si nasconde quasi sempre l’amor proprio ripullulante di continuo sotto nuove forme) e invece lavorare e combattere per l’avvento del Regno di Gesù Cristo, come veri militi alla dipendenza dei legittimi gerarchi, collegati a lui per mezzo del Gerarca Supremo, il suo Vicario in Terra.

Come vi è un individualismo, un’indipendenza, e – quindi – un amor proprio personale, così ve n’è un altro, per così dire, corporativo, non meno dannoso e riprovevole dell’altro, e che consiste nello spirito d’indipendenza e d’indisciplina di ogni nucleo in quanto tale.

È questo individualismo, questa indipendenza e disgregazione delle varie collettività religiose (Pie Unioni, Congregazioni, Terz’Ordini) che bisogna evitare a qualunque costo. Tali sante istituzioni devono considerarsi quali parti coordinate al tutto, aventi ognuna una funziona specifica in ordine all’apostolato organico e complesso voluto dal Papa e disciplinato con le costituzioni che vanno sotto il nome di Azione Cattolica.

La funzione specifica del Terz’Ordine: formare gli Apostoli

Eccoci, dunque, finalmente a determinare i rapporti tra l’Azione Cattolica e il Terz’Ordine.

La funzione propria e precipua dei vari Terz’Ordini, con a capo il Francescano – che di tutti è il più antico e il più diffuso, perché meglio si adatta alla gran maggioranza dei fedeli, per la sua soavità e la sua plasticità – non è quella di organizzare e condurre immediatamente l’apostolato laico, essendo tal compito nettamente e chiaramente affidato all’Azione Cattolica: ma è bensì quella di formare gli apostoli che dovranno poi, nei quadri dell’Azione Cattolica, esercitare quell’apostolato compatto ed organico, di cui abbiamo fatto cenno innanzi.

Infatti, come abbiamo più innanzi osservato, non c’è apostolo vero senza vita interiore: ma il compito specifico del Terz’Ordine è precisamente quello di santificare i singoli proponendo loro un regolamento e una determinata via ascensionale nell’acquisto di quella vita interiore e di quella perfezione cristiana, che è l’anima di ogni apostolato. Dunque il compito specifico del Terz’Ordine è quello di formare gli apostoli.

È appunto questo il fine per cui esso collega in congregazione i cristiani viventi nel secolo: dare cioè a loro tutti quegli aiuti dell’acquisto della santità che – in forme analoghe, per quanto di gran lunga più perfette – hanno i religiosi viventi in comunità. Si noti che con ciò non vogliamo affatto escludere dai compiti specifici dell’Azione Cattolica quello di formare spiritualmente i suoi membri affinché siano poi nelle condizioni di vita interiore indispensabili per svolgere efficacemente il loro apostolato.

Diciamo soltanto che il Terz’Ordine nei suoi rapporti con l’Azione Catt. non ha né può avere altro compito che quello di preparare gli apostoli, i quali in esso troveranno come un complemento, non certo indispensabile, ma preziosissimo ed utilissimo, a quella formazione che ad essi potrebbe dare la sola Azione Cattolica.

(Recentemente il S. Padre confermava queste verità in una lettera indirizzata al Card. Patriarca di Lisbona N.d.A.)

Né si dica che – limitato il compito del Terz’Ordine alla formazione spirituale dei suoi membri – non è assicurato che questi poi si voteranno all’apostolato. Quando la Congregazione di un Terz’Ordine compie bene la sua funzione, l’apostolato non può mancare: “Bonun est diffusivum sui”. Un vero figliuolo di S. Francesco, ben formato interiormente alla sua scuola, potrebbe rimanere indifferente al grido del suo Serafico Padre: “L’amore non è amato!”? E così, colui che vestì la candida divisa dei figliuoli di S. Domenico, difensore invitto della fede contro gli assalti dell’eresia, potrà rimanere inoperoso, mentre la fede combatte altre lotte non meno gloriose di quelle, cui prestò il suo braccio il cherubino Patriarca di Guzman?

Ma l’apostolato formato dal Terz’Ordine deve svolgere il suo apostolato nei quadri dell’Azione Cattolica

In altri tempi, queste energie di apostolato necessariamente germinanti dalle Congregazioni dei Terz’Ordini delle grandi Famiglie Religiose, non trovando un preciso alveo entro cui incanalarsi, esplicavano per proprio conto la loro attività, fosse pure nel campo dell’apostolato sociale.

Oggi, data la necessità della forma più organica, coordinata e compatta che l’apostolato laico deve avere, in armonia e dipendenza dalla Gerarchia Ecclesiastica, ogni attività di tal genere deve necessariamente incanalarsi ed esplicarsi tra le file del vasto e complesso organico dell’Azione Cattolica, voluto e stabilito dal Papa. Il che, in pratica, si realizza con estrema facilità se si procura che ogni Terziario, in virtù di quella stessa filiale sommissione agli ordini del Papa, che ogni buon figlio della Chiesa deve sentire, obbedisca all’ordine del Santo Padre, che rende precettiva l’iscrizione all’Azione Cattolica, si fregi del distintivo dei militi del pacifico esercito di Gesù Cristo e porti ad esso il contributo di quella attività, di cui ha attinto ed attinge l’alimento alle purissime fonti del suo Terz’Ordine.

È un fatto: i nomi più belli dell’apostolato laico moderno sono scritti a caratteri d’oro e nelle pagine gloriose di uno dei rigogliosi Terz’Ordini che adornano la Chiesa di Gesù Cristo, e nelle fulgide pagine dell’Azione Cattolica. Vico Necchi, Giuseppe Toniolo, Guido Negri, Pier Giorgio Frassati, e tanti e tanti altri campioni dell’apostolato dei giorni nostri, strinsero in un solo amplesso, sul loro cuore ardente e generoso, il bigio saio di Francesco o le candide lane di Domenico, insieme con gli emblemi delle attivissime branche dell’A.C. a cui essi furono ascritti ed alle quali portano il prezioso contributo del più indefesso lavoro, fecondato dalla vita interiore attinta alle fresche scaturigini dei loro Terz’Ordini.

Non vogliamo affatto, con quanto abbiamo detto, escludere in modo assoluto dall’ambito delle attività del Terz’ordine ogni esplicazione di apostolato sociale. La delimitazione non è né può essere rigida ed assoluta come un solido e freddo muro di divisione: vi sono e vi devono essere, ed è bene che vi siano, interferenze e punti di contatto fra ciascuno dei due campi assegnati alle specifiche attività e del Terz’ordine e dell’Azione Cattolica. Occorre però che nello scegliere le proprie attività di apostolato, i Terz’Ordini tengano sempre presente che il loro compito specifico è quello di formare la vita interiore dei propri membri, e perciò scelgono quelle attività che non sono un puro sforzo di conquista, ma sono anche e specialmente un esercizio di virtù e di formazione interiore di coloro stessi che le compiono.

Tali sono, ad esempio, le varie opere di misericordia sia spirituali che corporali; esercizio che, ad un tempo, serve mirabilmente alla formazione spirituale, alla santificazione di chi lo compie, a far divampare sempre più lo zelo, mentre d’altra parte è vantaggioso alle anime di coloro che ne sono l’oggetto, sicché è anche una forma di apostolato efficacissimo.

S. Francesco che all’inizio della sua conversione bacia il lebbroso, e in virtù di quell’atto eroico di carità ne impetra da Dio la conversione, mentre da una parte si sente più deciso a staccarsi dal mondo e dedicarsi sempre meglio al servizio del suo Signore, dall’altra salva e redime l’anima del suo fratello, il quale cessa di bestemmiare e comincia invece a lodare il Nome adorabile di Dio.

Questi punti d’interferenza e di vicendevole contatto, quando si è animati dal puro desiderio della gloria di Dio e dell’avvento del suo Regno, quando non si è inquinati (cosa tanto facile) da segreto attaccamento al proprio io, anziché causare dissensi, contrasti e gelosie più o meno palesi, serviranno a stringere sempre più i vincoli della carità e della fratellanza e a lavorare in perfetta intesa e concorde armonia, quale si addice a un esercito nella sua piena efficienza di combattimento.

Quale dev’essere l’atteggiamento dell’Az. Catt. nei riguardi del Terz’Ordine

Da parte loro le Associazioni di A.C. riguarderanno con particolare amore le Congregazioni dei Terziari, perché in esse – quando son dirette con vedute larghe e con zelo illuminato – si formano i veri associati dell’A.C. e i suoi migliori dirigenti.

Come fiorirebbero le nostre Associazioni se in ogni associato fosse vivo lo spirito di orazione e di mortificazione, l’ardente carità e soprattutto la profonda umiltà del Serafico Patriarca!

Molti decantano ed illustrano a parole il capitolo della Perfetta Letizia dell’aureo libro dei Fioretti: ma quanto pochi sono quelli che l’approfondiscono sino a farne propria l’essenza, a metterne in pratica le forti lezioni e ad illustrarlo coi fatti!

Spesso, per amor proprio, si consumano le nostre energie in grette contese interne, in ridicoli puntigli di precedenza indegni di fratelli che militano tutti per il trionfo della più santa fra le cause, laddove quelle energie dovrebbero convergere in un sol fascio contro i comuni nemici del bene!…

Ora tutto questo sarebbe eliminato nel seno delle nostre Associazioni, se i loro soci avessero attinto da qualcuno dei Terz’Ordini Religiosi, e in particolar modo da quello francescano, il vero spirito di Gesù Cristo, e se ne fossero imbevuti mercé gli aiuti di cui abbondano queste oasi di spiritualità in mezzo all’arido deserto della dissipazione mondana.

Qualche difficoltà

A questo punto si potrebbe obiettare che i non rari attriti che sorgono tra Congregazioni del Terz’Ordine e Associazioni di A.C. rivelano un fondamentale contrasto tra la natura delle sue istituzioni, talchè non si può – con una semplice delimitazione di confini – pretendere di aver risolto soddisfacentemente il problema delle loro vicendevoli relazioni.

L’obiezione, speciosa quanto si voglia, cade facilmente quando si rifletta che se qua e là spesso si verificano delle difficoltà e delle contese fra le Congregazioni del Terz’Ordine e le Associazioni di A.C., è dovuto a cause particolari, di natura estrinseca all’essenza dei sodalizi in questione e dipendente unicamente da particolari circostanze di luogo e di persone: cause – adunque – che con un po’ d’amore puro e sincero per Gesù Cristo, possono essere facilmente eliminate, ristabilendosi così l’armonia richiesta fra Direttori del Terz’Ordine e Assistenti Ecclesiastici di A.C., tra dirigenti le Congregazioni e dirigenti le Associazioni.

Basterebbe per un po’ discendere –e qui non è il luogo né il tempo di farlo – alle vere e recondite cause di tanti contrasti, protrattisi e ingigantitisi fino a divenire argomento di poca edificazione e di fonte di mormorazioni, di isterilimento di tante opere sante, per convincersi della verità di quel che diciamo. Molte volte è un’antipatia personale dei dirigenti, è un invito mancato, un programma fissato senza preventiva intesa, una coincidenza fortuita d’orari, una risposta secca e sgarbata, un pettegolezzo accolto da chi avrebbe dovuto spegnerlo con un gesto di generosità e un sorriso di bontà: il malanimo nasce così, da queste miserie, si comunica alle masse, investe questioni serie, tira in mezzo diritti, dignità, tradizioni… ed ecco per sempre compromessa la concordia e l’armonia di istituzioni, da cui purtroppo invano il S. Cuore aspetterà d’ora innanzi quel contributo di attività apostoliche a cui esse erano, per natura loro, destinate. Parliamo, s’intende, di ciò che accade qua e là, di tanto in tanto né pretendiamo generalizzare ciò che riguarda questo Convegno che è “provinciale” e riguarda direttamente ogni questione sotto quell’aspetto che può interessarlo in quanto tale. Casi singoli, per quanto non molti rari, e non s’intende per ciò di generalizzare, tanto più che il Convegno è Regionale.

In molti centri l’eliminazione dei dissensi è facilissima perché lo stesso parroco è direttore del Terz’ordine e nello stesso tempo Assistente Ecclesiastico delle Associazioni o ha l’Assistente alla sua dipendenza.

Questo solo dato di fatto è sufficiente per se stesso a dimostrare che i due sodalizi possono benissimo sussistere nella massima buona armonia, pur conservando ciascuno la propria natura e la propria fisionomia.

Meno facile invece apparisce l’eliminazione di tali dissensi là dove la Congregazione del Terz’Ordine è eretta nella Chiesa dei Religiosi del Primo Ordine e del Terz’Ordine Regolare ed il Direttore di essa è un religioso distinto dal parroco e non dipendente da lui. Ma come in questi casi – che sono meno frequenti – quando si è animati dalla pura intenzione di concorrere, con funzioni diverse ma armoniche e coordinate, a dilatare il Regno di Gesù Cristo, quando si è compresi di ardente amore per Lui, come S. Francesco, non sarà punto difficile lavorare con vera e fraterna concordia.

Occorre innanzi tutto che i Direttori del Terz’ordine e gli Assistenti dell’A.C. siano profondamente compresi dell’importanza dell’uno e dell’altro sodalizio: e che comunichino ai loro ascritti questa convinzione. Purtroppo le opere nostre si avversano, perché si ignorano reciprocamente: a ciascun sodalizio pare che il bene non si compia che da lui, e si disconosce o si disprezza o si critica tutto quanto si fa dagli altri: i membri di un sodalizio guardano quelli degli altri, non già come fratelli operanti con gli stessi ideali nell’unico esercito di Gesù Cristo, ma come estranei, lontani mille miglia dai sentieri da essi battuti. A questo possono rimediare appunto coloro che presiedono alla formazione spirituale dei singoli componenti di ogni sodalizio: essi dovrebbero sentire il dovere di non parlar mai senza una profonda deferenza degli altri sodalizi, rilevarne l’importanza, mostrarne la bellezza e l’armonia. E per evitare quel naturale allontanamento degli animi, che avviene tra i membri dei diversi sodalizi, sarebbe oltremodo opportuno che essi s’invitassero reciprocamente nell’occasione di feste, conferenze, ritiri: si scambiassero conferenzieri, predicatori, propagandisti, sicché di frequente capitasse a qualche terziario il gradito obbligo di illustrare l’Azione Cattolica agli associati di questa nobile istituzione, ed a qualche milite dell’A.C. quello di parlare della grandezza del Terz’Ordine: non di rado sarà l’Assistente di Az. Catt. che parlerà ai terziari, e il Direttore del Terz’Ordine che parlerà all’Azione Cattolica, mostrando così anche sensibilmente la concordia e l’armonia che regna tra i due importantissimi sodalizi. Si definirebbe coll’amare di pari amore l’una e l’altra opera, con lo stabilire una corrente di reciproca simpatia, senza la quale si potrà conservare una fredda concordia d’etichetta, ma non quella calda fraternità, che è proprio di coloro che si onorano del nome di figli della Chiesa e di seguaci del Re di Amore.

Gioverebbe molto se sui bollettini delle Congregazioni del Terz’Ordine si parlasse anche e dell’Azione Cattolica e dell’attività spiegata dai Terziari in seno ad essa e viceversa..

A conclusione del nostro dire sentiamo il dovere di richiamare l’attenzione di tutti alla lettera dell’Em.mo Card. Segretario di Stato al Presidente Generale dell’A.C.I. in data 30.III.1930. Lì troveranno i principi fondamentali delle relazioni tra tutti i sodalizi religiosi in genere e l’A.C.

Lavorino i Direttori del Terz’Ordine a formare nei loro figliuoli spirituali il vero spirito di S. Francesco e additino loro l’A. C. come il campo di lavoro assegnato dal Vicario di Gesù Cristo a tutti i veri cattolici e quindi, con più ragione, a tutti i veri Terziari. (V. Lettera del Ministro Generale dei Cappuccini, in data…). Si studino con ogni cura gli Assistenti ecclesiastici di ripetere ai propri associati la necessità di formarsi interiormente e il sacrificarsi per poter sacrificare gli altri mediante l’apostolato, e additino ad essi l’esempio di S. Francesco e li esortino a divenire iscritti coscienti e convinti del Terz’ordine: e l’armonia tra i due gloriosi sodalizi sarà piena e ininterrotta, con ineffabile compiacenza del Cuore di Gesù, con incalcolabile vantaggio dell’immenso lavoro dell’apostolato, con profonda consolazione – diciamolo pure – del cuore di noi altri Vescovi, Pastori della Chiesa Santa di Dio, cui nulla è più giocondo di quella fervida concordia, che allevia i sacrifici, abbellisce l’immolazione, fa dimenticare la fatica del cammino, come il canto di un esercito che marcia lungo le strade dell’eroismo e della vittoria.

Schema di discorso di inaugurazione del nuovo anno scolastico…

Schema di discorso di inaugurazione del nuovo anno scolastico…

Predicazione B (pagg. 115 – 116) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI. – Cartella n. 4
*Scritto autografo del S. D., su 1 foglietto a due facciate.
Schema di discorso di inaugurazione del nuovo anno scolastico, tenuto dal S. D., dopo due anni di vicende dolorose nel Seminario Regionale di Benevento.
(Benevento, 19 ottobre 1945)

Schema di discorso di inaugurazione del nuovo anno scolastico
Benevento – Seminario Regionale – 19 Ottobre 1945

Dopo due anni di vicende dolorose, ci è dato di nuovo, tutti insieme, superiori, maestri ed alunni, inaugurare a piè dell’altare un altro anno di lavoro. Anno di lavoro sommamente importante e complesso che ha per oggetto la formazione al sacerdozio, di voi figliuoli amatissimi, affinchè un giorno ci siate di valido aiuto nel disimpegno delle mansioni del nostro ministero pastorale.

Il Papa è il Pastore di tutta la Chiesa. Il Vescovo è il Pastore subordinato (ma non Vicario del Supremo Pastore) di una porzione della Chiesa. Episcopi residentiales sunt ordinarii et immediati pastores in dioecesibus sibic ommissis. Sono essi che hanno la piena responsabilità delle anime.

Il Vescovo è per la sua diocesi:

1°= l’Evangelista

2°= l’Apostolo

3°= il maestro di vita spirituale

4°= il ministro dei sacramenti

5°= il custode e il difensore del suo gregge.

6°= il giudice

7°= il vindice della Fede e dei Costumi

8°= l’amministratore dei beni ecclesiastici,

in una parola è il Sacerdote nella pienezza dei suoi poteri di Ordine e di Giurisdizione.

Il Vescovo comunica al sacerdote una parte dei suoi poteri di ordine e gli delega una parte della sua giurisdizione e gli affida una parte del suo complesso ministero pastorale in un determinato settore della Diocesi.

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Multus labor, multa in labore methodus – multa in methodo costantia. (Mons. Dupanloup ai suoi seminaristi)

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un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto.

Discorso nel trigesimo della morte di Mons. Gioacchino Brandi

Discorso nel trigesimo della morte di Mons. Gioacchino Brandi

Scatola VIII (pagg. 203 – 211) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola: VIII – Scritti inediti, Conferenze, prediche, discorsi.
*Manoscritto autografo del S.D., su fogli piegati in due. Complessivamente 19 facciate.
Discorso tenuto dal S.D. nel trigesimo della morte di Mons. Gioacchino Brandi. Egli che lo ha tenuto come maestro negli anni di preparazione al sacerdozio, dice di Mons. Brandi: è stato un irradiatore dell’amore e della luce di Cristo.
(Napoli, 14 ottobre 1949).

Discorso nel trigesimo della morte di Mons. Gioacchino Brandi.
(Napoli 14 Ottobre 1949)

L’incontro con il sacerdote, che possiede, in grado elevato, il vero spirito sacerdotale, è sorgente d’inesprimibile conforto per l’anima cristiana, che in lui s’imbatte nelle asprezze del pellegrinaggio terreno: questo spiega la profonda commozione e il sincero rimpianto, che suscita la sua scomparsa.

E’ un centro irradiatore della luce e dell’amore soprannaturale del Cristo che viene meno e scompare.

Tale è stata per tutti noi qui raccolti e per tanti altri ancora, uniti a noi spiritualmente, in quest’ora, la scomparsa del nostro amatissimo Mons. Gioacchino Brandi, non ostante che la sua tarda età e sedici mesi di penosissima potremmo dire, misteriosa infermità, ci fossero venuti, quasi gradatamente, preparando al doloroso distacco. Né poteva essere altrimenti, perché in lui lo spirito sacerdotale rifulse sempre di luce eccezionale.

Durante la sua vita egli fu sempre tutto per sé, cioè per la propria santificazione personale, per essere poi davvero, quale egli fu, tutto per le anime per la maggiore gloria di Dio.

Nei suoi cinquantotto anni di vita sacerdotale, senza mai deflettere, fu questo il suo unico miraggio, ed io che ebbi con lui per circa mezzo secolo, intimità di spirituali rapporti, constatai che sempre, anche nelle cose più ordinarie e comuni, non ebbe altra norma nel suo operare, se non tradurre in atto sì eminente programma di vita sacerdotale. Quando nell’anno santo 1900 – per un tratto particolare della misericordia e della predilezione del Signore, compresi la sua chiamata e risolvetti di lasciare gli studi universitari e vestire l’abito clericale per essere poi sacerdote tra le fila del clero della mia diocesi nativa, Mons. Valerio Laspro, venerando Arcivescovo di Salerno, amò che per i miei studi in preparazione al sacerdozio, mi fossi fatto interamente guidare e dirigere da Mons. Enrico Attanasio, che egli altamente stimava, ed era in quel tempo Primario del Capitolo Metropolitano e Prefetto degli Studi del Liceo Arcivescovile di questa capitale del nostro mezzogiorno.

D. Enrico Attanasio, come da tutti lo si soleva chiamare, appartenente a cospicua famiglia, oriunda della provincia di Salerno, ove aveva i suoi beni, era sacerdote di eletto ingegno, di vasta e profonda cultura, di specchiata virtù, e in quel tempo uno dei pochi superstiti di quel cenacolo di anime elette, appartenenti al clero ed al laicato, che intorno al Ven. Servo di Dio, il P. Ludovico da Casoria, aveva esercitato in Napoli, dopo i rivolgimenti del 1860 e la soppressione degli Ordini Religiosi, nell’infuriare della tempesta anticlericale e settaria, un provvido apostolato di cristiana cultura e di carità. Di quel cenacolo avevano fatto parte, Alfonso Capecelatro, Vito Fornari, il Casanova e vari altri. Nel 1900 egli, già settantenne, esercitava il suo apostolato non solo fra i chierici e il giovane clero, ma anche tra gli studenti universitari, che paternamente soleva ricevere la sera nella sua abitazione, e, in quelle udienze, tanta luce, tanto ardore di verità e di bene, trasfondeva nei loro giovani cuori.

Fu l’Attanasio, che dopo giorni di matura riflessione, mi affidò al nostro amatissimo Mons. Brandi, allora poco più che trentenne, avendolo io richiesto di un maestro per un biennio di filosofia tomistica in preparazione agli studi sacri.

L’Attanasio mi diceva, che D. Gioacchino Brandi, com’egli soleva chiamarlo, non ostante la sua giovane età, era il maestro che si addiceva al caso mio e fu dal labbro di sì venerando prelato che io raccolsi il suo primo elogio. E mi riferiva come sin dagli anni del suo chiericato, egli si era sempre segnalato tra la scolaresca, in quel tempo, assai numerosa, del Liceo Arcivescovile e della Facoltà Teologica di Napoli.

Fu tra i primi del corso filosofico e primeggiava del pari nelle esercitazioni settimanali del Circolo e nelle dispute, che periodicamente vi si tenevano.

Ancora più egregiamente aveva poi percorso il quadriennio di Scienze Sacre, dandone prova in una disputa pubblica su De Universa Teologia alla presenza di Sua Eminenza il Cardinale Arcivescovo Guglielmo Sanfelice e di altri Prelati, il che gli meritò la laurea in Sacra Teologia con somma lode e il massimo della dispensa quanto a l’età per la sua ordinazione sacerdotale, che gli fu conferita dallo stesso Em.mo Principe nel sabato dell’ottava della Pentecoste del 1891.

Aveva più tardi, col permesso dei Superiori, conseguite con onore la laurea in Lettere presso l’Università dello Stato e poi quella in Filosofia col massimo dei voti e la pubblicazione della tesi.

L’Attanasio che l’aveva seguito passo passo nei suoi studi e lette le sue prime pubblicazioni, ne aveva altissima stima e dopo averlo additato come maestro, passando a dire della sua virtù e del suo spirito sacerdotale, compendiò il suo elogio in questa breve espressione “Egli è tre volte sacerdote” cioè possiede nella sua pienezza lo spirito sacerdotale e così era di fatto.

Sì elette doti d’ingegno e di cultura non lo allettarono per nulla ad esibirsi e a incamminarsi per una via di facili ascensioni ed onori oppure economicamente più vantaggiosa, nell’insegnamento pubblico, a cui i suoi maestri Universitari l’incoraggiavano in vista della scarsezza di bravi maestri, ma tutto egli volle unicamente in quel tempo consacrato e per sempre a Dio e alla sua maggior gloria nell’apostolato immediato a prò delle anime, modesto sacerdote del Clero di Napoli.

Primo campo aperto al suo zelo fu l’insegnamento della Filosofia nel Seminario di Pozzuoli e delle lingue classiche nel Collegio Pontano dei Padri della C. di Gesù per i quali nutrì sempre particolare stima ed affetto.

Più tardi, lasciato l’insegnamento di Pozzuoli, assunse l’insegnamento classico antico nel Seminario Arcivescovile e poi egualmente nel Pontificio Seminario Campano di Posillipo.

Le particolari esigenze e l’ubbidienza l’obbligarono alla cattedra; egli dalla cattedra fu sempre non solo maestro, ma anche educatore ed apostolo.

Egli ebbe la dote preclara di adattarsi alla portata di ognuno e di condurre felicemente ciascuno alla meta che gli era possibile raggiungere. A questo poi univa chiarezza di esposizione e di sintesi ed efficacia di metodo.

In quel tempo, in cui stette tanto a contatto con la gioventù studiosa, considerando il pericolo di pervertimento cui erano di continuo esposte le intelligenze dei giovani laici per la mancanza di un testo di filosofia scevro da errori e in rispondenza ai programmi ministeriali e conforme a terminologia moderna, si accinse con purezza di intenzioni e grande abnegazione a un tal lavoro. Dette così alla luce un pregevole manuale di Psicologia, di Logica e di Etica – ad uso dei Licei, che ebbe gran successo e diffusione, e ben due edizioni andarono esaurite e si sarebbe avuta la terza se la riforma Gentile non avesse radicalmente mutato indirizzo allo studio della Filosofia nelle scuole pubbliche.

Le Congregazioni di Spirito – La Cappella serotina – La Chiesa delle Croci – I ritiri Operai – Gli Amici del Sacro Cuore – Gli Incurabili, i Pellegrini – L’Ospedale Militare – L’Apostolato per il Clero. La preghiera per il Clero. Le anime consacrate a Dio – La scuola Apostolica – Rettore del Seminario – Segretario del Clero. Le sue Opere Ascetiche.

(qui il discorso s’interrompe con la nota del S. D.: Vedi Continuazione)

Continuazione

Dio e al clero e qui in diocesi e quanto dette e, quando potette, anche fuori diocesi.

Tutte le sue belle doti d’ingegno, di cultura, le sue energie morali, e fisiche tutto aveva posto in servizio delle anime per la maggior gloria di Dio. E anche dopo la sua morte in certo modo il suo apostolato continua mediante le sue opere ascetiche date alla stampa, intorno alle quali lavorò con grande sacrificio resegando sul tempo assegnato al necessario riposo. Opere pregevoli e per la forma e più ancora per la sodezza della loro dottrina: due sono per il giovane Clero: il mese del Sacro Cuore e quella dal titolo “Regina Cleri” che a mio avviso primeggia su tutte – e il mese di Maggio e il mese di S. Giuseppe per le anime in genere consacrate a Dio.

E in questi 58 anni quanta gioventù cristianamente educata e istradata nella vita; quanti peccatori riconciliati con Dio; quanti infermi santamente assistiti e soprattutto quanti sacerdoti e quanti religiosi esemplari, dati alla chiesa.

Il segreto peraltro della fecondità di tanto apostolato fu che prima d’essere tutto delle anime, egli fu tutto di sé stesso cioè attese sopra ogni altro al lavoro della propria santificazione. Non desistette mai da questo lavoro. Non transigeva mai quanto alla santa meditazione, e d’ordinario si levava assai per tempo per premetterla quale apparecchio alla santa messa. Allo studio della teologia dommatica e della morale, discipline che possedeva assai bene, per quanto non ne facesse ostentazione, aveva fatto seguire quello della teologia ascetica, cui dedicava ogni giorno un po’ di tempo. L’esercizio dell’intima unione con Dio donde quell’abituale compostezza e serietà di contegno che a prima vista lo faceva apparire piuttosto austero, tale impressione però veniva presto fugata dall’amabilità con cui trattava chi a lui si rivolgeva.

Intransigente quanto all’umiltà, mai una parola, un cenno solo, che si riferisse alla sua persona e per quanto potette lavorò silenziosamente nel nascondimento. Avrebbe voluto pubblicare come anonimo le sue opere e si arrese soltanto, quando lo stesso editore gli fece notare, che delle opere anonime riusciva più difficile la diffusione.

Più intransigente ancora egli era quanto alla purezza d’intenzione. Tutto per Dio egli soleva ripetere e questo richiedeva anche dalle anime da lui dirette.

Non lunghe preghiere, egli soleva ripetere alle anime religiose nelle sue istruzioni, ma tutti i doveri del nostro stato compiuto con fedeltà per amor di Dio ad ogni ora della nostra giornata, trasformino in continua preghiera la nostra vita.

Direzione spirituale – suoi santi direttori.

Ogni anno immancabilmente consacrava una intera settimana agli Esercizi Spirituali di S. Ignazio, in una casa della Compagnia di Gesù, per la quale nutriva profonda stima e grande affetto. Egli soleva ripetere che gli Esercizi Spirituali di S. Ignazio erano uno dei mezzi più potenti di santificazione elargito da Dio nella sua Chiesa.

La serenità imperturbabile del suo spirito nelle prove più dolorose della vita, che anche a lui non mancarono e soprattutto la pazienza eroica di cui a tutti noi dette esempio tra la sofferenza e le molteplici tribolazioni dei sedici mesi della sua ultima infermità, la generosità con cui costantemente offriva per le mani della Vergine SS.ma il suo patire per la salvezza delle anime, per la Chiesa e specialmente per il Clero.

Ricordo che poche settimane prima delle sua morte, venuto a conoscenza che un gruppo di miei sacerdoti si sarebbero ritirati in una casa religiosa presso il Santuario di Loreto per i loro Esercizi Spirituali annuali, mi fece conoscere che durante tutti quei giorni avrebbe offerto tutti i suoi patimenti per essi.

Nelle ultime visite che io feci, conservando ancora piena la lucidità della mente, per ben due volte mi parlò del terzo grado di umiltà di cui S. Ignazio tratta nei suoi Esercizi Spirituali: preferir di seguir nostro Signor Gesù Cristo per la via delle umiliazioni e dei patimenti e mi espose quattro motivi principali che devono indurci a metterci, con fidente abbandono in Lui, per sì arduo sentiero.

A somiglianza del Maestro Divino del suo letto divenuto per lui la croce del suo supremo olocausto dimentico di sé, fino a poche settimane prima del suo trapasso riversò sulle anime i tesori della grazia divina, frutto della redenzione ed ascoltò, anime venute ancora una volta ad attingere conforto dal suo sacerdotale ministero, rimandandole consolate dai suoi paterni consigli e dalla sacramentale assoluzione.

Il Cuore Divino di Gesù, il Verbo Umanato, fu il centro costante della sua devozione e la Vergine Madre il mezzo facile e sicuro per giungere a Lui e in Lui mantenersi saldo.

Negli ultimi giorni tentò Satana con violenza di turbare la serenità del suo patire con pensieri desolanti circa il mistero della predestinazione, ma tornò il sereno al ricordo di Maria e a l’invocazione del suo Santo Nome. Con il volto rasserenato e con le labbra composte a sorriso amava allora ripetere e sentirsi ripetere il ritornello del canto popolare del nostro S. Alfonso:

Dolce amor mio, Maria

Tu sei la vita mia,

La madre mia sei Tu

Che se mi tocca in sorte

Finir la vita mia

Chiamando Te Maria,

Il Ciel mi tocca ancor

Fino a la sera dell’antivigilia del suo trapasso con segni esterni di piena coscienza e di propria devozione, essendo divenuto afono, ricevette la sacramentale assoluzione e al ripetersi dell’invocazione:

Maria Mater Gratiae

Mater Misericordiae

Tu nos ab oste protege

Et mortis hora suscipe

il suo volto si faceva sereno, quasi raggiante e le labbra articolavano spiccatamente ad una la sillaba della dolce invocazione. Poi cominciò la prova dell’ultima agonia, che per lui fu placida e serena: pareva immerso in un sonno profondo e solo il respiro era indice che ancora fosse in vita. Così passò purificandosi ancora qua giù il giorno della festa del S. Nome di Maria e la notte seguente e la mattina alle quattro, nel suo oratorio attiguo alla sua camera fu celebrata la santa messa per la sua agonia, alle 7 e tre quarti rendeva a Dio la sua bella anima.

Al suo capezzale vegliava in preghiera il sacerdote…, vegliavano i suoi cari.

Ed oggi nel trigesimo della sua scomparsa dalla vita di questo misero mondo tutti noi che vincoli particolari di stima, di affetto e di rapporti svariati legavano a Lui, ci troviamo raccolti intorno all’altare a capo l’angelo di questa archidiocesi che più volte durante la sua infermità fu a visitarlo ed ad apprestargli sollievo ad affrettargli con la preghiera il premio eterno.

E a me pare che a tutti noi in ricambio egli parli con la rievocazione della sua vita.

A noi, già inoltrati negli anni, coi capelli incanutiti nel servizio della Chiesa dica come dobbiamo spendere per Dio e per le anime l’ultimo avanzo delle nostre forze e della nostra vita terrena. A voi, amatissimi fratelli, che siete ancora nel rigoglio della vita come dobbiate provvedere innanzi e con costanza ad abnegazione avendo di mira Dio solo e il bene delle anime. E infine a voi, miei figliuoli amatissimi future speranze della Chiesa santa di Dio, cui è riserbato un ministero laboriosissimo in questi tempi nuovissimi, egli dice come per essere tutti delle anime è necessario che siate prima tutti voi stessi, che attendiate cioè innanzi tutto alla vostra personale santificazione.

È necessario vivere sempre in intima unione con Dio per poter ricondurre a Lui il mondo che da Lui ha fatto divorzio.

La fecondità del nostro apostolato sarà sempre in ragion diretta di… Per l’arduo compito dovete attingere di continuo grazie dal Cuore Divino, mediatrice Maria.

Discorso per la «Giornata delle Vocazioni»

Discorso per la «Giornata delle Vocazioni»

Farina D (pagg. 1 – 5) – Archivio Postulazione della Causa di Canonizz. Mons. Farina.- Cartella: Messaggio Giornata Vocazioni.
* Testo dattiloscritto su tre facciate di foglio (formato A4), trascritto dalla registrazione della viva voce del S. D. Nella prima facciata è preceduto da una didascalia che fa la cronaca dell’avvenimento.
Messaggio del S. D. per la Giornata delle Vocazioni. (Foggia, 2 febbraio 1952)

Il presente discorso è stato pubblicato nell’opuscolo “Sono frumento di Cristo” .- Il Servo di Dio Mons. Fortunato Maria Farina nel 50° Anniversario della morte, Foggia settembre 2004

DISCORSO
DI MONS. FORTUNATO MARIA FARINA
PER LA «GIORNATA DELLE VOCAZIONI»

(Foggia, 2 febbraio 1952)

Questo breve discorso, improvvisato, fu rivolto dal Servo di Dio Mons. Fortunato Maria Farina, allora vescovo solo di Foggia, in occasione della “Giornata per il Seminario” o “per le vocazioni” celebrata il 9 marzo 1952.

Mons. Giuseppe Amici, vescovo di Troia e coadiutore di Mons. Farina con diritto di futura successione nella diocesi di Foggia, per riguardo alla sua persona e d’accordo con lui, atteso anche il fatto che il Seminario di Troia rimaneva ancora lo stesso per entrambe le diocesi, preferì che la Giornata per il Seminario fosse celebrata lo stesso giorno in entrambe le diocesi. Don Mario De Santis, poi, allo scopo anche di conservare il ricordo della voce di Mons. Farina, allora molto malato, il 2 febbraio di quello stesso anno si recò da lui nell’episcopio di Foggia con un registratore, senza preavviso, chiedendogli di dire due parole per la circostanza ed il Servo di Dio vi accondiscese di buon grado. Erano presenti nel suo studio anche don Leonardo Cera, don Antonio Rosiello e qualche altro sacerdote.

Poiché il discorso è stato improvvisato, nel testo non mancano anacoluti, come, lamentandosi dolcemente di non essere stato preavvertito, notò poi lo stesso Servo di Dio quando, subito dopo, gli fecero ascoltare la registrazione fatta; nondimeno a nessuno sfugge di quanta profonda unzione spirituale esso sia pregno e la sua attualità.

Da questa registrazione fu fatto fare poi anche un disco, che poi è stato riportato su un CD.

La presente trascrizione del discorso da detta registrazione è stata fatta da Mons. Luigi Giuliani, Postulatore della causa di canonizzazione del medesimo Servo di Dio.

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Nella lotta che si acuisce di giorno in giorno sempre più tra il male e il bene, tra l’errore e la verità, crescono le istituzioni, le nuove iniziative di apostolato. Tutto sembra che divenga necessario e l’anima che vuole votarsi al trionfo della santa causa del bene e della verità si sente un po’ incerta e disorientata a quale possa dare la preferenza delle nuove istituzioni per meglio riuscire nel nobile intento e per meglio assicurare la finale vittoria.

Però qualsiasi istituzione, qualsiasi nuova opera di apostolato ha sempre bisogno di un elemento necessario, senza del quale non potrà produrre frutti: l’elemento soprannaturale della grazia che viene da Dio.

Ma questa grazia deve essere implorata innanzitutto con la preghiera. Ed il sacerdote, ecco, è necessario perché egli è, per divina vocazione, innanzitutto il mediatore fra Dio e gli uomini, il mediatore di grazia, l’uomo quindi di preghiera e di orazione, che, a sua volta, deve farsi maestro di preghiera e di orazione, deve sempre ricordare ai fedeli e a quanti vogliono ingaggiarsi santamente in questa lotta che non bisogna fidare sulle proprie energie, sulle proprie doti naturali, ma unicamente su quell’aiuto soprannaturale che ci viene da Dio per mezzo della sua grazia e che primo fra i mezzi per ottenere la grazia è la preghiera.

Il sacerdote adunque è maestro di orazione. E un po’ di orazione è innanzitutto necessaria per poter far funzionare qualsiasi opera di apostolato, per renderla veramente fruttuosa.

In secondo luogo, chiamati i laici a dovere essere coadiutori della gerarchia ecclesiastica o, per dir meglio, a collaborare con essa nell’apostolato divino ad essa affidato da Gesù Cristo Signor nostro, è necessario formare in ogni laico, in ognuno dei fedeli che sente la vocazione di Gesù nell’ora presente a dover collaborare con i suoi ministri a formare in lui l’apostolo.

Chi sarà il formatore di questi apostoli laici? Il sacerdote, conscio della sua missione che si faccia a sua volta plasmatore di apostoli fra quelli che sono ad esso affidati. L’Azione Cattolica non potrà fiorire, non potrà mantenersi, non potrà produrre quei frutti salutari che tutti ci aspettiamo da essi e in primo luogo il Vicario di Gesù Cristo, il Papa, se non abbiamo una folta schiera di sacerdoti, che siano non solo sufficienti per numero, ma ancora col cuore ripieno di santi ardori dell’apostolato e di tutte le virtù sacerdotali che esercitino pienamente.

E quindi ecco la ragione della Giornata delle vocazioni, in cui il popolo, supplice al cospetto di Dio, implora sacerdoti, memore della raccomandazione di Gesù: “pregate il padrone della messe che mandi operai nella messe sua”. Il popolo si prostra in preghiera ai piedi del santo altare, moltiplica le sue opere di abnegazione e di mortificazione per implorare operai per la messe del Signore che biondeggia.

Abbiam bisogno di questi santi operai, dei sacerdoti, operai di Gesù, e noi dobbiamo implorarli con la preghiera, dobbiamo implorarli con la mortificazione e con la penitenza.

Ma non basta.

Il sacerdote ha bisogno di formazione; il sacerdote anch’egli ha bisogno di lunghi anni di studi, il sacerdote anch’egli è composto di anima e di corpo e bisogna pensare al mantenimento, bisogna pensare a provvedere di tutto il necessario per quella vita di studio e per quel lungo tirocinio di oltre dodici anni dopo le scuole primarie che si richiede per potere avere poi un giovane che abbia quella cultura necessaria per potere esercitare il ministero sacerdotale con frutto in mezzo al popolo dei fedeli. E chi provvederà a tutto questo?

Il più delle volte le vocazioni, come già Gesù all’inizio della sua Chiesa scelse i suoi primi dodici sacerdoti fra gli umili e quelli che erano destituiti di beni di fortuna e di ricchezza, anche oggi la maggior parte sono prescelti da lui fra i poveri; le predilezioni divine del suo Cuore per i poveri anche oggi si affermano e Gesù chiama noi a collaborare con lui per poter mantenere questi suoi degnati alla chiamata dell’apostolato nel lungo tirocinio di formazione.

E quindi ecco che noi facciamo appello, noi vescovi, a tutti i fedeli affinché ognuno offra il sacrificio di qualche cosa, anche del necessario a se stesso, per poter venire in aiuto delle vocazioni, delle vocazioni sacerdotali. E quindi in questo giorno rivolgo a voi il caldo appello affinché generosamente diate, con cuore ricco di fede in modo da meritare quella ricompensa che Gesù prometteva a chi avrebbe dato nel nome suo: il centuplo e poi la vita eterna.

Date per l’opera delle vocazioni, perché è la prima opera di apostolato. E questo pensiero voglio che rimanga fisso nella mente di ognuno dei figliuoli della mia diocesi, tra le opera di zelo, tra le opere di apostolato – e sono tante che oggi esigono il nostro aiuto – la prima è quella di aiutare le vocazioni.

Dare un buon sacerdote alla Chiesa è la più grande opera di apostolato che si possa compiere; sacrificare per quest’opera è il più nobile e il più santo dei sacrifici che si possa offrire al Signore.

E perciò, o miei figliuoli, senza esitare mettete in primo luogo l’opera delle vocazioni fra le opere che voi dovete aiutare. Sarete anche voi, così, formatori di apostoli; anche voi avrete parte a quella larga messe che un giorno essi mieteranno nella mistica vigna del Signore. E perciò vi invito tutti, o miei figliuoli, ad essere larghi in questo giorno, e non solo oggi, ma sempre che potete, sempre che vi sarà dato di poter fare qualche cosa di bene per il trionfo della santa causa di Gesù. Venite in aiuto delle vocazioni. Sarà questo il modo più efficace.

Oggi i nostri seminari scarseggiano di quella gioventù fiorente che si prepara al santo apostolato sacerdotale.

Anche gli ordini religiosi hanno i loro noviziati scarsi per numero. E i religiosi sono i collaboratori insieme con i sacerdoti del clero diocesano; sono i corpi scelti, i corpi specializzati, che nella santa lotta a cui accennavo in principio fra l’errore e la verità, fra il bene e il male, portano il loro contributo efficacissimo lì ove più è il bisogno.

E quindi perciò aiutate le vocazioni sacerdotali in ogni senso e in ogni maniera affinché veramente si apparecchi per la Chiesa santa di Dio l’ora del trionfo, che noi speriamo di vedere e di poterci allietare di esso.

Preghiamo la Madonna, Regina degli Apostoli, affinché come essa presiedette all’inizio del santo apostolato dei primi dodici prescelti dal suo Gesù, come essa implorò sul loro capo la pienezza dei doni dello Spirito Santo, così ancora oggi avvalori i nostri sforzi per poter dare alle nostre diocesi, alla Chiesa santa di Dio schiera eletta, schiera ampia e sufficiente per poter veramente dilatare il regno di Gesù Cristo sopra di questa terra.

Sia lodato Gesù Cristo.

Schema di discorso per la fine della villeggiatura in Seminario

Schema di discorso per la fine della villeggiatura in Seminario

Scatola VIII (pag. 197) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola: VIII – Scritti inediti, Conferenze, prediche, discorsi.
*Schema di appunti su un foglietto, autografo del S.D., scritto avanti e dietro. In calce vi è un indirizzo di nominativo, che è estraneo all’argomento.
Schema di discorso per la fine della villeggiatura in Seminario. Il S.D. evidenzia lo scopo della villeggiatura: riposarsi e rinvigorirsi fisicamente ed anche rafforzarsi spiritualmente.
(senza data).

Schema di discorso per la fine della villeggiatura in Seminario.

Rinvigorirsi fisicamente, riposandosi e respirando aria libera, rinvigorirsi spiritualmente, attendendo con più agio alle cose spirituali e ad allargare la propria cultura e a colmare i vuoti dell’anno scolastico, senza il peso e l’assillo della scuola quotidiana.

I superiori con ogni cura lavorino al conseguimento di questo fine e per ciò facciano con generosità al Signore il sacrificio della propria libertà.

Ognuno si dedichi con tutta la cura e la diligenza possibile al disimpegno delle proprie mansioni.

Cose a cui principalmente mirare.

1°= Ordine e osservanza dell’orario.

2°= Evitare (salvo eccezioni) passeggiate che stanchino e spossino troppo.

3°= dare norme di vita ai regionalisti.

4°= Curare la servitù.

5°= Assistenza individuale quando allo studio e alle letture: stimolarli.

Breve discorso sull’Azione Cattolica

Breve discorso sull’Azione Cattolica

Predicazione B (pagg. 117 – 118) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 5
*Scritto autografo del S. D., su 3 foglietti.
Breve discorso sull’Azione Cattolica. Il S. D. richiama l’insegnamento del S. Padre al riguardo. Afferma che l’Apostolato presuppone la santità: la vita attiva deve procedere dalla vita interiore.
(Senza data )

Breve discorso sull’Azione Cattolica (titolo non indicato nel testo)
(senza data)

Sarò breve. Conviene innanzi tutto essere ben compenetrato da quel che costituisce l’essenza dell’A. C. quale il Papa l’ha definita. Egli ha insistito nel dichiarare divina la sua istituzione e quanto ad antichità essere antica quanto antica la Chiesa. I discepoli e le pie donne, le sante vergini e le vedove dell’età apostolica. S. Prudenziana, S. Prassede, Lucina, Domitilla, le sante ieri ricordate dal presidente.

L’A. C. è essenzialmente opera di apostolato, anzi vera e propria partecipazione all’apostolato della gerarchia ecclesiastica, che Gesù Cristo Signor Nostro commetteva – ai legittimi Pastori della sua Chiesa – con a capo il Romano Pontefice, allorquando il Maestro divino ripetette a S. Pietro: pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle.

I vescovi in principio ebbero i sacerdoti, in prosieguo ebbero come legittimi coadiutori i parroci.

Ecco perché il Papa ha voluto che ogni parrocchia fosse centro irradiatore di apostolato.

—————

L’Apostolato però presuppone come sostrato necessario la santità.

Rigenerare l’uomo alla vita della grazia e prepararlo, santificandolo alla vita della gloria, è l’opera del Redentore; chiunque si vota all’apostolato di tale opera rigeneratrice e santificatrice è soltanto debole strumento. Poiché lo spirito di vita che genera la salute è in Gesù donde scaturisce come da sua sorgente: “Lex enim spiritus vitae in Christo” Jesu. (Rom. VII – 2) – ed Egli solo ha ricevuto dal Padre suo la missione d’illuminare tutte le genti della terra: Dedi te in lucem gentium ut sis salus mea usque ad extremum terrae. Is – XLIX. Ogni qual volta egli si degna prenderci a compagni in questo altissimo ministero, che è l’essenza dell’apostolato noi diveniamo con Lui salvatori, in quella stessa proporzione con la quale interiormente andiamo partecipando al suo spirito ed alla sua vita.

Di qua gli uomini apostolici potettero far tanto (S. Francesco) in quanto interiormente erano pieni di Gesù Cristo. I loro pensieri, le loro conversazioni, tutto rispecchiava in essi lo spirito di Gesù Cristo; i loro sguardi, le loro parole, il loro portamento, la facoltà dell’anima loro, tutto in essi era animato dallo spirito di G. C.; tutto in essi l’effigiava perfettamente. All’udirli od anche vederli, si sentiva che una virtù ascosa usciva dalla loro persona, come da quella del Salvatore, la quale risanava le infermità dell’animo “Virtus de illo exibat et sanabat omnes”.

Nemo ad eum accessit quin meliora ierit – Conviene che la Santità de Figliuolo di Dio splenda in noi, perché potessimo riserbarla negli altri.

La vita attiva deve procedere dalla vita interiore, tradurla e continuarla di fuori, e distaccarsene il meno possibile. Prima e seconda categoria di opere di apostolato.

La terza è la vera = solo Dio e la sua gloria (l’ha) procurata coi soli mezzi che possono produrla i soprannaturali.

Il Curato d’Ars.

Omelie di Mons. Farina

Discorso per il matrimonio di parenti del SdD (senza data) (si desume: posteriore a 8 dic. 1904)

Omelia per il matrimonio di parenti (Dicembre 1904)

Prediche – Quaderno (pagg. 4 – 7) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina – Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero).
* Appunti autografi del S.D., su un quaderno a righi di 36 fogli: pagg. 4 – 11.
Rinnovazione dei Voti Battesimali e Consacrazione alla Madonna. E’ un discorso per il matrimonio di parenti del S. D.
(senza data) (dal riferimento all’anno giubilare dell’Immacolata si desume: posteriore a 8 dic. 1904).

(Omelia per il matrimonio di parenti del SdD)
Rinnovazione dei Voti Battesimali e Consacrazione alla Madonna

Voi che avete ricevuto d’ora innanzi dovete appartenere sempre a Gesù Cristo.

Appartenere a Gesù Cristo importa fuggire il peccato e vivere da buoni cristiani. Tre cose c’inducono al peccato: il mondo, la carne, il demonio. Che cosa sono mai. A questi tre capitali nemici noi opponiamo l’abrenuntio cristiano e la solenne promessa di servire sempre Gesù Cristo. Abrenuntio dobbiamo a tutte le seduzioni di questi nostri nemici. Per essere però fedeli abbiamo bisogno d’un aiuto e d’un sostegno e questo Gesù ce lo dà nella sua santa Madre. Ecco perché nel giorno della 1a Comunione tutti si consacrano alla Madonna. Che vuol dire consacrarsi alla Madonna. Tributo quotidiano a questa Madre SS.ma. Esso ci ricordi che nel giorno della nostra 1a Comunione la Madonna è divenuta la Madre nostra. La divozione alla Madonna è un tesoro inestimabile. Qual fortuna aver la Madonna per madre. La Madonna è la Madre mia!

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Tra la commozione e i voti ardenti dei vostri più cari, col cuore trepidante, eccovi a pie’ dell’altare per giurarvi l’un l’altro eterna fedeltà, per unire, mediante questo sacramento, le vostre esistenze con un’unione indissolubile. Ed io legato a voi, da vincoli d’affetto e di parentela, dovendo ora quale ministro del Signore, benedire questa vostra unione, sento spontaneo venirmi sulle labbra la mistica (p. 6) parola d’amore ispirata dallo Spirito Santo, e che fra pochi istanti voi udrete ripetervi da quest’altare mentre per voi si offrirà il sacrificio della Messa: Amatevi l’un l’altro. So bene che tali parole, che tale raccomandazione può sembrare inutile ed oziosa a due giovani sposi, ma essa racchiude un senso così nobile e sublime, che non compresa dai più, dai più è anche non praticata. Sì miei cari, oggi Iddio vi ripete per mio mezzo, amatevi l’un l’altro, non d’un amor naturale, perché quest’amore ci è facile rinvenirlo anche fuori dell’umana società, amatevi non d’un amore puramente umano e ragionevole, perché anche i pagani l’hanno avuto; ma amatevi d’un amore così nobile, così sublime, così santo, quale fu l’amore che G.C. portò alla sua Chiesa, e che questa nutrì pel suo divin Salvatore. Sicut et Christus dilexit Ecclesiam. Oh quanta è pura la fragranza di questo amore, quanto dolce e soave l’olezzo di queste mistiche rose!. Quest’amore però, che è tutto soprannaturale, non si alimenta nei cuori se non in virtù della grazia del sacramento del matrimonio, e questa grazia per compiere la sua (p. 7) opera reclama anime pure e monde da ogni colpa. Per ciò la Chiesa esige dai suoi figli che si accostino all’altare per giurarsi eterna fedeltà, dopo aver purificate le loro anime col sacramento della confessione, e dopo aver fermamente risoluto d’incominciare una nuova vita tutta conforme ai dettami della legge santa di Dio. Solo a questa condizione la grazia del Sacramento del matrimonio compie i suoi effetti nelle anime, e solo a questa condizione quest’amore così nobile e santo s’alimenta nel cuore dei coniugi inalterabilmente e costantemente, e rende la loro unione fonte perenne di pace e di fedeltà. Se i più non sono felici né godono di tali beni è perché alle loro nozze (p. 8) non presiede più Iddio, e si riceve nel peccato ciò che reclama la purezza d’un’anima rigenerata dal sacramento della penitenza.

Voi per ciò ora che state per ricevere questo sacramento, procurate d’alimentare nei vostri cuori saldi propositi di nuova vita tutta conforme ai dettami della legge santa di Dio, siate fermamente risoluti d’aiutarvi l’un l’altro nel cammino della virtù, perché, ricordatelo sempre, solo nella pratica della virtù voi potrete amarvi l’un l’altro di quell’amore soprannaturale del quale Gesù ha amato la sua Chiesa, e solo nella pratica di essa voi potrete rinvenire vera e costante felicità.

L’immagine pura e santa di Maria che circondata di fiori e di lumi par che sorrida a voi da quest’altare sia impressa indelebilmente nei vostri cuori. Essa vi darà quanto amore dobbiate portare alla purezza, come tutti i vostri atti devono essere informati alla modestia ed al rispetto scambievole. Vi dirà come gli sposi cristiani col simbolico fiore d’arancio, devono intrecciare il candido giglio della purezza. Il suo sembiante sempre dolce (p. 9) ed amabile vi dirà dell’amorevole condiscendenza che ognun di voi dovrà sempre avere per l’altro. Regina dei martiri e esempio d’eroica fortezza v’insegnerà a resistere da forti al fluttuar delle passioni che agitano la nostra fragile natura, a serbare intemerata la vostra fede, a renderla più salda con lo spirito di sacrifizio e d’abnegazione. Per intercessione di Lei Vergine Intemerata, ma pur anche Madre e Sposa, le vostre anime s’ameranno di quell’amore nobile santo di cui parlavo dianzi. Sotto l’egida del patrocinio d’una madre così tenera cresca la vostra famiglia, e il mistico saluto dell’Ave Maria, che fra poco con note armoniose echeggerà fra queste volte, ascenda sempre mattina e sera dai vostri cuori, congiunti insieme, ascenda al trono di Lei e si muti in benedizione sul vostro capo. Crescano adunque, crescano a profusione all’ombra del manto dell’Immacolata vaghi ed olezzanti fiori d’ogni virtù, (nel) cui anno giubilare voi unite per sempre insieme le vostre giovani esistenze.

(p. 10) Crescano in virtù di Maria nei vostri cuori i candidi gigli della purezza e della modestia coniugale, le olezzanti mammole, simbolo dell’umiltà e della dolcezza, le vermiglie rose d’un amore costante intemerato e puro. Col loro olezzo esse faranno spirare intorno al vostro focolare domestico un’aura soavissima di pace, e questa pace formerà la vostra felicità. Essa sarà il vostro conforto nei dolori della vita, e cospargerà di fiori le spine che frequenti s’incontrano sul suo sentiero. La pace domestica: ecco il frutto dolcissimo e soave d’un unione veramente cristiana, per l’intercessione di Maria essa sia sempre con voi E se un giorno piacerà a Dio d’allietare la vostra unione col sorriso di vezzosi angioletti, vostra prima cura sia d’allevare i vostri figliuoli all’amore vero e sentito verso l’augusta Regina dei Cieli. La cara immagine di Lei s’imprima nei loro vergini cuori, e li preservi dal male e faccia di essi la gioia più tenera della vostra esistenza, la consolazione, e il sostegno della vostra canizie.

(p. 11) Per le mani intanto di Maria io ora offrirò all’Eterno l’ostia Immacolata affinché aleggi sulla vostra unione lo Spirito del Signore. E quando voi dopo vi sarete di nuovo accostati all’altare e vi sarete cibati delle carni immacolate del Signore, io ministro e rappresentante di Lui pronunzierò sul vostro capo parole di benedizione. Parole sante, ispirate da Dio stesso. Parole il cui pieno compimento in voi, in questi momenti con tutto il cuore vi pregherò dal Cuore del Divin Redentore nel nome della sua Madre Immacolata.

Che il Dio d’Abramo, che il Dio d’Isacco, che il Dio di Giacobbe, quel Dio che sin dai primordi del genere umano santificò il santuario domestico nella persona dei Patriarchi, sia con voi. Deus Abraham, Deus Isaac, Deus Jacob sit vobiscum. Che Egli compia in voi la sua benedizione, sicché possiate vedere i figliuoli dei vostri figliuoli sino alla terza ed alla quarta generazione, ut videatis. E dopo, dopo d’essere vissuti insieme, nell’amore, nella pace, nella virtù, poiché questa vita non è che mezzo al conseguimento della vera vita, vi sia dato godere della vita interminabile del cielo; vi sia concesso goderla senza fine; et postea vitam aeternam habeatis sine fine.

Discorsetto pel matrimonio di Mattia (20 Gennaio 1905)

Discorsetto pel matrimonio di Mattia

Prediche – Quaderno (pagg. 29 – 31) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Appunti autografi del S.D., su un quaderno a righi di 36 fogli: pagg. 40 – 44.
Discorsetto pel matrimonio di Mattia (20 Gennaio 1905)

Discorsetto pel matrimonio di Mattia
20 Gennaio 1905

(p. 40) Ancora poche ore e sulle labbra dei ministri del Signore, per le volte dei templi, ove vegliano pregando le sacre vergini, risuoneranno mistici inni, parole misteriose e sante inneggianti una famiglia della quale un Dio Umanato fa parte, e che la Chiesa pose a protezione e a modello delle famiglie cristiane. Al certo non è senza un’amorosa disposizione della Provvidenza, che voi, miei cari fratelli, drizzati i vostri passi all’altare, per solennemente inaugurare la vostra famiglia, proprio in questo giorno in cui la Chiesa coi primi vespri solenni s’apparecchia a celebrare la gloria dell’umile e santa Famiglia di Nazaret.

Io a voi legato dai vincoli più stretti del sangue, non so altro augurarvi in quest’ora, se non che, divenuti sposi, tra le mura del vostro santuario domestico, sappiate fedelmente imitare, per quanto è umanamente possibile (p. 41), le sublimi virtù, gli eroici esempi di questa famiglia santissima. Non il fasto ed il lusso, non gli agi e le ricchezze, non la nobiltà dei natali varranno a renderci felici, ma solo un amore vero e costante che né il tempo, né le vicende della vita, né soprattutto l’inquieto fluttuar delle passioni umane e la nostra corrotta natura varranno ad attenuare giammai. Tale sostanza però al vostro amore, non verrà che dalla sua purezza; ricordatelo bene, non quei sentimenti che si fondano sulla natura, e che da essa traggono alimento, ma unicamente quelli che sono da Dio ed a Lui tendono, durano come Lui, eterni ed immutabili. Adombri adunque il vostro amore la purezza indefinita onde in Dio e per Dio s’amarono i cuori verginali di Maria e di Giuseppe. Spiri sempre la fragranza di questi gigli purissimi a profumare il vostro talamo nuziale sicché sempre come in quest’ora, sia vivissimo ed intenso il vostro amore, intemerata e santa sia da voi serbata la fede che siete per giurarvi. Rammentate però come questi gigli d’un amore così puro crebbero tra le spine di sacrificio e di abnegazione continua, e apparvero ancora più belli perché non ama di vero amore chi non sa rinnegare se stesso, (p. 42) perché circondati a profusione da fiori olezzanti d’ogni virtù. Sia per voi adunque il matrimonio sprone possente alla pratica di tutte le virtù cristiane, e sia ancora vero sacerdozio onde, se a Dio piacerà, nuove anime educherete alla pratica vera del cristianesimo, dando così degni figli alla Chiesa, cittadini intemerati al civile consorzio. I beni materiali dei quali Iddio vi fu largo, non vi servano per l’acquisto di vani piaceri terreni, ma vi siano soltanto mezzo come infiorare delle vermiglie rose della carità il sentiero della vostra vita, vi siano scala per ascendere al Cielo. Che le ricchezze divengano fra le vostri mani balsamo per lenire il dolore di chi soffre, vero conforto per rasciugare le lagrime di coloro che piangono. Per voi l’odierna società civile conosca ancora una volta come e quanto sappia affratellare gli umili e i grandi la Religione del Cielo.

O mio amato fratello, noi passammo insieme gli anni primi della nostra giovinezza, e della nostra adolescenza e poi divenuti giovani i nostri cuori battettero sempre all’unisono ed ebbero comuni le più nobili aspirazioni per il trionfo del bene, per la causa santa di Dio. Ora Egli ci chiama per vie diverse (p. 43): tu nel santuario della famiglia, io in mezzo al campo dei fedeli ovunque sono da consolare, ciechi, nella mente afflitta da illuminare, infermi nello spirito da sanare, a lavorare al compimento di quelle aspirazioni; non dimenticare per ciò nel nuovo stato di vita che oggi abbracci, i nobili slanci, i santi propositi dei nostri giovani anni, e sempre qual faro luminoso vi stiano dinanzi alla mente gli esempi della santa Famiglia di Nazaret. E di questa Famiglia, che tante volte pregammo insieme, alla quale giovanetti appena fummo consacrati dai nostri educatori, e che anche tu fervidamente pregasti per me, nei giorni dubbiosi e trepidi per la mia esistenza, sia a te e alla tua sposa guida e scorta sicura lungo il cammino della vita.

E tu, Elisa, che oggi ne vai compagna indivisibile a chi tanta parte ha del mio cuore, sia a lui valido aiuto nel fedele adempimento dei doveri del suo stato, e che tu possa sempre rinvenire in lui un affetto che gareggi con quello dei genitori che unicamente vivono della tua vita e dell’amore di te. Ecco che con la loro benedizione, con le loro lacrime, coi loro voti ardentissimi t’accompagnano ancora i nostri voti; t’accompagnano dall’alto, credimi, la benedizione del mio defunto genitore, il mio cuore tu non potrai mai immaginare quanto avrebbe esultato, se anch’egli avesse potuto in quest’ora, annoverarti fra i suoi figli, e imprimere sulla tua fronte il suo bacio caldo d’amore paterno e ricevere da te il dolce nome di padre. (p. 44) Oh vieni, vieni in mezzo a noi, e dopo giorni di prova e di dolore suo pei miei cari, per la mia diletta madre sopra tutto, l’angelo del celeste conforto a lei inviato da Dio, e che tu possa allietare tutti i giorni della mia vita per lunga serie di anni, sino alla sua più tarda vecchiezza. Vieni fra le nostre ridenti valli, che al tuo arrivo le prime aure primaverili nuovamente vestiranno di verde e di fiori, t’attende un popolo che dovrai edificare con le tue virtù.

Stringete, stringete pure le vostre destre, (o miei fratelli amatissimi), l’ora è solenne, conosco le ansie del vostro cuore ardente, ma giuratevi eterna fedeltà, congiungete per sempre le vostre giovani esistenze, Maria, nel cui tempio il sacro rito si compie, col suo Sposo e col suo Divin Pargoletto a voi sorride e benedice dall’alto. Essa v’impetri che la famiglia che oggi solennemente inaugurate a pie’ di quest’altare sia ammessa un giorno eternamente a far parte della mistica famiglia degli eletti del Signore.

Discorsetto per le nozze di Lina (senza data) (Dal testo si desume: giugno 1905)

Discorsetto per le nozze di Lina

Prediche – Quaderno (pagg. 19 – 22) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Appunti autografi del S.D., su un quaderno a righi di 36 fogli: pagg. 28-32.
Discorsetto per le nozze di Lina (sorella del Ven.le).
(senza data) (Dal testo si desume: giugno 1905)

Discorsetto per le nozze di Lina

Era il 3 Maggio 1894, e, come oggi, vestita di bianco, avvolta in candido velo, tu incedevi all’altare, o sorella. Armoniose note echeggiavano per le volte del tempio, insieme col canto delle sacre vergini alle quali i miei e tuoi genitori avevano affidato la tua educazione.

Era il giorno della prima comunione. Giovanetto di tredici anni, pure io, ti seguiva con lo sguardo, pregando e ripensando anch’io alle pure e sante gioie del giorno in cui come te provai le dolcezze ineffabili del primo amplesso di Gesù.

Ed oggi dopo undici (anni), ritemprati nel dolore, eccoci entrambi ai piedi dell’altare, tu giovane sposa ed io ministro del Signore, tu per emettere ed io per accogliere dalle tue labbra il giuramento della fedeltà coniugale. Non è senza ragione, che io ti rammento, in quest’ora così trepida e solenne pel tuo cuore, i dolci e soavi ricordi di quegli anni primi. E nel ricordarli a te, io intendo pure di ricordare al tuo sposo, che oggi per te mi diviene fratello, i cari ricordi della sua fanciullezza.

[Tornino, tornino, alle vostri menti quasi un olezzar di primavera lontana, portato a voi dal zefiro].

Ora state entrambi per ricevere un nuovo sacramento, del quale non io ma voi sarete i ministri; ed esso reclama, assolutamente reclama d’essere ricevuto da anime pure, rigenerate alla grazia dalla confessione, dal lavoro santo della penitenza. Voi l’avete fatto, adesso che la pristina innocenza della vostra infanzia, per la misericordia infinita di Dio, risplende di nuovo alle vostre anime; lasciate che a ritemprarvi nei buoni propositi d’una vita, tutta nuova, tutta conforme ai dettami del Vangelo; lasciate che a confermarvi in essi, tornino i santi ricordi dei vostri anni primi.

[Tornino, tornino].

Nelle ansie del mio cuore fraterno lungamente ho vegliato e pregato per voi, ed è con la più viva commozione che fra poco ascenderò l’altare e solennemente benedirò la vostra unione.

L’immagine dolce ed amabile del Cuore del Divin Redentore sorride a voi; sorride a voi, che congiungete insieme le vostre esistenze alla vigilia quasi della sua festa in questo mese che la Chiesa consacra al suo culto. E sorrideva ancora, dall’altare splendidamente ornato a festa il giorno della tua prima comunione. Cara coincidenza! Io benedicendo le vostre nozze consacrerò a Lui la vostra famiglia, quella famiglia che solennemente inaugurate ai suoi piedi. Sia Egli sempre il vostro re; sia il vostro rifugio, il vostro conforto, nei dolori della vita. Ove regna Gesù, ivi spira un’aura soave di pace, ivi è un puro germinar di gigli, un dolce e perenne fruir di primavera.

La sua immagine santa sia indelebilmente impressa nelle vostre menti e vi sia perenne ammaestramento nella nuova vita che oggi incominciate.

La croce che lo sormonta vi dirà come la fede e la religione devono essere il fondamento sul quale deve adergersi, crescere e prosperare la vostra famiglia. Sì, o miei cari fratelli, se non è Dio a porre l’edifizio d’una famiglia, invano si affaticano coloro che senza di Lui la vogliono prospera e felice. Nisi dominus aedificaverit ecc. ecc. quanti scandali! Quante lagrime di meno nel mondo se davvero fosse Gesù a presiedere a tutte le famiglie, con la santità dei suoi insegnamenti, con la purezza della sua dottrina!

Le fiamme che lo circondano, vi diranno, come soltanto in Lui deve il vostro amore cercare il suo alimento, solo a questa condizione, ricordatelo bene, esso sarà immutabile, puro ed eterno. Non l’amor dei piaceri, ma l’amore santo della famiglia e dei figliuoli deve essere vincolo che unisce due cuori veramente cristiani; simbolo di quest’amore, puro come l’oro, è l’anello che voi cingerete, e come l’anello che è chiuso d’ogni lato, esso esige che il vostro cuore sia chiuso ad ogni altro affetto men che santo e puro.

Ma in modo tutto particolare io voglio che parlino a voi le spine che lo circondano. Questo amore così nobile, così puro, così sublime, così santo di cui io vi parlavo non si alimenta che con le spine del sacrificio e dell’abnegazione. Sacrificio ed abnegazione che vi faranno resistere da forti alla seduzione della vita, che vi renderanno ammirabili nell’osservanza del dovere, indulgenti e compassionevoli l’uno verso l’altro. Il matrimonio cristiano è una missione santa che vuol essere fecondata ed irrigata dal sacrifizio e dall’abnegazione. Esso è un sacramento che si riceve a piè dell’altare, e l’altare è luogo di sacrifici, ed ad esso non si accosta che per sacrificare.

Fieri adunque della vostra fede, animati da vero spirito di fortezza e di sacrificio, congiungete pure le vostre destre e giuratevi eterna fedeltà. Drizzate in alto i vostri affetti, spiri sublime il vostro amore, sicché la vostra unione sia vera immagine della mistica unione che unisce Gesù con la sua Chiesa. Ecco vi accompagnano i voti e le lagrime dei vostri cari, vi accompagnano pure dal cielo le benedizioni di anime carissime, certo che per voi pregano, a noi rapite innanzi tempo.

E dopo che io avrò offerto per voi Gesù all’Eterno, dopo che vi sarete cibati delle sue carni immacolate, benedetti da Dio alzatevi pure fidenti per riprendere il cammino della vostra vita. Ma vi sovvenga che questa terra non è luogo di vani piaceri, ma soltanto luogo d’assiduo indefesso lavoro nella pratica del bene, nell’acquisto della (p. 32) virtù pel conseguimento della vera felicità lassù nel cielo.

Ogni gioia che v’è concessa qua giù non deve fare che ringraziarvi per una fatica maggiore. Andate innanzi tenendovi per mano, incoraggiandovi e fortificandovi a vicenda, finché le anime vostre non salgano all’Eterna Fonte d’ogni pace.

Per la festa dell’Immacolata (8 Dicembre 1905 - Conocchia)

Omelia per la festa dell’Immacolata

Prediche – Quaderno (pag. 26 – 28) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Appunti autografi del S.D., su un quaderno a righi di 36 fogli: pagg. 36 – 40.
Per la festa dell’Immacolata (8 Dicembre 1905 – Conocchia)

8 Dicembre 1905. Conocchia
(Omelia per la festa dell’Immacolata)

E’ un anno appena e col cuore trepidante, al terzo giorno della mia ordinazione, sacerdote novello, per la prima volta io ascendeva quest’altare. Ascendeva quest’altare ove fanciullo quindici anni (prima) m’ero cibato per la prima volta delle carni immacolate di Gesù, e ai cui piedi, avevo trascorso i momenti più cari della mia prima adolescenza.

Quanti pensieri, quanti ricordi, quante rimembranze s’affollarono allora nella mia mente! Ed oggi che per la seconda volta ho celebrato a quest’altare l’incruento sacrificio, ancor più vivi si sono ridestati in me, facendo ressa al mio cuore, quei pensieri, quelle rimembranze, quei dolci e soavi ricordi. Più vivi essi si sono ridestati in me a cagione della vostra presenza, o compagni carissimi, che fra queste mura viveste della vita che io vissi, e aveste con me comune l’educazione della mente (e) del cuore. E nuova forza vivissima poi attingono in me tali rimembranze nel ritrovarmi tra voi qui, in questo giorno, per farvi la santa comunione ai piedi dell’immagine dolce e soave della nostra Immacolata. Noi l’amiamo quest’immagine, e durante la primavera dei nostri giovani anni, essa formò l’oggetto speciale del nostro culto e della nostra venerazione, e ai suoi piedi apprendemmo ad amare e venerare Maria.

Lasciamo adunque che innanzi ad essa in questo giorno, in quest’ora solenne, col ridestarsi dei cari ricordi dei nostri anni primi si ridesti e si ravvivi in noi l’amore per la nostra cara Madre del Cielo, si ravvivi e sia pel nostro spirito come il soffio di nuova aura vivificatrice dopo lunghi giorni d’ardore estenuante. Se fanciulli e giovanetti avemmo bisogno di Maria, molto più abbiamo bisogno di Lei ora che ferve per la pienezza della gioventù il nostro spirito, e che le passioni d’ogni parte tentano sedurci e fanno ressa intono al nostro cuore. Voi lo sapete quante seduzioni ci circondano nel mondo, quali aure pestifere tentano di corrompere la purezza immacolata dei nostri affetti, e quante prave inclinazioni ci muovono dentro asprissima guerra. Solo con Maria e per Maria noi potremo riportare vittoria, solo con Lei e per Lei potremo serbare intemerata la purezza del nostro spirito. Noi beati, se nell’ora della lotta e del cimento ne avremo il nome adorabile sulle labbra e nel cuore. Essa è aura soave che dissipa i nembi delle passioni, è torre inespugnabile contro la fiera possanza del nemico, Essa è la Vergine intemerata che rende casto e puro chi a Lei ricorre. Quanti gigli verginali germinarono all’ombra del suo azzurro manto, e quanti gigli ancora che l’imperversar dei nembi e delle procelle aveva atterrati al suolo e luridamente insozzati nel fango in virtù di Lei d’un tratto risorsero candidi ed olezzanti.

Miei cari compagni ed amici, ecco che oggi nella festa dell’Immacolata di nuovo candide e pure sono tornate le anime vostre rigenerate nel sacramento della confessione, ecco che voi giù vi appressate all’altare per ricevere dalle mie mani le carni immacolate di Gesù. Ma dopo, quando sarà trascorsa per voi questa giornata serenamente dolce e soave, tornerete di nuovo nel mondo ove vi attendono gli stessi pericoli, gli stessi oggetti seducenti, gli stessi allettamenti, che forse talvolta riportarono su di voi vittoria, e ai quali testé fermamente avete rinunziato per sempre ai piedi del sacerdote. E voi soccomberete certamente, non avrete risoluto di amare, teneramente amare Maria, e d’invocarla nelle ore più trepide e più pericolose. Ricordatevi che se nulla v’ha di più amabile e di più soave che la divozione a Maria rettamente intesa, allo stesso tempo nulla v’ha ancora di più forte e di più virile. Sì ispirano a Lei, voi lo sapete, i grandi poeti di questa nostra Italia, a Lei i Vincitori di Pontida di Legnano, a Lei il Sobierchi sui campi di Vienna, a Lei l’O Connel ed il Vindors, rivendicatori della libertà politica e religiosa dei cattolici inglesi e tedeschi.

Né ignorate al certo come non sono ancora dieci mesi e si spegneva in Firenze, uno dei più grandi filosofi d’Italia, Augusto Conti. Ebbene egli non solo volle col suo ingegno dettare un’operetta che artisticamente dicesse delle glorie di sì Augusta Madre, quando attingeva conforto nella sua tarda vecchiezza nel passar lunghe ore in profonda contemplazione innanzi all’immagine di Lei, lì, nella chiesa dell’Annunziata in Firenze.

Per ciò ora che vi accostate a quest’altare per ricevere Gesù non isdegnate di fermamente proporre ai suoi piedi d’essergli d’ora innanzi fedeli mediante l’amore e la divozione più tenera verso la Madre sua. Oh come esulterà il suo cuore nel raccogliere dal vostro labbro una tale promessa! Esulterà perché vi vedrà nell’avvenire vincitori e non vinti, atleti invittissimi di Lui.

Mentre adunque Maria a voi sorride dall’alto, e gli Angeli vi sono mistica scorta all’altare ripetete pure nell’intimo del vostro cuore a Gesù: “Ecco, o mio amato Signore che io vengo a te, tu conosci la mia estrema debolezza, le mie interne miserie, le intime piaghe dell’anima mia. Dopo il tuo Cuore Adorabile tu mi dai la tua Madre istessa perché, sovvenga alla mia debolezza, illumini la mia cecità, soccorra alla mia estrema miseria. Fermamente per ciò propongo al tuo cospetto che l’avrò sempre in luogo di Madre. Degnati tu nella tua misericordia infinita di rendere efficace questo mio proposito. Fa che per Lei soldato invitto sia fedele sino alla morte, e a te nell’Eterna Sionne sciolga un giorno il cantico della liberazione.

Discorsetto per gli antichi Convittori sulla festa dell’Immacolata (senza data) (Dall’ordine dei discorsi sul quaderno si desume: a. 1906)

Discorsetto per gli antichi Convittori

Prediche – Quaderno (pagg. 32 – 35) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Appunti autografi del S.D., su un quaderno a righi di 36 fogli: pagg. 45-50.
Discorsetto per gli antichi Convittori sulla festa dell’Immacolata
(senza data) (Dall’ordine dei discorsi sul quaderno si desume: a. 1906).

Discorsetto per gli antichi Convittori (senza data)

Attratti dal fascino dolce e soave, che Maria esercita sui cuori, ancora una volta ci raccogliemmo insieme in questo luogo e in questo giorno pieno per noi di tanti cari ricordi. Il fascino che Maria infatti esercita sui cuori ha in sé una forza misteriosa ed arcana, alla quale non è facile potersi sottrarre, onde anche il Bayron, benché non fosse cattolico, contemplando un giorno, verso il tramonto il santuario di S. Maria della Bruna, presso Livorno, per apprestare conforto al suo spirito abbattuto, con teneri commoventi versi degni del suo estro poetico, cantò Maria. Non è meraviglia adunque se noi, sin dai nostri più teneri anni educati all’amore di lei, cresciuti sotto l’egida del suo azzurro manto, in questo giorno che la Chiesa la saluta Immacolata, e la proclama immune da ogni labe di colpa, non è meraviglia se col cuore commosso traemmo ai piedi del suo altare. Qua venimmo più per far godere, al nostro spirito lontano dal mondo, un’ora di mistiche e sovraumane dolcezze. Traemmo ai piedi di quest’altare, innanzi a quest’immagine così ricca per noi di ricordi carissimi, per ricordare ancora una volta al nostro cuore, che non ostante le nostre debolezze, non ostante le nostre miserie, Maria, nei nostri anni primi, è sempre la madre nostra, e noi, noi siamo sempre i figli suoi.

O miei cari compagni, sbalzati in mezzo al mondo, dopo il nostro primo ingresso nella vita, nel pieno vigore della gioventù, noi abbiamo bisogno di Lei, per conservare al nostro spirito la luce vivificatrice della fede, e per preservare il nostro cuore dalla corruzione e dal fango. Noi lo vediamo: quanti nostri coetanei, han fatto naufragio nella fede, e quanti altri sedotti dai luridi piaceri del senso miseramente cadettero, e impigliarono il loro cuore in affetti tutt’altro che casti e puri. E sentiamo che anche per noi sta questo duplice pericolo a minacciare la nostra mente e il nostro cuore; forse già provammo i primi assalti… forse… qualche volta… nella lotta… per breve ora soccombemmo. In mezzo a questi pericoli che potentemente insidiano la vita delle nostre anime, noi, quasi deboli canne sbattute dal vento, sentiamo vivo il bisogno di chi ci sorregga per non essere abbattuti. Ed ecco che a voi viene in aiuto Maria; che sin dai vostri primi anni, fra queste mura, imparaste ad amare. Quanti ingegni più colti e più svegliati dei nostri dopo aver miseramente smarrita la luce della fede per Lei di nuovo la rinvennero. Voi vedete là in Parigi, quel giovane che poco più di vent’anni, egli sedotto dalle dottrine degli Enciclopedisti Francesi, ha rinnegato la sua fede, e più tardi sposa una giovane calvinista. Ma ecco che nel pieno rigoglio della sua gioventù, a 25 anni egli a forza di studiare, coadiuvato dalla grazia, si converte, diviene fervente cattolico. Egli è Alessandro Manzoni: più tardi a difesa del suo convincimento e delle sue credenze egli scriverà la morale cattolica, e grato a Maria per la fede riacquistata, con versi immortali, canterà le glorie del nome di lei. Voi la sapete in Emilio Littre, in Agostino Schouvalon, in Ermanno Chohen, sino ai recenti convertiti dei nostri giorni quali il Brunetière, il Coppée e il…., che testé ha scritto le glorie di Lourdes noi abbiamo la più splendida prova di fatto che ci addita Maria, quale faro di luce luminosissima per conservare integra nelle anime la fede, oppure per ridonarla ad esse se l’hanno perduta.

Le lotte però più aspre, vi vengono dalla vostra corrotta natura, le insidie più potenti sono tese al vostro cuore. Ma Maria è quella verga misteriosa dalle cui radici germoglia un amore, che sana le piaghe e le miserie della nostra anima: Verga e radice germinans medelam vulneri, per ciò la Chiesa in questo giorno nei suoi mistici cantici la saluta insigne custode dei Vergini, torre inespugnabile al nemico: Praeclara Custos Virginum. Turris Draconi impervia.

La Chiesa oggi ha bisogno di una gioventù forte e gagliarda nello spirito, dalla fede integra e schietta, dai costumi intemerati e puri: e tali voi dovete essere mediante il patrocinio di Maria: per questo spesero intorno a noi tante cure i nostri educatori. Sia pur aspra e dura la lotta per questa nostra povera anima, finché noi avremo il nome di Maria sulle labbra e nel cuore riporteremo indubbiamente vittoria. Oh come è dolce, dopo aver combattuto e vinto, reclinare il nostro capo stanco sul suo cuore materno, e attingere fra le sue braccia amorose nuova forza, vigore per l’egro nostro spirito.

Confidate, confidate adunque a Maria, in questi brevi momenti di raccoglimento e di preghiera, le miserie intime del vostro spirito. Essa è la madre vostra. E poi confidatele pure i vostri sogni dorati, gli affetti virtuosi e casti del vostro cuore, quanto insomma legittimamente ed onestamente vagheggiate nella vostra vita avvenire. Essa benedirà alle vostre aspirazioni, le purificherà con la sua sovrumana virtù, le renderà fecondissime di bene.

Ecco che come pegno del suo amore materno, come rimedio divino per preservare la vostra mente ed il vostro cuore, come arra sicura di vittoria: dona per mezzo mio il suo Gesù come cibo alle anime vostre. Spezza a voi quel pane di vita che ha formato i martiri, confessori invitti della fede, e ha dato alla Chiesa schiere interminabili di Vergini. Quante volte io e voi ci accostammo a quest’altare per cibarci delle carni immacolate di Gesù: teneri giovanetti, di frequente venivano al nostro amato Signore: da allora vario tempo è trascorso, dei mutamenti si sono operati in noi e forse… non sempre in meglio: il cuore però non invecchia mai: egli ha sempre tali energie in sé, che può da un istante all’altro sviluppare una vita rigogliosa e potente. Anche se esso fosse stato per lungo tempo come morto soffocato dalle passioni, se lo avviciniamo a Gesù e lo uniamo a Lui, in poco tempo palpiterà d’una vita meravigliosa di virtù e di bene. Invitati adunque da Maria, dalla nostra celeste Madre, venite adunque a Gesù: Egli è purezza infinita e vi renderà puri e casti: Egli è la delizia degli Angeli; benedicendo quindi alle aspirazioni virtuose e buone del vostro cuore vi renderà felici. Coi sensi adunque d’una fede umile e schietta ripetetegli pure nell’intimo del vostro animo: “Ecco che invitati dalla tua Madre Immacolata noi veniamo a te, o Divin Gesù, come infermi al medico della vita, come immondi e deformi al fonte di ogni misericordia, come ciechi al lume dell’eterna chiarezza, come poveri e bisognosi al Signore del Cielo e della terra. Per amore di Colei di cui oggi celebriamo le glorie, degnati di curare la nostra infermità, di sanare le nostre miserie, di illuminare la nostra cecità, di sovvenire alla nostra indigenza. Se errammo talvolta lungi da te, a te facciamo oggi ritorno: siamo tuoi e per sempre: fa che sia sempre degno di Te, quanto è umanamente consentito, la nostra vita avvenire sino al giorno in cui ti ameremo, senza temer che il nostro amore possa venir meno giammai.

Agli antichi Convittori nel dì 8 Dicembre 1907

Agli antichi Convittori nel dì 8 Dicembre 1907

Prediche – Quaderno (pagg. 36 – 39)
Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina
Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Appunti autografi del S.D., su un quaderno a righi di 36 fogli: pagg. 51 – 56.
Agli antichi Convittori nel dì 8 Dicembre 1907. In questa omelia don Fortunato ricorda la sua esperienza straordinaria della gioventù, che lo ha portato a seguire Gesù nell’apostolato

Agli antichi Convittori nel dì 8 Dicembre 1907

Gli anni volgono con grande rapidità ma sempre con un senso più vivo d’intimo compiacimento, in questo giorno noi conveniamo, qui in questo luogo, ove passammo i nostri anni primi. È quasi un’esigenza imperiosa del nostro onore, che agitato dal turbinio della vita, reso più intenso dal bollore degli anni giovanili, sente il bisogno di un po’ d’intima pace, di quella pace che vince la bassa immaginazione dei mondani, e che è certo di ritrovare qui, in questi brevi momenti di raccoglimento e di preghiera, ritornando un’altra volta puro in virtù della grazia dei Sacramenti. Tutte le volte che mi è dato pregare sia pur brevemente, in questo sacro luogo, ove, io e voi giovinetti, tante volte traemmo, l’animo mio sperimenta in sé un sentimento d’insolita dolcezza, e i cari ricordi degli anni che furono, sono al povero mio spirito come la fragranza di primavera lontana. Adolescente, intimamente agitato, con lo spirito assetato di libertà e di piacere col cuore ripieno di un desiderio indefinito, quale d’ordinario suol essere il cuore d’ognuno, negli anni pericolosi d’una inoltrata adolescenza, su la soglia quasi della giovinezza adolescenza, pregando qui, ritrovai la pace e ebbi la grazia di cercare nel bene la mia felicità, e per la prima volta lontanamente, nelle sue parvenze m’arrise il sogno d’una vita d’abnegazione e di umile apostolato nel sacerdozio cattolico. Passarono poi degli anni e quando alla vigilia della mia ordinazione sacerdotale quel sogno fu per divenire realtà, intesi forte il bisogno di ritornare qui, fra queste mura a prepararmi al compimento di esso. D’allora tutte le volte che io prego in questo santo luogo mi si rinnovella nell’anima il gaudio, la pace, e la gioia trepida e soave di quelle ore. Sono solo pochi giorni, e mi fu dato verso sera ristare ancora una volta pregando in questa cappella, e tutto questo ancora una volta soavemente provò l’anima mia. Ed ecco che questa mattina più intensamente ancora lo sento, e perché celebro i divini misteri su quest’altare e perché sono circondato da voi, miei compagni carissimi, che fra queste mura viveste la vita che io vissi, ed aveste con me comune l’educazione della mente e del cuore. Anche per voi è ricco di memorie questo luogo! Ed anche le vostre memorie come le mie s’incentrano in Maria, sulla nostra Immacolata! Ricordate quando giovanetti ai piedi di quest’altare demmo il nostro nome alla sua Congregazione e solennemente ci consacrammo a Lei. Ricordate qualcuna di quelle vostre Comunioni più fervorose e più spontanee, allorquando sperimentaste la dolcezza che prova un’anima, che ha la coscienza pura e degnata degli amplessi del suo Dio. Oggi più che mai abbiam bisogno che questi ricordi rivivano in noi. La nostra fede corre pericoli; quanti dei nostri coetanei negano la religione, e quanti sedotti dal piacere sono immersi nel fango.

È Maria, la nostra madre celeste, che in questo giorno ci ha raccolti ai piedi di quest’altare, ove divenimmo suoi, per ritemprare nel bene le nostre volontà, coi cari ricordi dei nostri anni primi, per ritrarci dalla via dell’errore e del piacere se mai sventuratamente mettemmo in essa il piede. Se errammo se per la nostra fragilità miseramente cademmo, Essa è la Madre buona e amabile, che ci rialza con la sua mano pietosa e ci ritempra ad una vita novella. Essa è qui e ci rammenta che questa terra non è luogo di vani piaceri, ma soltanto luogo d’assiduo lavoro, nel renderci utili alla società civile, nella pratica del bene, nell’acquisto della virtù, pel conseguimento del cielo. I piaceri del mondo, per quanto vaghi e seducenti, ci rendono vili, molli ed abbietti, nascondono in sè la morte, rendono tormentosamente inquieto il nostro spirito, ci mettono l’inferno nel cuore.

Se poi talvolta le nostre menti devono sostenere l’attacco di teorie che tentano di strapparci il tesoro della nostra coscienza religiosa, il tesoro della fede, Maria è l’astro benefico che darà luce al nostro intelletto e lo salverà dall’errore. ogni anno che passa scrive nei suoi fasti nuove vittorie di Maria: sono anime, sono ingegni eletti, che avevano smarrita la fede e che per Lei la ritrovano. E come nel secolo non ha guari tramontato – vedemmo il Manzoni, il Littrè, lo Schouvaluff, il Cohen, da scettici da nemici della religione, divenirne apostoli – e così in questi ultimi anni abbiam visto il Brunetiére, il Coppée, il Rettè, e l’Hnysmans rapidamente passare dall’errore alla verità. Quest’ultimo è morto quest’anno, vestito dell’umile bene degli oblati benedettini e la sua morte, cristianamente eroica, è stata oggetto di stupore e d’ammirazione anche ai nostri nemici. Egli stesso volle partecipare di suo pugno la morte ai suoi più intimi, e con fervore insolito si dispose al Sacramento dell’Estrema Unzione. Ed ai medici che volevano con iniezioni di morfina alleviargli i dolori Egli disse: “Ah volete impedirmi di soffrire, volete cambiarmi le sofferenze che Iddio mi manda, nelle cattive gioie della terra, questo io non ve lo permetto”. Il Rettè è tuttora vivente, la sua conversione è avvenuta quest’anno, e testé ha dato alla luce un libro in cui con la storia dei suoi errori racconta ancora la sua conversione, e nella prefazione di esso egli chiama Maria “La Vergine Immacolata” “la mia dolce stella del Mattino”. Questi esempi coi quali Iddio, o miei cari compagni, rischiara sempre meglio il cammino della vostra vita, rendano più ferme e salde le vostre convinzioni religiose, il vostro attaccamento alla Fede. Sia che ancora attendete agli studii, sia che già inoltrati nella vita, vedete sorgervi intorno una nuova famiglia che è vostra, e già il vostro cuore è allietato dal nome di sposo e di padre, voi avete il dovere di professare questa fede, di propugnarla, di difenderla, e soprattutto di coltivarla e di salvaguardarla nel cuore dei vostri figliuoli. Oh, credetemi essa sola ha la soluzione dei problemi che tanto travagliano l’età nostra, essa sola ci rende veramente felici.

A confermarvi in essa, e a rendere ancora più saldi i vostri cuori contro i piaceri del senso e le potenti seduzioni della nostra corrotta natura, Maria, la nostra dolce madre, per mezzo mio v’invita a venirvi a cibare della carne del suo Gesù. Egli è Via e farà volgere al bene i vostri passi, è la Verità e sarà luce alle vostre menti assetate del vero. Egli infine è la vita e vi salverà dalla morte del peccato. Umilmente adunque prostrati ai suoi piedi, coi sensi d’una fede umile e schietta, ripetetegli nell’intimo del vostro animo.

O Gesù, invitati dalla tua Madre Immacolata noi veniamo a Te, veniamo per fruire delle gioie purissime del tuo amplesso divino. È questo il luogo ove Tu tante volte per lo passato ci colmasti dei tuoi favori, e con amore infinito compatisti alle nostre miserie, perdonasti i nostri peccati, non tenesti conto della nostra ingratitudine. Noi veniamo a Te, e il tuo Cuore di Padre amorosamente ci accolga ancora una volta, né permettere che da Te ci separiamo mai più. Salvaci dall’errore e con noi salva coloro che amiamo con amore puro e benedetto da te; rendici amari i piaceri della terra, sicché solo al bene si volgano i nostri passi, e solo ad affetti puri e casti si schiudano i nostri cuori. Rivesti la nostra debolezza con la tua fortezza divina e rendici invitti contro tutti nostri nemici, sicché un giorno quest’esilio ci si muti nel possesso della Patria ove a Te e alla tua Madre Immacolata, scioglieremo l’inno della lode e del ringraziamento eterno.

Fervorino di Prima Comunione

Fervorino di Prima Comunione

Predicazione A (pagg. 17-20) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 2 bis.
* Foglietto autografo del S. D., scritto fronte retro.
Fervorino di Prima Comunione per la sorella Margherita e le sue compagne del Convitto S. Dorotea di Napoli. (Il S. D. commemora il mistero della Ascensione al Cielo e l’incarnazione di Cristo nell’Ostia Santa). (28 maggio 1908).

(Scritto da altra mano):


FERVORINO DI PRIMA COMUNIONE – Maggio 1908[1]

Compiuto il mistero della sua passione, dopo aver provato agli uomini con molte apparizioni la sua risurrezione Gesù era per lasciare la terra ed ascendere al cielo. Gli apostoli gli erano intorno mesti per la sua dipartita ed Egli con amore ineffabile li consolò promettendo loro la venuta dello Spirito Santo, e ricordando ad essi quel che già aveva detto prima della sua passione. “Io non vi lascerò già orfani;… come figli che sono orbati del padre… ecco che tutti i giorni resterò con voi”. E mentre circonfuso di gloria Egli ascendeva al Padre che è nei cieli, restava anche su questa terra nascosto sotto le specie del Pane, qui nel S. S. Sacramento dei nostri altari, per non lasciare orfani i suoi apostoli ed i suoi discepoli e tutti coloro che attraverso i secoli credendo in Lui sarebbero stati veri suoi figliuoli.

Ed ora dopo XX secoli in questo giorno in cui la Chiesa commemora il Mistero dell’Ascensione di Gesù è, giusta la sua promessa, qui su quest’altare per donarsi la prima volta a voi e farsi cibo delle vostre anime. Egli il vostro Divin Maestro è qui, e vi chiama = Magister adest et vocat vos-.

Lungamente Egli ha sospirata quest’ora nelle ansie del suo cuore ardente. Oh quali ineffabili dolcezze ha riserbato alle vostre anime in questo suo primo amplesso.

Il mondo incredulo non comprende, non può comprendere la sublimità del mistero che oggi si compie per la prima volta nelle vostre (anime). Egli ignora come quest’ostia santa, questo pane misterioso di vita che voi siete per ricevere la prima volta, è la segreta origine di quanto di veramente grande e di veramente nobile ha la storia. E’ stato questo pane di vita che di poveri fanciulli, di deboli donzelle formò invitte eroine, che in mezzo al fango e alla corruzione del mondo pagano fece germinare tanti gigli di purezza e di virtù; che attraverso i secoli fu ispiratore di quante opere di civiltà e di amore sorsero a benefizio degli uomini tutti. E se sarete fedeli, se ogni giorno verrete a cibarvi di questo mistico pane, esso vi conserverà buoni e quando poi divenute grandi entrerete nel mondo, esso vi preserverà dal fango e dalla corruzione, serberà puri gli affetti del vostro cuore, vi farà apparire come angeli nel seno delle vostre famiglie, e formerà di voi donne dall’animo civile, e forte, virtuose e sagge, di cui oggi più che mai ha bisogno la società civile rammollita nel vizio.

Venite, venite adunque a ricevere questo pane di vita a cibarvi delle carni del vostro amato Signore, egli è qui e con amore ineffabile a sé vi chiama Magister etc. Venite vestite di bianco. L’ampia distesa del mare, che lambe i piedi a questa ridente collina, il vivido azzurro di questo bel cielo di Maggio, l’olezzo dei fiori vi circonda, le armonie che echeggiano fra le mura di questo sacro recinto non sono che un languido riflesso della sua bellezza divina. Venite, la Vergine Immacolata, che tanto fervidamente pregaste etc. a voi sorride da quest’altare. Essa in quest’anno cinquantesimo delle sue apparizioni a voi dona il suo Gesù. Venite e le dolcezze ineffabili di quest’ora solenne siano indelebilmente scolpite nella vostra anima, vi accompagni sempre sino alla più tarda vecchiezza, e il ricordo vi preservi sempre dal male vi sia in ogni ora potente incentivo al bene.

I vostri cari vi fan corona d’intorno e con voi e per voi pregano, venite adunque, e nel fervore delle vostre anime dite pure a Gesù: O Gesù, con amore ineffabile, c’inviti a venire a Te, e noi mosse dal tuo invito amoroso piene di fede veniamo a Te. Siamo piccine fanciulle, nulla abbiamo da offrirti, ma Tu, benchè Dio d’infinita grandezza trovi le tue delizie fra le anime semplici ed infantili, e durante la tua dimora su questa terra, volesti che i fanciulli fossero intorno a farti corona, e li degnasti dei tuoi baci, delle tue carezze della tua benedizione divina. Sinite parvulos venire in un’ora avventurata ripetette il tuo cuore, e queste stesse parole par che vada ripetendo in questo momento invitandoci a sé. Ed ecco che noi veniamo a Te, se nulla abbiamo da offrirti abbiam peraltro il nostro cuore, e in quest’ora solennissima della nostra vita a Te l’offriamo e consacriamo per sempre. Degnati di prenderne e stabile e pieno possesso. Le dolcezze ineffabili di questo tuo primo amplesso divino lo rapiscono e lo conquidano per sempre, sicchè ami sempre ciò che è veramente.

Alla vigilia della sua passione, Gesù sedeva a mensa coi suoi apostoli, compiendo per l’ultima volta il rito della Pasqua degli Ebrei. Essi gli erano intorno mesti e silenziosi, ed Egli con amore ineffabile prese a consolarli rivolgendo loro parole dolcissime che rivelano tutto il suo amore infinito … Non si turbi il cuor vostro, né l’ansia e il timore l’opprimevano… io non vi lascerò già orfani.

E da quell’ora infatti Egli compiendo uno dei più grandi miracoli, uno dei più sublimi misteri, istituiva il Sacramento dell’Eucarestia, mediante il quale sotto le specie del pane e del vino, rimaneva per sempre coi (suoi) apostoli e coi suoi discepoli e con quanti attraverso i secoli, credendo in Lui sarebbero stati i suoi figliuoli amatissimi.

Buono ciò che è veramente puro e nobile, ciò che è santo e benedetto da Te. E quando un giorno contro di esso insorgerà la nostra corrotta natura le passioni degli anni giovanili, sii tu il nostro scudo di difesa, scampaci dal pericolo, sicchè per Te la nostra vita sia adorna di ogni virtù., sia fecondissima di bene, e sia apparecchio alla vita interminabile del Cielo.

  1. Dal Taccuino delle Messe apprendiamo che è la prima Comunione della sorella Margherita. Ecco il testo: “28 Maggio 1908. Napoli. Convitto S. Dorotea. In suf. di D. Giuseppe Torre e di papà, per quel povero giovane e per Margherita e le compagne sue di 1a Comunione”.

Discorso di Prima Messa

Discorso di Prima Messa

Predicazione A (pagg. 25-55) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 5.
* Da Quaderno a righi, con copertina, composto da 42 facciate autografe del S. D.
Discorso di Prima Messa. E’ un’appassionata apologia sulla figura del sacerdote con molti esempi di vite sacerdotali, intensamente vissute (1908/1909).

DISCORSO DI PRIMA MESSA

(Pax vobis) Sicut misit me Pater et ego mitto vos.

Un giorno – non sono molti anni – dal libro d’un padre dopo la festa della prima messa solenne d’uno dei suoi figliuoli raccolsi questa confessione “Non ho mai provato gioia più piena e più sentita che questa, che mi viene dalla festa di oggi, essa vince di gran lunga quella provata nei giorni più lieti della mia vita”. Eppure, egli, ricco, ricolmo da Dio di molti beni, molte soddisfazioni aveva avute, molte consolazioni aveva provate e nella sua vita pubblica e nella sua vita domestica. Né per questo la sua confessione era men vera. Essa era anzi tanto più sincera, in quanto quattro anni innanzi, al figlio che domandavagli di seguire la sua vocazione non senza riluttanza aveva dato il suo consenso[1]. “Non ho mai provato gioia più piena e più sentita di questa che viene dalla festa di oggi, essa vince di gran lunga quella provata nei giorni più lieti della mia vita”. Avventurato padre, egli aveva ragione, e il sentimento suo è il sentimento universale dei fedeli. Essi sentono che niuna festa fa vibrare più soavemente e più dolcemente le corde più delicate del loro cuore, e inebria il loro animo d’una pace e d’una dolcezza ineffabile, quanto la festa della Chiesa, e tra le feste della Chiesa quella della prima Messa. Voi lo sentite in voi, o miei cari fratelli; quanta differenza corre tra quello che prova il vostro animo in questo momento, e quello che prova nelle feste del mondo anche buone ed oneste alle quali qualche volta piglia parte. Le feste del mondo tengono sempre i nostri spiriti ristretti negli angusti confini della terra, e noi, noi che siamo fatti per l’Infinito, anche in mezzo ad esse, sentiamo nel fondo della nostra anima un vuoto, che ci lascia sempre stanchi ed insoddisfatti. Le feste invece della Chiesa sollevano in alto il nostro spirito, lo ravvicinano a Dio, all’Infinito, al quale noi, anche senza saperlo irresistibilmente aspiriamo, e fanno perciò provare al nostro cuore dolcezze sovrumane, e ci fanno pregustare qua giù qualche cosa delle delizie del Cielo. E tra le feste della Chiesa la più feconda di queste mistiche gioie è la festa della Prima Messa perché in essa Dio lo sentiamo più vicino, sensibilmente lo vediamo quasi in mezzo a noi nella persona divina di Gesù Cristo. In questa festa Gesù Cristo è da una parte invisibilmente ma realmente presente in mezzo a noi sotto le apparenze dell’ostia che il novello sacerdote consacra, ma dall’altra noi in qualche modo lo sentiamo, lo vediamo, sensibilmente in mezzo a noi nella persona del sacerdote. Se voi domandate che cosa è il sacerdote? Io vi risponderò :” E’ un uomo che (è) la figura vivente di Gesù in mezzo al popolo dei fedeli che ha gli stessi poteri divini di Gesù”. Vi sembra forse un’esagerazione la mia? Eppure è Gesù stesso che ha costituito tale il sacerdote. Agli Apostoli, ai primi sacerdoti creati da Lui nella maniera più solenne Egli ripetette: “ Così come il Padre ha mandato me, io mando voi”.“ Sicut misit me Pater et Ego mitto vos”. Io sono la vita, la verità, la via Ego sum etc. e così anche voi attraverso i secoli dovete essere per il popolo cristiano la vita, la verità. La via.. E come io nell’essere vita, verità, via mi sono fatto al mondo sorgente inesauribile di pace, di luce e di conforto, così voi a somiglianza mia sarete attraverso i secoli per il genere umano angeli di pace, angeli di luce, angeli di conforto. Il sacerdote figura vivente di Gesù in mezzo al popolo dei fedeli, come Gesù, Vita, Verità e Via, alle genti e quindi ad esse angelo di pace, angelo di luce, angelo di conforto, ecco quanto tenterò mostrarvi. Lo farò a brevi tratti e assai imperfettamente a causa della ristrettezza del tempo, non potendosi argomento così vasto e così profondo trattare in un semplice discorso, ma più ancora a causa della mia insufficienza. Supplirà la grazia del Signore, supplirà la materna intercessione di Colei, che in modo speciale è madre e Regina dei sacerdoti, e voi così conoscerete l’intima causa dell’esultanza vostra in quest’ora. Voi esultate perché vi sentite più vicini a Dio, nel vedere la divina figura di Gesù, ancora una volta riprodursi in mezzo a voi, nella persona del novello sacerdote, al quale, fate lieta corona. Sicut misit me Pater et ego mitto vos. Ed anche tu, mio fratello carissimo, conoscerai l’intima causa dell’esultanza del tuo spirito in quest’ora, in cui per la prima volta ascendi l’altare. L’onnipotenza divina ti ha trasfigurato in Cristo, ti ha trasumanato in Lui, e come Lui, e per mezzo di Lui ti costituisce in mezzo a mondo Vita, Verità e Via. E a chi diviene sacerdote, per vera vocazione divina e non per vedute (umane) ascende, e non vi ha gioia maggiore di questa, che il sentirsi continuatori della divina missione del Redentore in mezzo al popolo. Sicut etc. E’ questo che con tutta ragione ci fa riguardare il giorno della nostra prima messa come il più bel giorno della vita. Ed io lo sperimentai, fratello carissimo, ed in quest’ora, per te, ancora più intensamente lo sento, sicchè l’esultanza tua è anche esultanza mia. Giovane appena ventenne, sentii prepotentemente in me le ineffabili dolcezze della vocazione divina, della chiamata a Dio, e da quel momento lo stato sacerdotale formò il sogno della felicità del mio avvenire, ed ora la realtà ha vinto di gran lunga il bel sogno, bacio con indicibile trasporto d’amore quest’umile sottana, questa povera divisa del sacerdote cattolico. Per essa mi fu un niente rinunziare a tutto: sento d’amarla più che la mia vita istessa, e al suo confronto sono per me un nulla, gli onori e il plauso degli uomini, e persino lo scettro e la corona dei re. Tale sovrabbondanza di ineffabili gioie racchiude in sé, la sublime dignità della quale Gesù ci riveste ripetendoci con infinito amore “Sicut etc.”.

“Siccome il Padre ha mandato me ecco che io mando voi”. Per queste parole solennemente dette da Gesù Cristo ai suoi apostoli, suoi primi sacerdoti, e per mezzo di essi a tutti i sacerdoti loro successori, il sacerdote cattolico è costituito attraverso i secoli, figura vivente di Gesù in mezzo al popolo dei fedeli, continuatore della divina missione. E come Gesù ha riassunto Egli stesso la sua missione in queste parole :” Io sono la Vita, la Verità, la Via” così ha costituito il sacerdote Vita, Verità e Via del genere umano, e in rapporto di ciascuna di queste tre cose, sotto aspetti diversi il sacerdote cattolico si fa ad esso Angelo di Pace, Angelo di Luce, Angelo di conforto. Il sacerdote è vita. E’ la vita delle nostre anime che sono morte alla vita soprannaturale della grazia per il peccato. Quando noi nasciamo l’anima è morta per il peccato originale, per il peccato del nostro primo padre Adamo, essa è morta alla vita eterna. Incapace di compiere opere buone per il Cielo, sono chiuse per essa le porte del Cielo. Ecco viene il sacerdote, la purifica col battesimo, e le porte del Cielo si aprono, ed essa risuscita alla vita soprannaturale della grazia.

Più tardi quando l’uomo divenuto adulto ha avuto la sventura di perdere col peccato quella vita che aveva riacquistata nel battesimo, e giace infelice nel lezzo dei suoi peccati, è il sacerdote che gliela ridona, e che rappresentante autentico di Gesù Cristo gli ripete: “Io ti assolvo dai tuoi peccati… tornino alla vita le tue opere buone, quanto sinora hai sofferto, in virtù dei meriti di Gesù Cristo ti si muti in premio per la vita eterna”. E questa vita poi il sacerdote alimenta in lui con la Santa Comunione, corrobora e fortifica negli anni della crisi dell’adolescenza col sacramento della Cresima, sorregge nella lotta suprema dell’ultima agonia con l’Olio Santo. Andate a confessarvi alla Vergine S.S.ma o ad un angelo: vi assolveranno essi? No. Vi daranno il corpo e il sangue di nostro Signore per alimentare la vita della vostra anima? No. La Madonna non può far discendere il suo Divin Figliuolo nell’ostia. Avreste pure vicino duecento angeli, ancora non potrebbero assolvervi. Un prete, un sacerdote, per semplice che sia lo può, può dirvi: “Andate in pace: io vi perdono” e così ridonare alle vostre anime la vita, perché Gesù Cristo stesso in persona l’ha rivestito dei suoi divini poteri e l’ha costituito così vita delle anime nostre.

Sorriderà l’incredulo a queste parole e non mi fa maraviglia: esse sono il linguaggio della Fede, di quella fede alla luce della quale egli ha volontariamente chiuso gli occhi e per ciò non può intenderle. Ciò nonostante se fosse spassionato, dinanzi al sacerdote cattolico dovrebbe inchinarsi riverente. Il sacerdote quando ridona a un’anima la vita soprannaturale della grazia, la rigenera ancora alla vita morale e la rende utile e benefica a tutta la società civile. L’influenza quindi salutare del sacerdote penetra nella famiglia, penetra nell’organismo sociale e tutto purifica e tutto ravviva sotto questo aspetto anche colui che non crede dovrebbe venerarlo. Che cosa è S. Agostino quando giovane trentenne mette piedi in Milano? Un orgoglioso ed un impuro, ce lo confessa egli stesso? Che cosa avrebbe avuto in lui la società civile d’allora? Un corrotto e un corruttore? Ecco egli si accosta a S. Ambrogio, al sacerdote cattolico, è da lui rigenerato alla vita soprannaturale della grazia, e per questo stesso egli diviene un angelo di purezza, che mille altre ritrae dalla vita del vizio. L’Africa acquista in Lui un protettore, un difensore, un sostegno, in mezzo alla desolazione delle invasioni barbariche, il mondo un luminare ed un dottore. Ecco quel nobile giovane della famiglia dei Corsini in Firenze, egli batte la via lubrica del vizio, è lo scandalo della sua città, le sue ricchezze profonde per il male, si accosta a lui il sacerdote cattolico, lo rigenera alla vita della grazia e per questo alla vita morale, ed ecco che egli diviene l’aiuto dei miseri, il consolatore degli afflitti, il pacificatore dei Bolognesi sul punto di venire a guerra civile, l’apostolo di Fiesole, l’esempio di Firenze, nel secolo XIV. E qui vorrei poter presentare sotto il vostro sguardo tante esistenze strappate al ludibrio, alla corruzione, reintegrate alla vita morale, rifatti così da esseri nocivi in esseri benefici alla società civile. Vorrei potervi dire ancora delle migliaia di giovani strappati alla corruzione e ridonati alle loro famiglie di cui poi formarono la consolazione, da un Filippo Neri, da un Giovan B. De Rossi, e da centinaia e centinaia di sacerdoti rimasti occulti nell’umile esercizio del loro ministero. Ad un giovane che non è molto ha conseguito la laurea nell’Università di Napoli e che ora forma il sostegno e la consolazione della sua famiglia, laddove tanti e tanti altri ne sono la desolazione, io domandava: “come faceste, allorquando solo, libero di voi, abbandonato a voi stesso, lontano dai vostri in mezzo a tanti pericoli che circondano in Napoli il povero studente che viene da fuori come faceste a conservarvi puro. “Quanto intesi gli stimoli del male, io cercai la mia forza nella parola di un santo prete, del quale avevo inteso parlare. Egli mi accolse con bontà paterna, fui conquistato da tanta virtù, e d’allora in poi ogni otto giorni tornai a lui a confessarmi. I suoi consigli, le sue esortazioni la sua paterna carità, nelle ore più critiche mi hanno preservato dal cadere nell’abisso..” E un altro giovane mi scriveva non è molto:” Io ero ingolfato nei vizi più degradanti, quando un mio amico mi fece conoscere il sacerdote, che oggi è mio padre spirituale, al quale io devo il grande mutamento che è avvenuto in me”. E così potrei andare innanzi nel citarvi esempi e mostrarvi il sacerdote rigeneratore della vita morale negli individui, se il tempo me lo consentisse. Vi mostrerei come per questo stesso egli sia ministro di vita nella famiglia, nella società. Quanti padri, quante madri, che furono raro esempio di virtù domestiche, modello di fedeltà coniugale, eroi di sacrificio e di abnegazione, furono sorretti e formati dalla parola del sacerdote. Accanto a S. Monica troverete S. Ambrogio, accanto all’ammirabile Giovanna di Chantal Francesco di Sales, accanto a Caterina Fenelon Giangiacomo Olier e così di seguito accanto al generale De Sonis al presidente Favres, accanto a tutti gli eroi della famiglia cristiana troverete sempre il sacerdote, ministro di vita. Ed ora come poter dire brevemente della sua influenza vitale nel campo sociale e civile? Tutto ciò che ha compiuto di grande il cristianesimo in questo campo voi troverete che si fonda e si poggia tutto sul sacerdote. “Non muterei neppure un atomo della civiltà cristiana, con la più raffinata civiltà antica di Grecia e di Roma”, ripeteva con spassionata equità il professore di una delle nostre Università che pur non si professa cattolico. Orbene chi fu il pioniere, il banditore di questa civiltà? Il sacerdote, il prete. E ai nostri giorni in cui la questione sociale è divenuta questione esiziale di vita per la società civile, chi è che ci ha additato la soluzione di essa non in nome dell’odio e della lotta di classe, ma in nome dell’amore, propugnando l’elevazione morale e materiale delle classi umili, senza che siano lesi i diritti della giustizia a pro’ delle altre classi. E’ stato il sacerdote, è stato il prete? Dovrei qui dirvi dell’Enciclica di Leone XIII sulla questione operaia, di tutto quello che essa ha compiuto in Inghilterra mercè l’opera d’un Manning, nel Belgio, mercè l’opera d’un Doutrelouse e dei suoi cappellani del lavoro, nella Francia mediante l’opera di un Lemire, in Germania d’un Ketteler, in Italia mediante un Luigi Cerutti, un D. Baratta e così oltre ma abuserei della vostra pazienza. Oh siate benedetto, siate benedetto Signore Gesù, che venuto dal Cielo per darci la vita, e darcela in sovrabbondanza Ego veni etc. costituiste attraverso i secoli i vostri sacerdoti ministri di questa vita soprannaturale, morale, sociale. Ed ecco, intanto, o miei fratelli, che il sacerdote, perché si fa ministro di questa vita, diviene il vostro angelo di Pace. Va in pace, la pace sia con voi, sia pace a questa casa e a tutti i suoi abitanti, egli ci ripete nell’esercizio delle sue più sublimi funzioni. E la pace, questo dono supremo dello spirito umano l’individuo e la società la rinvengono ai piedi del sacerdote ministro di vita. Ecco Adolfo Rettè, il celebre scrittore francese, socialista rivoluzionario, di recente convertito al cattolicesimo. Nel libro in cui ci racconta la sua conversione, con mirabile vivezza di colori ci descrive la desolazione, lo stato orribile del suo animo che non può aver pace, eppure egli ha bevuto a larghi sorsi al calice del piacere, non si è negato soddisfazione alcuna. Disperatamente assetato di pace, egli la cerca nella solitudine sulla vetta d’un alto monte ove s’erge una statua della Vergine. Stanco siede sopra una roccia, mette la testa fra le mani e angosciosamente va ripetendo a se stesso :”Che cosa fare? Che cosa fare?” Ed ecco che dall’intimo della sua coscienza ode una voce misteriosa, dolcissima che gli ripete:” Va a trovare un prete. Liberati dal fardello che ti accascia, e poi entra risolutamente in seno alla Chiesa Cattolica … e avrai la pace.” Più tardi, quando dopo molte lotte interiori, si è recato ai piedi d’un povero prete, l’umile vice – curato di S. Sulplizio in Parigi, noi lo vediamo con le lagrime agli occhi, col volto raggiante di gioia ripetere al buon sacerdote :” In grazia vostra, o Padre, ricupero finalmente quella pace interna, che credevo di avere perduta per sempre”.

Ecco là sugli albori del secolo XIV, oltre le sponde della Magra il Convento del Corvo: un giorno alla porta di quel Convento picchia un forestiero dal volto grave e severo, dallo sguardo vivacissimo ed al frate che gli apre e gli domanda che cerchi, risponde “Pace”. Quel forestiero è Dante Alighieri che viene a cercar la pace pel suo spirito ai piedi di un povero monaco ai piedi del sacerdote. Siamo a Londra nel 1889: è scoppiato il terribile sciopero dochsers che in breve si è diffuso ed altre classi di operai ed è divenuto lo sciopero formidabile di ben duecentomila uomini. La pace della grande metropoli inglese è turbata, le autorità civili, il gran funzionario della città, persino il vescovo protestante hanno tentato inutilmente una soluzione pacifica, quando ecco interviene il vescovo cattolico, il Card. Manning, che dimentico della sua nobiltà è vissuto sempre in mezzo ai figliuoli del popolo. Egli porta in mezzo a quelle masse il suo cuor di padre, di sacerdote cattolico, propone un’equa soluzione, che viene tosto accettata dall’una e dall’altra parte: e lo sciopero cessa, Londra riacquista la pace. Ai capi delle leghe socialiste che non volevano fare accettare le proposte del ministro di Dio, egli, fiero di santa dignità risponde: “Voi non volete accettare, ma sappiate che in mezzo a questi ben 35 mila scioperanti riconoscono in me il loro padre e pendono da un mio cenno, se voi non accettate, essi accetteranno e lo sciopero finirà egualmente”. E i socialisti loro malgrado dovettero cedere. E allorquando il capo di essi con livore gli diceva: “Ma che sapete voi, prete cattolico, dei dolori e delle miserie del popolo, da osare d’intervenire in questo sciopero pretendendo di apportarvi rimedio?” “Sono 25 anni, egli rispose, che io prete cattolico nella mia povera cattedrale, e nelle stamberghe dei quartieri bassi di Londra ascolto le confessioni e rasciugo le lagrime dei poveri figliuoli del popolo, e circa i loro bisogni, gli intimi loro dolori, o le occulte miserie credo di sapere qualche cosa di più, di quel che non sappiate voi”. L’accenno fugacissimo di questi pochi fatti, riflesso delle centinaia e centinaia di fatti simili onde è piena la storia intima delle coscienze umane e la storia interna di popoli, non vi mostra sino all’evidenza come il sacerdote nell’essere ministro di vita al mondo vegli accanto all’individuo, accanto alla società civile angelo soavissimo di pace?

Ma Gesù ha detto .”Io sono la Verità” ed il sacerdote che è figura vivente di Lui diviene ministro di verità al mondo, e nel farsi tale egli è angelo di luce. Oh quanto mi dispiace che la brevità del tempo mi vieta di dilungarmi. Sono costretto ad accennare e a passare oltre. Il nostro intelletto è fatto per la verità e non ha pace né riposo finchè non giunge a possedere la Verità per essenza Dio. Chi è che gli da il possesso di quest’oggetto supremo dei suoi sospiri? Il sacerdote, il prete. Allo spirito umano, assetato di verità, che si propone i più ardui e vitali problemi. “Donde il mondo? donde l’Uomo? qual è il suo fine? perché il dolore? perché la morte? come tutto finirà?” risponde il sacerdote cattolico togliendo in mano il vangelo, che è il codice della Fede. E la sua risposta è semplice, ma profonda; breve ma pienamente soddisfacente; umile ma fecondissima di bene. L’uomo col vangelo che riceve dalle mani del sacerdote non ha più alcun dubbio sul diritto naturale, sul diritto politico, sul diritto delle genti. Leggete quello che su questo punto hanno scritto il Jonffroy, il Manzoni nella sua Morale Cattolica, e il celebre conte di Schouvaloff sul libro ove fa la genesi della sua conversione. Né vale qui l’accusa che da alcuni si muove al sacerdote, che cioè mentre egli si fa banditore delle verità della fede, delle verità di ordine soprannaturale, diviene nemico delle verità di ordine naturale, nemico della scienza. Dovrei qui mostrarvi come fra la fede e la Scienza vera non vi è, non vi può essere conflitto alcuno. Come sia falsa scienza quella che sotto pretesto di svelare agli uomini verità intellettuali, cerca di propagare errori morali. Dovrei mostrarvi come il nostro Dio è il Dio della scienza, e la scienza discoprendo le ascose leggi delle cose, e arricchendoci di tante scoperte di cui va superba l’età nostra, non fa che scoprire ad una ad una le parole di cui si riveste il pensiero divino. Dovrei mostrarvi come la Fede e la Scienza hanno entrambe origine da Dio e come insieme si danno il bacio fraterno. Ma il tempo lo vieta. Che il sacerdote non sia nemico della scienza, che il sacerdote non sia ignorante ve lo dice la storia. Ve lo dicono le badie benedettine divenute centro di cultura in mezzo all’irrompere dei barbari nel Medio Evo, ve lo dicono le prime università sorte in Europa fondate dalla munificenza dei Capi di Roma sulle cui cattedre sedettero un Anselmo, un Alberto Magno, un Tommaso d’Aquino, un Giovanni Duns – Scoto un Alessandro Sauli. Ve lo dicono un Copernico, un Cardinal Chiusano, un Gregorio XIV, ed infiniti altri, un S. Carlo che col suo cugino Federico Borromeo profondono le loro ricchezze per la fondazione della biblioteca ambrosiana in Milano. E per venire all’età nostra mi chiamerete ignorante il Boscovvicth, il Piazzi, il Secchi, lo Stoppani, il Denza, ignorante Vito Fornari e Luigi Tosti, ignoranti Mauro Ricci, il Bindi, il Balan, il Garrucci, Ignorante il Mercier, che dopo aver tenuto con tanto lustro la cattedra di filosofia nell’Università di Lovanio, riceveva il primo premio dalla commissione belga, e della quale facevan parte anche increduli, la quale ha giudicato le sue opere filosofiche tra le più profonde e le più erudite e le più geniali, pubblicate oggigiorno? Ignorante il prete, e non vedete che oggi il Giappone volendo fondare le sue prime università, vi chiama, per fondarle i Padri della Compagnia di Gesù? “Sì, ma i preti del mio paese sono tutti ignoranti” mi ripeteva tempo fa in treno un giovane studente del 1° anno di legge d’uno dei paesi di questa nostra provincia, il quale mi ripeteva la solita canzone del prete ignorante. Povero figliuolo! Ma anche dato e concesso che i preti del tuo paese siano tutti ignoranti, dovresti prima mostrarmi che il tuo paese sia tutto il mondo, poi avresti ragione, ma poiché il tuo paese è quel che è, cioè un atomo solo rispetto al mondo intero, va studia prima un po’ di logica, poi un po’ di storia, e poi vieni e ragioneremo insieme. Ma dilungarmi in questo argomento sarebbe inutile. Il sacerdote è ministro a noi delle verità soprannaturali, e se studia le verità nell’ordine naturale, se coltiva le lettere e le leggi profane, lo fa in secondo luogo, tanto per mostrare come tra la Fede e la Scienza non vi sia opposizione. Per mostrare ancora una volta quanto sia vero il detto di Bacone, ecc. Il sacerdote nel farsi a noi ministro di verità, diviene angelo, angelo di luce. E questa luce che emana dalle verità soprannaturali che il sacerdote ci rivela è la luce smagliante e benefica della civiltà cristiana. Per diffondere questa luce esso si fa missionario e rinunzia sinanco a quanto ha di più caro in terra, genitori e patria senza speranza di poterli rivedere giammai. “Si allontana per sempre per recarsi a passare la vita sotto climi funesti e in mezzo a popoli barbari e crudeli, presentandosi solo e indifeso, armato unicamente del proprio coraggio e del vangelo. A quei selvaggi che tremano di terrore, prostrati ai piedi degli idoli minacciosi, narra di un Dio di amore che vuole essere adorato in ispirito e verità, s’accinge ad insegnare la morale cristiana che doma i bassi istinti, a inculcare virtù sconosciute delle quali offre in sé stesso l’esempio. Lo spirito della guerra e dell’odio è la condizione normale dell’animo di quegli sventurati, e il missionario esige il perdono dei nemici, salutandoli con le parole “La pace sia con voi”. Il loro primo gesto è l’atto del furto e della rapina, e il missionario impone di fare la carità e di disprezzare i beni del mondo. Conducono la vita in promiscuità quasi animalesca, e il missionario li attira alle caste gioie della famiglia. Costringono i vinti alla schiavitù ed esercitano il traffico della carne umana, e il missionario dichiara che tutti gli uomini sono fratelli in Gesù Cristo, ingiungendo loro di spezzare i ceppi e le catene. Si fa finalmente e padre e madre ai loro teneri figlioletti dalla loro barbaria abbandonati a morire di inedia e di fame. E poi quanti pericoli per questo sacerdote tutto dolcezza e carità, che contrappone soltanto il crocefisso alle armi terribili, sospese ad ogni passo sopra il suo capo! Talvolta cade colpito fin dalla prima tappa del viaggio apostolico, senza aver potuto fare una sola conversione; ma ormai da molto tempo ha fatto sacrifizio della sua vita e va rassegnato incontro ai supplizi e alla morte. Ma che dico? Anzi desidera spera questa morte gloriosa e l’accetta con trasporto, convinto che il sangue dei martiri feconda una terra iniqua ancora più che l’acqua battesimale e che il nome di Dio, del quale confessa la fede in mezzo ai tormenti, non sarà dimenticato da quei persecutori, che il suo eroismo atterrisce e ch’ei benedice, esalando il supremo respiro. O miei fratelli, il missionario che diffonde la luce della civiltà cristiana nelle parti del mondo ancora barbare, persino all’occhio dell’incredulo è degno d’ammirazione. Sì, anche colui che non ha alcuna speranza e che nega l’esistenza di una vita futura – se almeno conosceva nel cuore il sentimento della grandezza – non può negare al missionario un palpito di commozione e di rispetto. E noi lo vedemmo, non sono molti mesi allorquando al Parlamento Italiano uno dei nostri deputati si levò per commemorare P. Michele da Carbonara, missionario delle colonie italiane nell’Etiopia, il ministero si associò pienamente a quelle parole di ammirazione e di lode pel sacerdote cattolico, e anche quella parte della camera che forma il blocco nemico giurato del nome cristiano, ascoltò quella commemorazione con reverente silenzio. Si, o miei cari fratelli, la storia delle missioni forma una delle pagine più belle della storia della Chiesa Cattolica, forma ancora la pagina più splendida della storia della Civiltà che ci addita il sacerdote cattolico Angelo di Luce. Da Francesco Saverio, che lascia l’avito castello dei Saverii in Ispagna, che abbandona la cattedra dell’Università di Parigi, ov’egli non ancora trentenne sedeva giovane maestro, e in mezzo a stenti e fatiche inaudite si fa apostolo dei barbari delle Indie, da Pietro Claver che si obbliga con voto a consumare la sua vita in mezzo ai mori dell’Africa; da Felice di Valois e Pietro Nolasco che formano due famiglie di sacerdoti, votate a strappare dalla terra l’ignominia della schiavitù, anche a costo della propria libertà e della vita; sino ai missionarii dei nostri giorni, ai Figli del Sacro Cuore, al Card. Lavigerie e ai suoi padri bianchi nell’Africa, ai sacerdoti dei seminarii delle missioni estere, ai figli di S. Francesco d’Assisi, che nell’Asia Minore sotto l’egida della Croce, mantengono ancora alto il prestigio di Italia, ai Signori della Missione, ai Gesuiti nella Cina, nell’Indie e nel Giappone, ai Salesiani in mezzo ai pelli rossi della Terra del fuoco dell’America del Sud, ai missionari del Sacro Cuore nella lontana Oceania, a Matteo Reipa, ad Angelo Andrea Zottoli, apostoli della Cina e che sono glorie di questa nostra provincia, di questa vostra città di Salerno, e tutto un inno di gloria, un inno universale, che si eleva dalla terra al cielo, che saluta il sacerdote cattolico Angelo di luce, di quella luce divina, che s’irradia dalla Croce.

Finalmente Gesù è la Via. Ah, ma qui risiede ciò che spaventa i nostri cuori, ciò che vi ha di penoso e di ripugnante per la nostra fiacca natura nella Religione. La via ch’essa c’insegna è la via dolorosa della Croce. Essa ci dice che alla verità si giunge soltanto col sacrificio e con la sofferenza. C’insegna che la vita presente è luogo di prova, ed è luogo di passaggio, che deve menarci al possesso dell’eterna vita lassù nei cieli, ed ecco il sacerdote che, figura vivente di Gesù, lungo questo doloroso pellegrinaggio si fa nostra via col consiglio, si fa nostra via con l’esempio e così facendo diviene a noi, all’umanità sofferente, angelo di celeste conforto. Nelle ore tristi, nelle ore angosciose del dubbio, nelle ore dell’accasciamento e dell’abbattimento morale, noi abbiamo bisogno di un cuore a cui confidarci, abbiamo bisogno d’una parola che ci rianimi, che sollevi in alto i nostri cuori. E questa parola, questo consiglio noi lo troviamo efficace solamente sul labbro del sacerdote che sia veramente tale, perché abbiamo bisogno che ci venga da qualcuno che pur essendo uomo, sia per altro rivestito d’un autorità e d’un potere che non viene dall’uomo, ma che gli viene dall’alto, gli viene da Dio. Questo ci spiega come intorno al sacerdote fervente troviamo sempre anime assetate di averlo guida, di averlo via. “Ogni giorno cresce il numero delle anime, che vengono a buttarsi fra le mie braccia e domandano la mia direzione, scriveva S. Francesco di Sales alla S. Madre di Chantal. Poveri figli quanto sento di amarli! Benchè il tempo mi manchi, benchè rimanga accasciato sotto il peso di tanto lavoro, pur non oso mandarli via, e fo come la chioccia che quanti più pulcini ha che corrono ad essa non ne scaccia nessuno, ma si sforza d’aprire sempre più le sue ali per accoglierli tutti”. Togliete in mano l’epistolario di questo santo, quello di S. Alfonso dei Liguori, essi formano dei volumi e voi resterete stupiti come questi santi sacerdoti in mezzo alle loro svariate prime occupazioni abbiano potuto scrivere tanto per farsi via dalle anime che ricorrevano a loro. Guardate ad Ars, piccolo villaggetto della Francia, siamo in pieno secolo XIX, non già nel medio evo, che cosa è mai quello sterminato accorrere di gente a questo povero villaggio? Ogni anno sono circa centomila persone che vi accorrono, persone alto locate, giovani studenti, professori, celebri oratori come il Lacordaire insieme col povero operaio, con gli umili figliuoli del popolo. Che cosa vengono a fare? Vengono per conferire da solo a solo con un povero prete, con l’umile curato d’Ars, vengono per avere da lui una parola che li consoli, che li illumini, che li diriga. Tutti poi partono soddisfatti, hanno trovato il sacerdote che si è fatto figura vivente di Gesù Cristo ed è stato ad essi via. E il sacerdote mistica via che c’introduce nel Cielo l’avremo sul letto della nostra agonia. Egli allora col bacio del Crocefisso rinfrancherà il nostro spirito affranto, lo fortificherà delle carni stesse di Gesù: e le sublimi preghiere che allora la chiesa gli pone sul labbro per noi, e le formole della sua assoluzione, saranno per noi l’eco avventurata della parola di Gesù, che anche noi come al buon ladrone:” Oggi, oggi stesso avranno termine i tuoi dolori, e verrai con me in Paradiso”. Hodie mecum eris in Paradiso. Ma lungo questo doloroso pellegrinaggio della vita presente il sacerdote si fa ancora via col suo esempio. A noi che dobbiamo nella vita presente seguire Gesù per la via dolorosa del Calvario, egli va innanzi dandoci l’esempio di totale rinunzia e di perfetta abnegazione e divenendo a questo modo pel genere umano l’Angelo di Conforto. Il sacerdote tutto immola tutto sacrifica per le anime, il suo tempo, le sue energie, la sua esistenza, e persino le pure e sante gioie d’una famiglia sua propria. Il vederlo sempre occupato sempre intento, o alla preghiera, o allo studio, o nelle opere di carità e del ministero, senza mai un momento d’intermissione, fece sì che io avessi concepito di lui la più alta stima – scrive S. Agostino parlandoci di S. Ambrogio. E così potrebbe dirsi d’ogni buon prete. Finalmente il sacerdote che nel giorno del suo suddiaconato offre e consacra a Dio il giglio della sua verginità e si vota ad una vita angelica, dona esempio mirabile a noi della rinunzia che dobbiamo fare ad ogni rea passione. Lo so che oggi si alza la voce contro il celibato ecclesiastico, eppure a prescindere che esso è stato sublime di perfezione insegnatoci da Cristo che fu vergine, che volle una Madre Vergine, vergine il suo padre putativo e il suo santo precursore, che ammise alla dolce intimità della sua amicizia un apostolo vergine: la verginità cristiana compie in mezzo alla società civile un’alta funzione, ed è al sacerdote condizione necessaria per compiere i doveri del suo ministero. “Se avessi una famiglia a cui pensare e moglie e figli a cui dovere attendere avrei potuto trattenermi con voi sì lunghe ore, e vegliare sino alla mezzanotte per sciogliere i vostri dubbi e le vostre difficoltà” Rispose S. Francesco di Sales ad una persona che dopo averlo trattenuto una mezza giornata per sciogliere i suoi dubbi, in ultimo voleva sapere da lui perché i preti cattolici si votano alla verginità. E’ la coscienza dei popoli che reclama di vedere nel sacerdote qualche cosa di angelico; che tra il sacerdote e un uomo probo qualunque vuole che vi sia tanto spazio quanto se ne ravvisa fra il cielo e la terra. Le anime pie, caste e pure, nei bisogni della loro anima fanno appello a quel sacerdote soltanto nel quale ravvisano costumi verginali ed angelici. Uno sguardo nella prigione di Maria Antonietta, sventurata consorte di Luigi XVI. Nella solitudine della stanza tenebrosa, nella vigilia della morte, aveva bisogno di sostegno, pregava che almeno i conforti religiosi non le mancassero. Presso la torre maledetta già scricchiolavano le ruote del carro che doveva condurla al patibolo. Oh dove è un sacerdote?… Datemi un sacerdote… Poco dopo si apre l’uscio… ecco un prete dalla veste linda, dal crine ricciuto lucente, tutto smagliante, vispo, amenissimo, profumato di tutte le acque odorose, fuor quelle dell’odore dell’unguento del celibato e della castità. Lo mira la sventurata regina, impallidisce, e poi con accento terribile esclama: “Non aspettavo voi… per cercare perdono a Dio… uscite, e ne aveva ben donde la pia e paziente matrona. Il celibato, la castità sono i raggi più belli che rendono il sacerdote il vero benefattore della società. (Da un discorso di Mons. Princi per la prima Messa di D. Aurelio Mazza). Se non fosse per la verginità cristiana chi provvederebbe a tanti orfanelli, a tanti sofferenti, a tanti derelitti. Il sacerdote consacra a Dio il giglio verginale del suo candore e per ciò diviene l’angelo del conforto dell’umanità sofferente.

Ed ora come dirvi tutto ciò che ha compiuto il sacerdozio cattolico nel campo della carità attraverso i secoli. Dagli apostoli che costituiscono l’ordine di diaconi per provvedere ai poverelli, a S. Leone, a S. Gregorio, agli altri santi pontefici di Roma che trasformarono la loro abitazione in ospizio per i bisognosi, a S. Carlo Borromeo che muore povero su di un misero lettuccio dopo aver profuso un patrimonio di milioni ereditato dal padre, nel fondare ospizi, nell’aprire orfanotrofi, nel soccorrere miserie d’ogni (genere) e poi giù giù sino a Girolamo Emiliano, padre degli orfani a San Giuseppe Calasanzio, G. B. De La Salle, educatori dell’infanzia povera e derelitta, a Bernardino de Feltre istitutore dei Monti di pietà è tutto un poema sublime di carità scritto a caratteri d’oro dal sacerdote cattolico. Né si può dire “Oggi quest’eroi non sorgono più”. Non sono forse dell’età nostra D. Bosco, il Ven. Giuseppe Cottolengo che fonda in Torino la sua piccola casa della Divina Provvidenza, che accoglie ben 5 mila persone, chiamata da uno scrittore francese l’enciclopedia della carità cattolica. (Nota in fondo al manoscritto: Nella Piccola Casa fondata dal prete Cottolengo in Torino, i preti del Cottolengo mantengono da un anno all’altro, ben ottomila malati).

Non sono dell’età nostra l’abate Le Pailleur fondatore delle Piccole Suore dei poveri; il nostro P. Ludovico da Casoria che raccoglie e profonde ben 19 milioni a soccorrere ogni genere di miserie. E dopo tutto ciò si osa gridare il prete è un essere inutile alla società, il prete è un parassita! Fuori il prete! Abbasso il prete! E questo grido l’ho udito ancora io. Eppure se il prete esulasse dal mondo che sarebbe di noi, esulerebbe dal mondo tutta la civiltà cristiana, perché col prete esulerebbe Gesù di cui esso è l’immagine vivente. Fuori il prete, abbasso il prete e allora esulerà da noi Benedetto da Norcia che coi suoi figli fu il primo civilizzatore dei Saraceni in Sicilia ed in Sardegna, dei Germani all’Est dei Galli in Francia, dei Sassoni in Inghilterra, che ci conservò nelle sue badie le reliquie del sapere antico. Esuleranno S. Leone Magno e S. Gregorio Magno che consolarono la nostra Italia in mezzo alla desolazione delle invasioni barbariche. Esulerà Giovan B. De La Salle coi suoi 17 mila figli consacrati all’educazione dei figliuoli del popolo. Esulerà l’innumerabile schiera civilizzatrice dei missionari cattolici. Esulerà Vincenzo di Paoli che con le sue figlie della Carità dona madri di adozioni a milioni di orfani e di trovatelli e che con le sue conferenze elargisce ogni anno ai poveri occulti e vergognosi oltre 11 milioni. E noi accecati dall’orgoglio, abbrutiti dalle più vili e degradanti passioni ci prostituiremo nel fango, e asserviti all’egoismo ci dilanieremo a vicenda, torneremo a essere barbari. Ma no, malgrado tutti e contro tutti i nemici del nome cristiano il sacerdozio cattolico durerà eterno come è eterno Dio, di cui è l’opera mirabile. Come Gesù, di cui è figura vivente starà immobile attraverso i secoli, e sarà al mondo Vita, Verità e Via. E l’umanità fluttuante, agitata, sconvolta, l’umanità brancicante tra le tenebre del errore, languente sotto il cumulo delle sue miserie materiali e morali l’avrà sempre al suo fianco angelo di pace, angelo di luce, angelo di conforto. Sia gloria a Gesù che lo ha fato tale, rendendolo continuatore della sua missione divina attraverso i secoli. Sicut misit me pater et ego mitto vos..

Sicut misit etc. con queste parole Gesù ha costituito il sacerdote immagine vivente di se stesso in mezzo al popolo. Il sacerdote adunque, o miei cari fratelli, è la figura di Gesù in mezzo a voi. Da ciò deriva a voi un duplice dovere venerarlo e amarlo: venerarlo e amarlo non per se stesso ma per Gesù di cui esso è l’immagine viva. Noi lo venereremmo e l’ameremmo, mi rispondete voi, se il prete fosse davvero buono, se davvero fosse l’immagine di Gesù, ma oggi giorno i preti non sono buoni, non stanno all’altezza del loro ministero. E’ il solito ritornello. Vi sono dei preti non buoni, dei preti che o entrarono nel santuario senza vocazione, o alla grazia della vocazione sono stati infedeli, come Giuda. Ma essi non costituiscono punto il sacerdozio cattolico e in nessun modo vi giustificano allorquando voi dite:” I preti sono cattivi”. Sacerdoti che han tradito il loro divino mandato voi li troverete sempre attraverso i secoli. Gesù lo aveva profetizzato: “e’ necessario ecc. oportet e la sua parola si compie attraverso-

Il sacerdozio cattolico è la riproduzione del collegio degli Apostoli, e come non mancherà mai nella Chiesa la riproduzione della virtù degli Apostoli fedeli, così dolorosamente si avrà sempre la riproduzione ignominiosa dell’infedeltà di Giuda. Questa è permissione di Dio che vuole così provata la fede dei buoni, punita l’indolenza dei cristiani infingardi: è permissione di Dio che vuole qui in terra la sua Chiesa in tutto simile a Gesù, il suo sposo divino, che fu coronato di spine, e la corona di spine della Chiesa sono i sacerdoti indegni, i sacerdoti riproduzione vivente di Giuda. Ma la loro esistenza non intacca punto la santità del sacerdozio cattolico, e molto meno autorizza voi a dire. ”Oggi i preti sono tutti cattivi”. In ogni ceto di persone troviamo degli indegni, né per questo siamo autorizzati a dire, che tutto quel ceto sia indegno. Vi sono donne leggere e di troppo facili costumi, vi sembra che ragionerei bene se io vi dicessi :”Tutte le donne sono leggere”, per non dir peggio e non profanare la santità di questa cattedra”. Tutte leggere anche le vostre madri e le vostre sorelle. Vi sembra che ragionerei bene. Non sarei io un pazzo. Dal perché qualche comm. e onorevole e qualche eccellenza anche è stata tradotta al carcere di Regina Coeli in Roma, sono io forse autorizzato a dire tutti i …sono dei farabutti.

Voi potreste soggiungere “Ma i sacerdoti indegni sono molti, gl’indegni delle altre classi di cittadini sono pochi”. Ebbene io vi rispondo a rigore di statistica. In Italia, la statistica decennale (1897 – 1907) pubblicata dal Bollettino Giudiziario reca che su 100 mila persone di ciascuna classe di cittadini si ebbero condannati: notai, avvocati ecc. 100; artisti 33, medici chirurghi, levatrici, ecc 25, professori laici 19; clero 4. La ragione onde questi pochissimi indegni sembrano molti, è che il male, soprattutto quello del clero, si pone in mostra, e s’ingrandisce e si estende con la calunnia, e intorno ad essi i nostri nemici danno fiato alle trombe. La virtù invece, la virtù vera per sua natura si nasconde, e la virtù eroica del clero soprattutto resta inabissata nell’umiltà e nel nascondimento. Quante veglie durate per le anime nella preghiera, nello studio e al capezzale degli infermi che voi ignorate e che il mondo ignora, quante lagrime rasciugate, quanti bisognosi provveduti dalla mano occulta del sacerdote. Se il tempo me lo consentisse potrei citarvi innumerevoli esempi. Il sacerdote non cammina a suon di grancassa: esso è come il ruscelletto benefico che attraversa le valli e le contrade, dissetando e refrigerando, dando umori alle piante, succhi vitali alle aride zolle, fecondando i campi, alimentando l’industria, senza che nessuno ponga mente ad esso. Che inosservato va a perdersi in qualche fiume e poi nel mare. Il sacerdozio è buono ed è santo credete a me, o miei cari fratelli, ed anche oggi vi sono in esso, vi sono gli eroi, vi sono i santi, essi vivono quasi occulti, le generazioni venture conosceranno qualche cosa della loro virtù, come noi abbiam conosciuto la virtù di quelli che ci precedettero. Ne conosceranno qualche cosa, perché sarà conosciuta appieno soltanto nel giorno del giudizio. Venerate adunque il sacerdote, amate il sacerdote, è questo il vostro dovere di cristiani. E la vostra venerazione sia rispetto e stima pel sacerdote… Amatelo ma il vostro amore non sia un vano sentimento… aiutatelo… venite a lui… pregate per lui…

Ed ora eccomi a te, o mio carissimo fratello, perdona, perdona se con le mie parole protratte troppo a lungo, ho tardato a te l’ora avventurata in cui stringerai fra le tue mani il nostro amato Signore, quel Gesù, che per noi sacerdoti sopra tutto, forma tutta la nostra felicità qui in terra, e formerà l’eterna nostra corona nel Cielo. Lungamente sospirasti quest’ora, lungamente l’ha sospirata l’anima de tuo defunto genitore al quale oggi il tuo sacrificio schiuderà le porte del cielo, lungamente la sospirarono i tuoi cari, e più d’ogni altro lungamente la sospirò nelle ansie del suo cuore materno la madre tua. La tua vocazione è frutto delle sue lunghe e diuturne preghiere, con la quale ha saputo implorarla da Dio, è frutto dei suoi voti ardenti, delle sue segrete lacrime, degli occulti sacrificii durati per te. Oggi le sue lagrime, sono lagrime d’ineffabile consolazione, essa fra pochi momenti sentirà ripagata ad usura, allorquando prostrata ai tuoi piedi vi deporrà la sua autorità di madre e per la prima volta venererà te suo figlio, quale padre dell’anima sua, allorquando la tua mano le spezzerà il pane dell’eterno e per la prima volta si leverà sul suo capo benedicendo. Tu però nelle lagrime della madre tua, sappi vedere raffigurati i sospiri e le ansie d’un’altra madre che in questo momento invisibile veglia la tuo fianco, e cerca scrutare i segreti propositi del tuo cuore, quasi volendo indagare se tu sarai di quei sacerdoti onde essa si allieta qua giù, oppure di quelli onde il suo capo dolorosamente si corona di spine. Raccogliti, entra in te stesso, formula i più santi, i più forti, i più generosi propositi, e erompa, erompa dal tuo petto il grido: Laetare Laetare… Rallegrati o santa Chiesa, o Santa Madre mia tu in me avrai… Questi propositi affida a Colei che da questo altare, ove tante volte giovanetto ti prostrasti per pregare, veglia, Regina Potente dei sacerdoti, gloria fulgidissima del nostro ceto sacerdotale. Siano propositi di vita santa, vita di preghiera e di raccoglimento, vita di sacrificio e di abnegazione, vita di lavoro indefesso per la salvezza delle anime. Questi propositi rinnova ogni mattina all’altare, rinnovali ogni giorno da solo a solo ai piedi di Gesù nel ringraziamento della tua messa. La vita del sacerdote si compendia in queste tre parole: Preghiera, Sacrificio ed Azione, per le quali egli viene al popolo a somiglianza di Gesù…

Con questi sentimenti corri adunque all’altare, e la santa letizia che ti circonda in quest’ora, le armonie che echeggiano per la volta di questo tempio, gli splendori della festa di oggi, siano pel tuo spirito lontana figura del trionfo che un dì nei cieli accoglierà te sacerdote fedele, ove gli spiriti beati, ti saluteranno ancora una volta sacerdote in eterno, contrassegnato in eterno della divina missione, che da Gesù ti fu ieri affidata. Sicut etc.

  1. Questo accenno di Don Fortunato al consenso dato con riluttanza, quattro anni prima della ordinazione sacerdotale del figlio, ci fa pensare che sta parlando del suo papà. Difatti il giovane Fortunato ebbe il consenso dal suo papà nel 1900 ed è stato ordinato nel 1904.

Discorso in occasione di matrimonio

Discorso in occasione di matrimonio

Prediche – Quaderno (pagg. 40 – 42) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Appunti autografi del S.D., su un quaderno a righi di 36 fogli: pagg. 57 – 58.
Discorso in occasione di matrimonio (14 Novembre 1910).

(Discorso in occasione di matrimonio)
14 Novembre 1910

I voti del vostro cuore sono paghi e nel nome santo di Dio avete congiunte per sempre le vostre giovani esistenze. Prima però che lasciate l’altare, io quale ministro del Signore, che raccolsi dal vostro labbro il giuramento della fedeltà coniugale, devo implorare sul vostro capo la benedizione divina, e rivolgervi una parola che vi sia monito affettuoso e salutare, nella nuova vita, nella quale oggi vi mettete. Educati e cresciuti entrambi alla franca professione della Fede e alla pratica vera della vita cristiana, voi avete in questo il pegno più sicuro della vostra felicità avvenire. Voi non veniste qui ai piedi dell’altare per compiervi un rito o una cerimonia impostavi dalla tradizione, ma veniste per intima convinzione per soddisfare alla più viva esigenza del vostro cuore di credenti.

Vi veniste per ricevere un sacramento, la cui virtù deve santificare il vostro amore e renderlo eterno. Un amore puramente naturale ed umano, d’ordinario, è mutevole, non è duraturo, poiché non ha la forza di resistere a l’incerto fluttuare delle passioni umane, alle seduzioni della nostra corrotta natura. Un amore invece che si fonda in Dio, e che da Lui trae alimento e vita, come Lui dura immutabile ed eterno, ed è sorgente inesauribile di vera pace, di vera felicità domestica. Amatevi dunque, o miei cari fratelli, di quest’amore soprannaturale di cui la Chiesa Cattolica in quest’ora vi fa solenne precetto. Amore che si fonda sulla virtù, sulla stima scambievole, radicato nel pieno adempimento di quel giuramento di fedeltà, che, non ha guari scambievolmente vi deste.

Amore purissimo e sublime che deve essere figura di quell’amore onde Gesù ama la sua Chiesa. Sicut et Christus.

Molti oggi deridono la religione perché non la conoscono; ed ignorano quale forza viva di perfezionamento morale essa sia per le coscienze umane. Moltissimi la disprezzano, perché la temono, la sublime purezza dei suoi divini insegnamenti che condanna i traviamenti del loro errore e della loro vita intima, fa loro paura. Voi invece che l’amaste e la conosceste sin dai vostri anni primi amatela d’un amore sempre più vivo e sempre più intenso, e nell’amore di esso si purifichi e s’intensifichi e duri eterno il vostro affetto, onde siete ora felici.

Il raro esempio di piena armonia, di perfetta concordia d’affetti, d’aspirazioni, di sentimenti, e di cristiane credenze, che in questo momento voi date, valga un giorno a provare quanto sia vero il monito dei libri santi, che se non è Iddio a porre l’edifizio d’una famiglia, indarno si affaticano coloro che la vogliono prospera e felice. Nisi Dominus.

Quanti dolori, quante lagrime, quanti scandali di meno nel mondo se la dottrina del Vangelo fosse più conosciuta e più praticata.

Ecco che nel congedarvi dall’altare nel nome suo, io suo ministro, legato a voi dai vincoli d’un’amicizia (che) ci strinse fra noi sin dai nostri primi anni giovanili, solennemente vi benedico mediante l’intercessione della regina dei Martiri, ai piedi del cui altare (ci troviamo). Essa vi sia bagno dei più eletti carismi. Le parole sante della Chiesa, benedicente e beneaugurante a voi, per mezzo mio le accompagnano con tutta la commozione del loro cuore, con tutta la veemenza del loro affetto i vostri genitori superstiti, mentre dall’Alto vi benedicono quelli che vi precedettero nella Patria. I sodi esempii di cristiana virtù, di cristiana abnegazione che essi dettero a voi, e che in modo speciale dette a te, o Mariannina, la madre tua, vi siano sempre presenti, vi siano faro luminoso di luce in tutti i giorni della vostra vita. Che un giorno i vostri figliuoli li apprendano dal vostro labbro, ma più di ogni altro li apprendano dalle vostre azioni pienamente conformi ad essi. E così vengano su negli anni per formare la consolazione della vostra più tarda vecchiezza, per essere nelle mani di Dio i fiori più belli coi quali intesserà la corona del vostro premio eterno nel Cielo.

Fervorino di Prima Comunione (a. 1921)

Fervorino di Prima Comunione (a. 1921)

Predicazione B (pagg. 42 – 43) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 3.
*Scritto autografo del S. D., su 3 foglietti con 6 facciate.
Fervorino di Prima Comunione (il S. D. esalta le meraviglie della Santa Eucarestia).
(senza data: dal testo si deduce l’anno 1921, che corrisponde al suo accenno ai trentadue anni dopo la sua prima comunione, avvenuta il 21 giugno 1889).

Fervorino – (aggiunto da altra mano:) di Prima Comunione

La tomba d’un giovanetto è il luogo che la Provvidenza Divina ha presceltoper cibare la prima volta le anime vostre delle carni immacolate di Gesù Cristo nella santa comunione. E in questo voi, o miei cari fanciulli, mi avete compagno, perché anch’io trentadue anni or sono, all’alba appena della mia adolescenza, in un radioso mattino primaverile, al pari di questo, a questo stesso altare, su la tomba del vostro S. Flaviano anch’io faceva la prima comunione.

Niuna cosa rivela a noi con tanta efficacia le meraviglie che la S. Eucarestia, quanto la tomba d’un martire e per giunta la tomba di un fanciullo martire. Il martirio è la sintesi del pieno trionfo della grazia sulla natura, è trionfo di fede, di fortezza e d’amore sull’orgoglio, sulla fragilità sull’egoismo umano, e il cantico di questa triplice vittoria si eleva dal cuore del martire in virtù della S. Eucarestia: perché la Santa Eucarestia che è il cibo dei forti alimentò in lui quella virtù sovrumana che lo trasforma in eroe della Chiesa di Gesù Cristo.

Contemplate, o miei cari figliuoli, l’immagine del giovanetto martire, accanto alle cui reliquie, Iddio dispose che voi passaste gli anni più belli della vostra vita, come un giorno io passai i miei.

Fanciullo al pari di voi, rampollo di nobile discendenza, in mezzo al fasto della Roma imperiale, quando la vita gli si schiudeva dinanzi lieta e sorridente, al cospetto dei giudici e dei tiranni, egli leva coraggioso la sua voce e fa sua la professione di fede dei martiri: “Christianus sum”: io sono cristiano, cioè io sono seguace di Gesù Cristo.

Essere seguace di Gesù Cristo esige dalla sua anima giovanetta rinunzia, lotta e sacrificio. Rinunzia alle gioie e ai godimenti del mondo, lotta implacabile contro tutte le suggestioni della natura inclinata al male e contro la corruzione e il fascino seducente della Roma pagana; importa sacrificio, e sacrificio supremo quale è quello della propria vita agli albori della vita istessa. Eppure egli non indietreggia, va innanzi con coraggio, fermo ed incrollabile nella sua fede e nella sua eroica confessione d’essere seguace di Gesù Cristo “Christianus sum”.

Chi ha trasfuso nell’anima sua tanta forza da trasformarlo da fanciullo in eroe, onde la sua memoria si perenna in benedizione nella Chiesa di Dio, e la sua fronte è cinta dell’aureola dei santi suoi. E’ stata la santa Eucarestia, quel Gesù che fra pochi momenti riceverete dalla mie mani nascosto sotto le apparenze del pane in questo sacramento d’amore.

Fervorino di Prima Comunione (a. 1922)

Fervorino di Prima Comunione (a. 1922)

Predicazione A (pagg. 117 – 119) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 18.
* Foglio, piegato in due, autografo del S. D., scritto su 4 facciate.
Fervorino di Prima Comunione
(8 maggio 1922 Istituto S. Dorotea – Posillipo)

Fervorino di Prima Comunione

Posillipo – 8 Maggio 1922 – Istituto S. Dorotea[1]

Un giorno, così racconta il santo Vangelo, i fanciulli della Palestina vennero a Gesù e festanti e giulivi Gli facevano ressa intorno. Ed Egli, che nelle acre pagine, ci si rivela, come l’amico divino dei fanciulli, agli apostoli che volevano allontanarli come importuni, comanda che non proibiscano loro di avvicinarsi a Lui, e lasciate – dice – che i fanciulli vengano a me.

Ed essi gli si strinsero d’intorno facendogli festa con le loro voci argentine, né da lui si separarono se prima non ebbe posato la sua mano divina sul loro capo, e, carezzandoli, con amore indicibile, non li ebbe benedetti. Le loro madri facevano corona, esse col loro sguardo assai più eloquente della parola, avevano implorato da Gesù a prò dei loro piccoli, le sue carezze, la sua benedizione, accompagnate dal suo sorriso ineffabile.

Nella sua chiesa Gesù perenna e riproduce di continuo in maniera affatto mistica ma egualmente tenera e salutarmente efficace, quando compì nella sua vita terrena e il santo Evangelo ci racconta, e lo perpetua e lo riproduce soprattutto per mezzo dell’influsso divino dei suoi sacramenti e soprattutto della Santa Eucaristia. Sono anime inferme, che il turbine delle umane passioni aveva miseramente abbattute ed insozzate nel fango, a cui Egli come già alla povera adultera, e alla misera peccatrice di Magdala e al buon ladrone, fa sentire una parola di amore e di perdono, parola divina, che in un tratto vivifica, riabilita e ridona l’innocenza, e schiude all’anima trasformata da peccatrice in anima giusta nuovi orizzonti di vita e di santa operosità.

Sono anime che egli chiama in maniera misteriosa e distogliendole dalle preoccupazioni del mondo e della famiglia, le invita e le mette alla sua sequela come già fece con le pie donne e coi suoi apostoli e di quelle anime Egli forma la schiera dei suoi novelli apostoli di età in età di secolo in secolo, Agata, Cecilia, Agnese, Clotilde, Gertrude, Teresa, Margherita. Ambrogio, Benedetto, Gregorio, Bernardo, Domenico, Francesco, Ignazio, Vincenzo dei Paoli, sino agli apostoli dell’età nostra, D. Bosco, il P. Ludovico da Casoria, il B. Cottolengo.

Sono anime che conferma nella loro santa missione familiare in mezzo al mondo.

Sono sovente anime che Egli fortifica e corrobora nel dolore alle quali come già a Marta ed a Maria, che desolate piangevano il fratello Lazzaro, fa sentire le parole misteriosamente consolatrici: “Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me non morrà in eterno”.

E sono poi anime ancora tenere, esuberanti di vita, ricche di innocenza, sono le anime di voi bimbe che egli chiama ed attira dolcemente a sé, alle quali profonda le sue carezze divine, e alle quali nella dolce primavera della vita, parla della felicità vera che Egli solo sa dare, perché Egli solo può e sa comunicare la pace, la vera pace del cuore ed Egli solo sa insegnare il modo come rendersi utili, utili sempre anche nell’età greve della vecchiezza, anche quando i dolori e le infermità ci rendono fisicamente inermi ed operosi. E qua giù ogni felicità è riposta nella pace e nella coscienza d’essere utile.

Ed oggi del numero di queste avventurate creature cui è dato per la prima volta di fruire delle carezze di Gesù, siete voi o mie care fanciulle.

Lungamente voi sospiraste quest’ora. Ecco essa è giunta: tutto vi parla di Gesù bellezza divina, armonia ineffabile, sorgente inestimabile di Grazie, Sole divino che tutto riscalda e vivifica, amore e gioia ineffabile. Oh! Date pure libero sfogo agli affetti del vostro cuore ed esultate. La perfetta santità dell’uomo non esclude la alacrità, i santi entusiasmi, nè la gioia né l’amore, ma tutto questo eleva e nobilita; la santità perfetta è la santità del corpo e dell’anima; non è la morte di cosa alcuna ma è la vita di tutto.

  1. Nel Taccuino delle Messe si legge: “8 Maggio 1922. Posillipo. Chiesetta dell’istituto “S. Dorotea”. Altare Maggiore…

    Oggi ho fatto la Prima Comunione a Angiola Maria Pellegrino, mia nipotina e le ho anche amministrato la S. Cresima”. Angiola Maria è la figlia della sorella Aurelia, coniugata con Pietro Pellegrino.

Appunti per Festa Maria Ausiliatrice e S. Francesco di Sales

Appunti per Festa Maria Ausiliatrice e S. Francesco di Sales

Predicazione A (pag. 120) – Archivio della Curia Diocesana di Troia, Scatola VI A N° 19.
* Foglietto quadrettato, autografo del S. D., scritto su una sola facciata.
Appunti di omelia per la Festa di SS. Ausiliatrice e S. Francesco di Sales.
(18 giugno 1922 Troia).

Troia 18 Giugno 1922 (Domenica fra l’ottava di Pentecoste)
Festa di Maria Ausiliatrice e di S. Francesco di Sales

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Auxiliatrix Populi Dei.

Maria ci si rivela nella storia della Chiesa ausiliatrice del popolo di Dio e di tutti i cristiani, col donarle ad esso in ogni età i santi di cui si ebbe bisogno – i quali mirabilmente riposero alla necessità dei tempi.

Tale ci si rivela in S. Francesco di Sales.

Essa ci dette un angelo di purezza = un eroe di umiltà – e di abnegazione e di distacco. Ci dette un apostolo e un dottore infaticabile.

L’apostolato di S. Francesco si perpetua attraverso i secoli. La visitazione. Le figlie della carità. D. Bosco e i salesiani. Gli oblati di San Francesco di Sales. Le sue dottrine ascetiche.

Omelia Prima Domenica di Avvento

Omelia Prima Domenica di Avvento

Scatola VIII (pagg. 194 – 195) – Archivio della Curia Diocesana di Troia, Scatola: VIII – Scritti inediti, Conferenze, prediche, discorsi.
*Appunti autografi del S.D., scritti su due facciate di un foglietto.
Omelia 1^ domenica di Avvento: 3 dic. 1922. Il S.D. invita a “svegliarsi” dal sonno, per risorgere alla nuova vita.

Domenica Prima dell’Avvento – 3 Dicembre 1922

O Fratelli è già ora che ci svegliamo dal sonno : “Hora est jam nos de sommo surgere”.

Vi è il sonno dell’anima, e il sonno del corpo: un sonno nell’ordine della grazia, un sonno nell’ordine della natura: del sonno del corpo, del sonno naturale tutti abbiamo bisogno, altrimenti ci debilitiamo e le nostre forze fisiche vengono meno. Dobbiamo invece guardarci dal sonno dell’anima, da quel sonno misterioso nell’ordine della grazia, di cui ci parla l’apostolo S. Paolo e che è un male sommamente nocivo. Questo sonno dell’anima, male formidabile, dal quale dobbiamo riscuoterci è la dimenticanza di Dio e delle eterne verità.

Viviamo come se dovessimo rimanere sempre qua giù; come se questa terra dovesse essere sempre la nostra dimora. Ci diamo unicamente pensiero dei beni terreni: cerchiamo di far guadagni e di mettere da parte danaro, cerchiamo di renderci più agiata la vita e di soddisfare i nostri gusti e i nostri piaceri = cerchiamo di ascendere in alto e di primeggiare guadagnandoci la stima e il plauso degli uomini. E dimentichiamo intanto che vi è un Dio giusto ed eterno che noi dobbiamo onorare e servire, alla cui gloria devono essere indirizzate tutte le nostre azioni, il quale deve essere il fine supremo del nostro operare. Dimentichiamo che siamo di passaggio sopra di questa terra, che presto dovremo lasciare tutto, e presentarci dinanzi al tribunale di Dio per essere giudicati. Siamo tutti preoccupati delle cose del tempo dimenticando le eterne: ecco il sonno di cui parla l’Apostolo S. Paolo nella sua Lettera ai Romani: sonno dell’anima sommamente nocivo, che può causarci l’eterna dannazione, sonno dal quale è ora che noi ci riscuotiamo: hora est surgere.

È ora perché il tempo stringe ed incalza: nox praecessit, dies autem appropinquavit: la Chiesa ogni anno a l’aprirsi del sacro tempo dell’Avvento ci ammonisce con queste parole in ogni anno che passa esse rivestono per noi un carattere di verità più efficace e più stringente. Perché in ogni anno che passa, anzi in ciascun giorno che passa noi dobbiamo riscuoterci e ripetere a noi stessi :“Il tempo stringe”. “Nox praecessit, dies autem appropinquavit”. La notte è già di molto inoltrata, sta per spuntare il giorno. La notte è la vita presente: il giorno la vita futura…

Abiiciamus opera tenebrarum et induamur arma lucis.

Rigettiamo lungi da noi le opere delle tenebre, cioè, dei peccati (confessione fatta bene) e rivestiamoci delle lucide armi della Cristiana milizia, con le quali armi possiamo difenderci dal nostri spirituali nemici, i quali incalzano con maggiore pienezza a misura che il tempo stringe. (Le armi sono la preghiera e la frequenza dei santi sacramenti).

Purezza, mortificazione – carità

1°= non in cubilibus et impudicitiis = non nelle morbidezze e nelle disonestà. –Purezza

2°=Non in comessationibus et ebrietatibus = non nelle crapule (stravizi) e nelle ubriachezze –mortificazione

3°= Non in contentione et aemulatione = non nella discordia e nella invidia =carità fraterna

Induimini Dominum Jesum Christum – ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo – mediante la pratica di queste virtù rendiamoci immagini viventi di N. S. Gesù Cristo, rivestiamoci di Lui.

Ricorriamo a questo fine alla SS. Vergine: è vicina la festa del suo immacolato concepimento. Essa ci desti dal sonno dell’anima e prepari nei nostri cuori la via al Suo Gesù.

Appunti per 4ª Domenica di Avvento e Vigilia di Natale

Appunti per 4ª Domenica di Avvento e Vigilia di Natale

Predicazione A (pag. 121) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 20.
*Foglietto autografo del S. D., scritto su una sola facciata.
Appunti per l’Omelia della 4ª Domenica di Avvento e Vigilia di Natale.
(24 dicembre 1922 Troia).

Domenica IV dell’Avvento e Vigilia del Santo Natale
24 Dicembre 1922

Paulus servus Jesu Christi – S. Paolo si dichiara tutto di Gesù Cristo per lui si affatica, per Lui evangelizza. Servus Jesu Christi – ecco il programma della nostra vita avvenire, servi di Gesù Cristo – servi di Lui per amore e per dilezione, servi fedeli cioè cristiani, integri uomini di carattere e in tutto coerenti alla professione di cristiani.

Cristiani dimidiati, scampoli di cristiani, che non accettano praticamente del cristianesimo se non ciò che loro piace, che riducono la religione cattolica a un abito che mettono quando fa comodo, che le nuocciono, per ciò, peggio che tanti avversari aperti; non sono i servi di Gesù Cristo, né possono chiamarsi tali. (Giovanni Papini).

Appunti per Omelia in occasione di Matrimonio (a. 1923)

Appunti per Omelia in occasione di Matrimonio (a. 1923)

Predicazione A (pag. 122) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 21.
* Foglio autografo del S. D., scritto su una sola facciata.
Appunti per Omelia in occasione di Matrimonio
(23 aprile 1923 Troia)

(Appunti per Omelia in occasione di Matrimonio)
23 Aprile 1923 – Troia

Diligite alterutrum … amatevi l’un l’altro, non d’un amore puramente naturale, d’un amore puramente umano, poiché, i vincoli di questo amore incerto e fluttuante come l’incerto fluttuare delle passioni umane, conobbero anche i pagani = ma amatevi d’un amore così puro e così santo, d’un amore che reso soprannaturale dalla ragione divina, adombri e raffiguri quell’amore tutto divino onde il Cristo amò la sua Chiesa.

Oh! Come è pura la fragranza di queste mistiche rose. Un tale amore però si fonda non sulle naturali attrattive né sul fascino di doti esteriori fugaci e passeggere, ma sulla pratica delle virtù e sulla stima scambievole ed esso trae il suo alimento non dal piacere, ma dallo spirito di sacrificio e di abnegazione.

Il matrimonio cristiano non è una corsa al piacere, ma missione nobile ed alta, e, potrei dire, quasi altro sacerdozio, onde nuove vite saranno chiamate all’esistenza, e tra le mura del santuario domestico, verranno poi educate e indirizzate alla pratica del bene, a vantaggio e della carità civile e della Chiesa. Ed ogni missione nobile e santa non la si compie se non mediante il sacrificio; e per ciò l’altare è luogo di sacrificio, ad esso non si accosta che per sacrificare. L’anello nuziale – purezza e fedeltà.

Mutuo aiuto e dedizione scambievole. Educazione dei figliuoli.

Il suo frutto più bello è la pace domestica.

Incoronazione della Madonna SS. della Libera. (Schema di omelia)

Incoronazione della Madonna SS. della Libera. (Schema di omelia).

Predicazione A (pag. 129) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 22. – Anni ‘20 in poi.
* Foglietto autografo del S. D., scritto su una sola facciata.
Trevico – Domenica – 7 Settembre 1924.
Incoronazione della Madonna SS. della Libera. (Schema di omelia).

– Trevico – Domenica – 7 Settembre 1924 –
– Incoronazione della Madonna S. S. della Libera –

Regina Coeli laetare – Alleluja.

Regina, indica preminenza. Una triplice corona di oro.

1° = Regina per la sua santità. Fundamenta eius in montibus sanctis. Santità pari alla sua missione = augusta Madre di Dio – Si eleva gigante nella santità, attraverso il dolore – Regina Martyrum.

2° = Regina per la sua santità – trionfa ora Regina in cielo per la sua gloria – gloria che si riverbera in terra onde ci si rivela.

3° = Regina di bontà – perché in cielo e in terra in tanta gloria non perde il suo carattere di madre.

Ave Maris Stella, nel mare tempestoso del mondo guarderemo fidenti a Lei- fidenti nell’ora della morte. Deh! ci copri col tuo manto o Regina di Bontà! Si compia a nostro riguardo la formula della consacrazione.

Per la Prima Messa solenne di Mario Martorano

Per la Prima Messa solenne di Mario Martorano

Predicazione B (pagg. 35 – 38) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 3
*Scritto autografo del S. D., su 2 fogli e 4 facciate.
Per la prima messa solenne di Mario Martorano (Il S. D., partendo dalla sua esperienza di preghiera e ricordando le ansie e le preghiere della mamma, invita il novello sacerdote a lodare Dio, che ha operato in lui). Il discorso è incompleto.
(28 settembre 1924)

Per la Prima Messa solenne di Mario Martorano
– 28 Settembre 1924 –

Gli eventi della vita presente si succedono senza posa e s’incalzano l’un l’altro, come le onde del nostro mare, sospinte dai venti, ma al di sopra di essi in mancanza di misteriosa ed occulta veglia il Signore con la sua Provvidenza, tutte le cose disponendo con soavità ad un tempo e con sapienza infinita al conseguimento dei suoi fini altissimi, posti oltre gli angusti confini di questa misera vita terrena.

L’uomo che non sa elevarsi sino a Lui e che nel suo orgoglio pone se stesso, il suo io, come centro dell’universo, altro non scorge nel succedersi di essi se non un sovrapporsi, disordinato e riscomposto di fatti talora lieti talora tristi, anzi il più delle volte sempre gravidi di sofferenze e di dolori: di qua la concezione materialistica della storia.

L’uomo invece che mediante la giusta estimazione di se stesso, con spirito umile guidato e sorretto dalla fede, sa elevarsi sino a Dio, diviene in qualche modo partecipe di quella luce divina, che gli fa pregustare sin nell’esilio della vita presente, qualche cosa dell’infinita bellezza delle divine armonie della Provvidenza Divina. Ed allora egli ripiegando lo sguardo su (se) stesso, percorrendo ad uno ad uno gli anni della sua vita, quanto più viva fu la sua fede, quanto più filiale il suo abbandono nelle mani di Dio, quanto più pronta la sua corrispondenza alla grazia sua, tanto più scorgerà in sè l’opera infinitamente amorosa della Provvidenza Divina. E dovrà riconoscere che Iddio dopo di averlo chiamato all’esistenza, dopo di avere impresso in lui un raggio della sua bellezza infinita, non lo abbandonò, e pur lasciando intatto il patrimonio inestimabile della libertà di cui lo volle arricchito, non restò estraneo allo svolgersi della sua vita. Sicché l’uomo a misura che si spoglia della corruzione, a misura che umiliandosi, si purifica e si eleva, vede svelarsi con crescente chiarezza innanzi alla sua mente tutta l’azione mirabile della Provvidenza Divina a suo riguardo, sente sempre più manifesta e precisa la propria missione, quella missione particolare, che Iddio , Sapienza infinita, assegna a ciascun individuo umano. Pregusta allora nell’anima sua una pace beata, ignota ai mondani, che malgrado le spine e i triboli di questa vita di prova, lo sforza a cantare con riconoscenza l’azione mirabile di Dio in lui ed a ripetere “Dominus autem assumpsit me”. E il gaudio che allora gli inebria il cuore è adempimento della promessa divina di Gesù, che a colui che ha saputo purificarsi e francarsi da ogni bassezza promette le dolcezze ineffabili della conoscenza, della visione di Dio, e quindi delle ammirabili armonie dell’azione di Dio nel mondo.. Beati mundo corde quotiamo ipsi Deum videbunt.

Orbene se questo si verifica in ogni uomo che spogliandosi dell’amore disordinato di se stesso, si eleva sulle ali della fede e della ragione, sino a Dio: molto più si verifica nell’anima di chi (=colui) che per vera vocazione, è insignito del carattere e della missione sacerdotale.

Ripiegando allora il sacerdote novello su se stesso lo sguardo, riandando gli anni della sua adolescenza e della sua giovinezza, rifacendo la storia intima dell’anima sua, guardando nell’avvenire la sublime missione che gli è affidata, egli è sforzato a riconoscere l’azione mirabile della Provvidenza Divina a suo riguardo ed a ripetere col cuore pieno di riconoscenza e di gaudio purissimo ed ineffabile – Dominus autem assumpsit me.

Questo io sento nell’anima mia tutte le volte che mi raccolgo in preghiera dinanzi ai santi tabernacoli. E questo, indubbiamente, tu devi sentire, o mio caro figliuolo, in questo luogo, ai piedi dell’altare, e in quest’ora che è tra le più solenni della tua vita.

Sono dieci anni; e nella festa di San Tommaso D’Aquino, tra le mura di questo tempio, la madre tua dopo aver lungamente pregato l’angelico patrono della gioventù studiosa pei suoi figliuoli e particolarmente per te, sentiva nel suo cuore tutte le ansie d’una madre pel tuo avvenire. Nell’ordine naturale Dio non ha creato nulla di più profondo del cuore di una madre.

Anch’io era venuto in questo tempio per venerare San Tommaso e celebrare al suo altare e fu allora che essa mi si avvicinò, mi confidò le ansie e le trepidazioni per la tua adolescenza esposta ai pericoli e alle insidie del mondo, e sollecitò per essa con quell’assistenza penetrante ed efficace che è propria della madre l’opera mia sacerdotale. Ne fu paga finché non ebbe ottenuta da me formale promessa.

Tu allora giovane, sedicenne appena, vivevi spensierato, ignaro del dolore, né ancora all’anima tua erano risuonate le note arcane e misteriose della chiamata divina. Ed io era ben lungi dal pensare che un giorno, in capo a dieci anni in questo stesso tempio, dopo le feste centenarie del grande Aquinate, avrei esultato nel salutarti in eterno sacerdote dell’Altissimo, compartecipe dello stesso sacerdozio, e della stessa missione che Gesù Cristo si ebbe dal Padre. Sicut misit me pater et ego mitto vos.

Son passati dieci anni! E ai piedi di quest’altare in questo tempio condotti misteriosamente a Dio ci ritroviamo tu sacerdote novello, io pastore della Chiesa santa di Dio. E tutto ci sforza ad adorare e cantare le misteriose armonie della Provvidenza Divina. Manca colei, che quasi presaga della sua vicina scomparsa, strinse i vincoli che uniscono le nostre due anime, manca colui che insieme con essa ti generò alla vita, e che quei vincoli tante volte rinsaldò e benedisse.

Mancano, e se la loro assenza sensibile e materiale, (poichè certamente invisibili essi partecipano alla tua festa), vela di mestizia l’esultanza nostra: (n. d. r.: il resto del testo manca).

Discorsetto per la Prima Messa di Luigi Rubino

Discorsetto per la Prima Messa di Luigi Rubino

Predicazione B (pagg. 39 – 41) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 3
*Scritto autografo del S. D., su un 1 foglio piegato in due, scritto su tre facciate.
Discorsetto per la Prima messa di Luigi Rubino (bellissima e sentita proclamazione sulla missione del sacerdote). (Napoli, 25 aprile 1927)

Discorsetto per la Prima Messa di Luigi Rubino
25 Aprile 1927 – presso le Dame del Sacro Cuore al Rione Amedeo in Napoli

Ai piedi dell’altare si prostrava un uomo: la Chiesa Santa di Dio trepidante pregava: il Vescovo implora su quel uomo, che nel fiore della sua giovinezza si prostra dinanzi all’altare del Dio vivente (per) consacrarsi a lui, la benedizione, la consacrazione e la santificazione. Egli si leva e per virtù divina è trasformato in altro Cristo, alter Christus. Il sacerdote che risponde alla sublimità della sua vocazione è un’incarnazione vivente del Cristo. Investito divinamente di quella stessa missione che Gesù Cristo ebbe dal Padre, egli deve perpetuarla nel tempo a prò di tutte le anime con le quali la Divina Provvidenza le metterà a contatto. E Gesù, sotto l’essere umano del sacerdote, continua la sua opera redentrice in tutta la sua perfezione.

E’ Gesù Cristo che ha costituito tale il sacerdote. Sicut misit me Pater et ego mitto vos.

A somiglianza di Gesù egli resterà nel mondo ma non per essere del mondo, ma per strappare le anime dal vortice della sua perdizione, per combattere il mondo. Il sacerdote deve avere per il mondo il medesimo orrore del Figliuolo di Dio il quale lo ha maledetto… Più il mondo vedrà il sacerdote romperla con le sue idee basse e naturali più ne resterà edificato e imparerà a rispettarlo… L’abito esteriore che riveste indica la sua separazione intera dal (mondo).

Egli lascia tutti i segni esteriori che ne facevano un uomo ordinario. Morto dinanzi ai suoi fratelli, separato dal mondo, egli ormai appartiene al piccolo drappello degli umili ma forti discepoli della Croce.

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Il sacerdote ha due famiglie: quella secondo natura e quella che gli ha creata la grazia. La prima deve essere interamente sacrificata a l’altra. Più il sacerdote sarà assolutamente votato a Dio, più risponderà alle viste della Chiesa

Un amore di padre un amore di madre prenderà il posto delle sue affezioni naturali, giacché sarà per le anime più forte che un padre, più tenero di una madre. Non vi sarà un’anima sola che gli sia estranea e comprenderà che tutte hanno dritto alla sua carità.

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Io sono vita, verità, e via – Angelo di pace, di luce e di conforto. La vita soprannaturale: la vita morale e sociale: quanto ha compiuto di grande il cristianesimo nel campo sociale: e civile, voi troverete che si poggia e si fonda tutto sul sacerdote. La questione sociale.

Angelo di pace = la pace questo dono supremo dello spirito umano l’individuo e la società la rinvengono ai piedi del sacerdote. Il Rettée – il Manning – l’opera pacificatrice di Benedetto XV.

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Banditore di verità. Angelo di luce = il missionario – il Cardinal Cagliero.

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Gesù è la Via – Alla verità si giunge col sacrificio e con la rinuncia. Lungo il terreno pellegrinaggio il sacerdote si fa nostra via col consiglio e con l’esempio. San Francesco di Sales – S. Alfonso – il S. Curato D’Ars. Il Sacerdote mistica via che c’introduce nel cielo all’ora della morte.

Angelo di conforto col suo esempio di abnegazione e di sacrificio. Esempio di purezza. Il sacerdote per la verginità padre dell’umanità sofferente .Il Cottolengo – il P. Ludovico.

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Se il sacerdote non è risoluto energicamente e con degli sforzi costanti ad essere un santo, rinunci al suo ministero. E’ troppo elevato per poter essere riempito a metà.

Gli uomini, anche quelli che non credono, dice uno dei più illustri letterati moderni, Renè Bazin, hanno bisogno di santità da sentirsi sforzati di ricorrere ad essa.

Omelia esequiale per la morte di un giovane

Omelia esequiale per la morte di un giovane

Farina B (pagg. 129-131) – Archivio della Postulazione della Causa di Beatificazione di Mons. Farina – Foggia, Cartella: Lettere a Pasqualino
*Foglietto piegato in due autografo del S. D., scritto su tre facciate, senza firma.
Schema di omelia esequiale, per la morte di un giovane (Riguarda le esequie di Pasqualino Pirro, deceduto il 27- 6 1929, citato nel testo dell’omelia) (senza data).

Omelia esequiale per la morte di un giovane
(Nello scritto originale i titoli in corsivo sono scritti a lato del testo)

Esordio:

Trovarsi davanti al cadavere di un giovane morto nel fior degli anni, dispiace ed ha del misterioso. Questo mistero ci viene svelato dalla fede. Nel Vangelo troviamo la risposta: la vita presente è preparazione alla futura e il dolore ha perciò una funzione purificatrice e salvatrice.

Eccezione del caso.

E’ un’eccezione fare l’elogio funebre in chiesa. E questa è un’eccezione.

Perché? E’ stato giovane.

1) Conquistatore della verità.

Perché ci troviamo dinanzi alla bara (al cadavere) di un giovane che ha conosciuto il fluttuare delle passioni giovanili, ma ha saputo conquistare la verità di ordine naturale, ve ne sono altre di ordine superiore, ed egli con molto studio e sforzo di intelligenza ha saputo cogliere l’armonia tra questi due ordini di verità e di vederne tutta la bellezza ascosa. Quest’armonia l’ha vista in Dio, sommo vero, nel quale si risolvono tutte le verità di ordine nat. e sopr.

2) Che ha praticato quanto credeva.

Ma non è bastato ciò. La convinzione intellettuale ha prodotto quella necessaria convinzione pratica per cui tutti gli atti della vita sono stati conformati alle verità teoriche della fede.

3) Questa pratica era coerente alla fede conquistata ed era forte, espressione cioè di fortezza.

Questa vita di fede era una logica conseguenza e coerente alla fede conquistata ed è stata professata sempre con animo forte in ogni occasione. Anche ai nostri tempi, felici dopo la Conciliazione, occorre fortezza, per saper professare la propria fede.

Questa vita interiore ha sentito il bisogno di espandersi mediante l’apostolato. E in questo la fortezza della sua professione di fede ha giovato non solo a lui ma a quanti lo hanno conosciuto. Anch’io ne sono rimasto edificato nelle conversazioni che ho avuto con lui.

4) Fortezza eroica.

Questa fortezza ha raggiunto l’eroismo perché ha compreso la grande funzione purificatrice del dolore, accettandolo ed uniformandosi in tutto alla volontà di Dio.

Apostolato di luce, di sofferenza , di pace.

Ogni uomo che viene al mondo ha una missione da compiere; questa comincia nella vita, ma si rafferma dopo la morte. Così anche del Dott. Pirro. La missione sua comincia ora mostrando a tutti l’esempio della sua vita forte nella fede sino all’eroismo, sino all’immolazione di tutto se stesso. Tutti potranno da lui apprendere quanto sia necessario fare del bene e vivere di fede, per un ideale di perfezione.

O anima benedetta, continua dal cielo questo apostolato di bene che non ti fu concesso compiere in terra, anzi, per meglio dire, che fu concesso a te di compiere in un modo superiore che ad altri non è concesso, cioè nel dolore e nell’immolazione.

Prega per i tuoi cari e sii tu stesso per noi l’Angelo consolatore, e prega perché altri conquistino quella saldezza e fortezza della fede che avesti tu.

L’Uomo – Dio, nella lotta tremenda che sostenne nella sua natura umana, dalla quale aveva per un miracolo sottratto il benefico influsso che proveniva dalla divinità, quando il Padre gli presentò il calice del dolore e della passione in mezzo agli spasimi dell’agonia e del sudor di sangue, volle un Angelo che lo sostenesse e lo confortasse a bere sino all’ultima goccia quel calice. Consola tu i tuoi desolati genitori, i tuoi fratelli e le tue sorelle, i quali tanto cristianamente sopportano questo dolore e impetra loro la rassegnazione alla volontà del Signore.

1)genitori 2)sofferenti 3)assetati di verità.

Egli sentiva che voleva comunicare agli altri quella luce di cui era arricchita l’anima sua, e se desiderava prolungare la sua esistenza, era solo per poter compiere questo apostolato a favore di quanti potevano avvicinarlo.

Omelia sulla Madonna nel 25° di Sacerdozio e 10° di Episcopato

Omelia sulla Madonna nel 25° di Sacerdozio e 10° di Episcopato

Fiorita d’anime (pagg. 5-16) – Foggia, Gennaio 1930 – Anno VII – N. Straordinario, che riferisce sulla celebrazione del 25° di Sacerdozio e 10° di Episcopato di Mons. Farina con la presenza del Card. Ascalesi, Arcivescovo di Napoli, nella Cattedrale di Troia.Omelia di Mons. Farina sulla Madonna. (Cattedrale di Troia – 8 dicembre 1929)

Omelia di Mons. Farina sulla Madonna
(Cattedrale di Troia – 8 dicembre 1929)

«Compiono oggi dieci anni dal dì che – sotto le volte di questa storica Cattedrale – per la prima volta io, da poco consacrato vostro Vescovo, celebravo il santo Sacrifizio in tutta la maestà del rito pontificale. Anche allora – come oggi – voi vi stringeste intorno a me, vostro Pastore, per assistere a quel primo pontificale che io mi ero riserbato di non celebrare che qui, fra voi – miei dilettissimi figli – e nel giorno sacro alla Immacolata Concezione di Maria, la cui effigie allora, come oggi, biancheggiava sul mio petto, tra le gemme della croce vescovile donatami dal Papa.

Ed in quel giorno, per me e per voi così solenne e memorando, io – con tutto l’affetto del mio cuore – per la prima volta vi parlai di Maria.

Alla distanza di dieci anni, in questo giorno – che resterà memorando, nei fasti di questa città, poiché a commemorare il mio venticinquesimo anno di Sacerdozio e decimo di Episcopato, con pio e delicato pensiero, voi concordemente con a capo l’Ill.mo vostro Sig. Podestà, avete deliberato di consacrarvi in forma pubblica e solenne all’augusta Regina del Cielo e della Terra – mi è motivo di gaudio inesprimibile, m’è motivo di profonda commozione il parlar ancora una volta di Lei.

Gaudio e commozione tanto più vivi e sensibili, poiché – a conferire un carattere di solennità affatto eccezionale alla mia parola – è l’augusta presenza di un Principe di Santa Chiesa, L’Em.mo Cardinale, che a ragione possiam chiamare il Cardinale del nostro Mezzogiorno d’Italia, e nel quale così viva splende la fiamma di quella forte e salutare divozione a Maria, di cui il nostro S. Alfonso dei Liguori fu ed è tuttora col mezzo dei suoi scritti, l’instancabile banditore ed apostolo.

Gaudio e commozione, che erompono, innanzi tutto, nell’espressione di un sentimento di viva riconoscenza verso la Sua Augusta Persona, che con tanta bontà accolse le vostre istanze con cui lo reclamaste qui, a rendere più solenne la vostra consacrazione a Maria – gaudio e commozione che erompono ancora nell’espressione di un profondo sentimento di riconoscenza verso di voi – miei figliuoli dilettissimi – che avete voluto onorare in me il Pastore datovi da Dio, secondando il voto più ardente del mio cuore, che fu sempre quello di vedervi tutti al sicuro all’ombra del Patrocinio della Vergine Santissima, l’augusta Madre di Dio – Gaudio e commozione, infine e soprattutto, che è l’inno della mia riconoscenza, è la protesta di tutta la mia fiducia verso la santa Vergine Maria che – Madre amorosissima – fu vigile e instancabile Mediatrice delle misericordie e delle grazie dell’Altissimo per la povera anima mia; fu e va sempre più diventando L’argomento di ogni mia speranza per il dì dell’eternità, che sempre più si avanza; fu e sarà sempre la fida Custode del mistico gregge alle mie povere cure confidato.

Mediatrice

Maria fu la vigile e instancabile Mediatrice delle misericordie e delle grazie dell’Altissimo per la povera anima mia.

Compiono oggi precisamente quarantun anni dal giorno benedetto, in cui, poco più che settenne, io – che fin da bambino avevo appreso dagli esempi della mia mamma terrena a onorare ed amare la Madonna – fui condotto ai piedi del Suo Altare dai miei educatori – i Padri della Compagnia di Gesù – e pronunciai per la prima volta in pubblico, nell’iscrivermi nell’albo dei congregati di Maria, la mia totale consacrazione a Lei. Ed oggi riandando tutto lo svolgimento della mia vita, io posso ben ripetere l’ispirata parola del Savio: “Venerunt mihi omnia bona pariter cum illa”. Ogni sorta di beni vennero alla mia povera anima con la divozione a Maria.

Sicché, se ieri sera, al chiudersi della solenne accademia che voleste tenere in mio onore, considerando la grande misericordia che Iddio aveva avuto per me: io potetti ripetervi: “Magnificate Dominum mecum” oggi vi invito a glorificar meco la Santissima Vergine Maria, perché io tutto debbo a Lei, che delle Divine Misericordie mi è stata sempre costante e generosa Dispensiera, mossa forse a compassione dalla debolezza e fragilità di questo suo povero figlio.

Mi accolse infatti fanciullo, all’ombra del Suo Manto.

Adolescente, lei mi ritrasse dal baratro di perdizione, cui la natura sospinge, e mi pose su di un sentiero fiorito, su cui Essa, più tardi alla prim’alba della mia giovinezza, fece brillare un santo ideale di purezza e di apostolato a cui, nel segreto del mio cuore, sin d’allora intimamente mi votai.

Più tardi – quando il sogno vagheggiato cominciava a divenir realtà – fu ai Piedi del Suo Altare e in prossimità della festa della Sua Assunzione che io deposi per sempre gli abiti del mondo per vestir l’abito ecclesiastico, l’umile abito dei ministri del Signore.

Fu nel cinquantesimo anniversario della proclamazione dommatica del Suo Immacolata Concezione, ai candidi, fulgori della Sua Celeste visione, al sereno incanto del Suo sorriso materno, che io Sacerdote Novello, ascendevo, quasi condottovi da lei per la prima volta l’Altare.

E quando – nonostante la mia indegnità – Iddio mi volle insignito della pienezza del Sacerdozio e fui eletto vostro pastore, all’anima mia incerto sgomenta per l’arduo peso che gli si addossava. Essa arrise, pegno sicuro di speranza, anzi – potrei dire – promessa indefettibile di celeste aiuto e d’ineffabile conforto.

È ben giusto, adunque, o miei dilettissimi figli, che ora – dopo dieci anni di episcopato dopo tante alterne vicende dopo ansie e trepidazioni pel mio mistico gregge insidiato dall’eresia, contro cui sperimentai sempre il suo aiuto e la sua materna assistenza – io effonda l’animo in un sentimento vivo e profondo di riconoscenza per Lei e al cospetto del mondo intero, io proclamai altamente che se Iddio mi fu largo delle sue misericordie e mi dischiuse i tesori della sua grazia, tutto questo lo compì per mezzo di Maria “omnia me habere voluit per Mariam”.

Tota ratio spei meae

A questo sentimento di riconoscenza inesprimibile, va intimamente congiunto quello di una fiducia piena, di una confidenza illimitata per ciò che ci attende oltre gli angusti confini della vita presente, nella nostra eternità.

La celebrazione del venticinquesimo di una data memoranda della propria vita, per ogni cristiano – e molto più, per un sacerdote, la celebrazione del suo venticinquesimo di sacerdozio – non è la semplice occasione per dei festeggiamenti più o meno solenni, ma è come una fermata ideale che l’anima nostra pone nel tempo, per volgersi ad abbracciare in un sintetico sguardo tutto il passato, affin di meglio disporsi all’avvenire, non immediato del tempo, ma nell’avvenire che ci attende nell’eternità.

Venticinque anni trascorsi, infatti, sono un gran passo già compiuto verso la tomba: sono un salutare richiamo al pensiero per l’anima nostra, la notte della vita presente è inoltrata e si avvicina il gran giorno dell’eternità «nox praecessit, dies autem appropinquavit», quel giorno che non conosce tramonto, alla cui luce appariremo quali realmente siamo al cospetto di Dio, e non quali apparimmo qua giù ai fallaci occhi degli uomini.

Orbene, rivolgendo l’occhio indietro a rimirare con uno sguardo comprensivo e indagatore i miei venticinque anni di sacerdozio già trascorsi, contemplandoli alla luce di quel giorno eterno cui tanto mi sono andato avvicinando, se ho motivi per ringraziare, perché grande fu la misericordia di Dio per me, per quanti motivi ho per umiliarmi e per confondermi, sino a dover esserne, sarei per dire, sgomento!

Quanto tempo perduto; quante incorrispondenze e quante infedeltà alle grazie grandi largitemi da Dio; quanto bene non compiuto, sebbene Dio da me se lo aspettasse, quante deficienze e quante manchevolezze nel bene stesso compiuto…E a rendere più grave ancora, già grave conto ch’io debbo rendere al Giudice Eterno, ecco dieci anni del mio ministero pastorale, con tutto il peso delle sue formidabili responsabilità…

Ma di fronte a questi gravi argomenti di trepidazione e di sgomento, dolce, soave, serenatrice ecco mi si presenta la materna figura di Maria. E nel mio cuore come all’apparire dell’iride nel cielo procelloso, tutto si acqueta e rasserena, poiché il mio passato e il mio avvenire, il mio ministero e le mie responsabilità, tutto è nelle sue Sante Mani, ed Essa – che è Madre misericordiosa e insieme Avvocata potentissima presso il Cuore del Giudice Eterno – saprà ben perorare la mia causa, saprà ben ottenere da lui, perdono, compassione e misericordia..

Praesul et Custodia

Ma se la Madonna è stata sempre e sempre più diventa tutta la ragione della mia speranza per la vita eterna, Essa non meno fu sempre la ragione di tutta la mia fiducia nell’arduo e difficile compito del mio ministero pastorale.

Quanti dieci anni or sono, per la prima volta, misi piede in questa Cattedrale, dopo di aver fatto l’adorazione al SS. Sacramento, domandai subito dell’altare della Santissima Vergine. Lì, ai piedi di quella bella effige di Maria, Assunta in Cielo dagli Angeli festanti, che oggi voi avete collocata nella gloria di quel trono rifulgente, a Lei tutti vi consacrai, o miei figliuoli, pregandola con tutto il fervore del mio cuore perché si degnasse di diventare Essa stessa «Praesul et Custodia», Madre, Maestra, Pastore del mistico gregge che Iddio aveva voluto affidare alle mie cure.

Quell’atto, compiuto nel segreto del mio cuore, non l’ho mai scordato, anzi nel momento di sconforti o di trepidazione, quando un pericolo è passato su di voi, quando un’insidia è stata tesa dal nemico alle anime vostre, io l’ho sempre rinnovato con tutta la confidenza del mio cuore, e in esso il mio spirito sgomento e smarrito ha sempre ritrovato il suo riposo e il suo conforto.

Ma se l’avevo in cuor mio consacrato alla Madonna e, direi quasi, ricoverati all’ombra del Suo Manto, fu fino a questo giorno argomento di fiducia e di conforto, oggi diviene per me argomento di gaudio inesprimibile e di pace senza confine.

Quell’atto che io compii nell’intimo dell’animo mio, prostrato ai piedi della Madonna, quello stesso atto voi vi apprestate oggi, infatti, a compiere nella forma più solenne ed ufficiale, quasi ratificare – per mezzo di chi tanto bene vi rappresenta, l’Ill.mo Sig. Podestà – quella consacrazione già da me segretamente compiuta nell’assumere la cura delle anime vostre. Ed io sono sicuro che la vostra ufficiale consacrazione alla Madonna, non vuol essere una vana esteriorità, ma vuol essere, quale deve, un impegno solido e formale di vita sempre più profondamente e integralmente cristiana.

Così la Madonna mostra bene di aver accettato la mia fervida offerta; così mi assicura direi quasi sensibilmente che ben vegliò sulle anime vostre, che il Signore mi aveva confidato, così mi dà pegno indubitabile che sulle anime vostre veglierà ancora e sempre con occhio tenero di Madre. Oh! Qual argomento di più profonda pace per un pastore, che il saper tutte le sue pecorelle rifugiate all’ombra del materno manto di Maria?

In pace in idipsum

Ecco perché, figliuoli miei dilettissimi, io vi dicevo fin dal principio di queste mie povere parole, che il parlare a voi di Maria in questo giorno era motivi di gaudio inesprimibile e di profonda commozione.

Voi non potevate farmi dono più gradito pel mio giubileo sacerdotale e pel mio decimo di episcopato, non potevate farmi dono più gradito di quel che mi fate consacrandovi ufficialmente alla Madonna; ed io ve ne esprimo ora pubblicamente, in quest’ora solenne, tutta la mia riconoscenza.

Quando questa sera, sulle soglie di questo magnifico tempio, che i vostri padri dedicarono a Maria, io pronunzierò pubblicamente l’atto della vostra ufficiale consacrazione alla Madonna, così ben corrente alle tradizioni avite di questa storica città, e con un rito che rievoca così vivamente le memorie più belle delle antiche repubbliche italiane; quando, alla presenza di un Principe di S. Chiesa, che aggiungerà splendore all’evento, lustro alla Porpora Romana, cadrà il drappo della lapide che ricorderà nei secoli la vostra consacrazione; quando il fragore armonico delle campane saluterà compiuto il rito solenne che farà di questa città la città di Maria, io guarderò con serenità senz’ombra al mio avvenire del tempo e dell’eternità, perché avrò posto pubblicamente e solennemente il mio gregge all’ombra del patrocinio indefettibile di Maria. E canterò col Regale profeta nel mio cuore: «In pace in idipsum dormiam et requiescam».

Appunti per l’omelia dei Santi Patroni di Como

Appunti per l’omelia dei Santi Patroni di Como

Predicazione A (pagg. 141-142) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI N° 25.
*Foglietto, piegato in due, autografo del S. D., scritto su tre facciate.
Appunti per l’Omelia dei Santi Patroni di Como – Pontificale nella Cattedrale di Como –
(7 ottobre 1933 )

Appunti per l’omelia dei Santi Patroni di Como
Pontificale nella Cattedrale di Como
Sabato –– 7 Ottobre 1933 – XI

La cartolina e l’immagine ricordo: i santi intorno la Croce la circondano formandole intorno quasi corona di gemme fulgidissime.

Il sublime ammaestramento – la croce simbolo di sacrificio è strumento necessario per la nostra salvezza, per la nostra santificazione, per compiere la nostra missione benefica a pro’ dei nostri fratelli.

La fuga dal peccato richiede mortificazione e rinunzia.

La pratica dei consigli evangelici di perfezione, la richiede egualmente. La santità riveste tante forme diverse: santi, martiri, pontefici, sacerdoti, eremiti, apostoli, vergini. Abbiamo come tante vie che conducono alla santità, tutte però sono contrassegnate dalla Croce. La croce è la via regia che conduce al cielo e ci conduce da santi. La croce necessaria all’apostolato di S. Paolo, S. Patrizio, S. Bonifacio, S. Cirillo e Metodio – S. Francesco Saverio. Il sacerdote e il Vescovo nella loro ordinazione. Il fedele che partecipa all’apostolato gerarchico della Chiesa. Nisi granum frumenti etc.

Come si partecipa alla Croce di Gesù – la mortificazione necessaria dei sensi e del cuore, la mortificazione volontaria, la rassegnazione nelle pene e nelle sofferenze. Una parola ai sofferenti. L’umiltà e il nascondimento. La carità e i sacrifici della carità.

La Madonna nostra maestra e nostra madre – il rosario – la vita di Gesù meditata nel rosario – la preghiera. La Madonna per poter essere salutata Regina delle Vittorie, ha dovuto prima ai piedi della Croce divenire la Regina dei Martiri.

Florete flores quasi lilium et date odorem et frondete in gratia: colllaudate canticum et benedicite Dominum in operibus suis.

Omelia Domenica V dopo l’Epifania

Omelia Domenica V dopo l’Epifania

Predicazione B (pagg. 113– 114) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 4
*Scritto autografo del S. D., su 1 foglietto a righi, scritto avanti e dietro.
Omelia Domenica V dopo l’Epifania (In essa il S. D. parla dell’amore totale dei sacerdoti verso Dio, bene infinito. Solo Lui può appagare la sete di felicità dei loro cuori).
(Benevento, 11 novembre 1945 – Dom. V dopo l’Epifania)

Benevento 11 Nov. 1945 – Omelia Dom. V dopo l’Epifania

Omne quoducumque facitis in verbo aut in opere, omnia in nomine Domini nostri Jesu Christi, gratias agentes Deo et Patri per Jesum Christum Dominum nostrum.

Il campo di cui Gesù parla è anche la nostra anima … l’anima di un apostolo in questo tempi novissimi, tempi di nuovo eccezionale travaglio per la sua Chiesa.

La caratteristica dell’anima dell’apostolo è la carità, l’amore, Amore soprannaturale, tanto diverso da quel amore naturale secondo le naturali attrattive per cui facciamo dono di noi stessi ad una creatura terrena per l’appagamento delle bramosie tumultuose del nostro cuore di carne nell’appagamento dei sensi e delle passioni. Amore soprannaturale forte e generoso che ha per oggetto Dio, per fine la totale dedizione del nostro cuore e di noi stessi a Lui, bene infinito che solo può appagare in pieno la sete ardente di felicità del nostro cuore. Dedizione di tutto voi stessi alle anime, per amore di Dio, e non per appagamento della nostra naturale brama di operare. Sete della conquista delle anime per amore di Dio.

Virum non cognosco… non conosco amore naturale – Amo Dio solo e le anime per amore di Lui.

Ecco la parola di S. Paolo ai Colossesi che ci ammaestra. Induite vos electi Dei, sancti, et dilecti, viscera misericordiae, benignitatem, humilitatem, modestiam, patientiam, supportantes, invicem, donantes vobismet ipsis.

Dedizione di se stesso non per appagamento di se stesso, del proprio cuore, delle proprie voglie, ma per amore di Dio, di Gesù Cristo il nostro Dio amato, fattosi nostro fratello, che ci ha amato fino alla totale immolazione di sé sulla Croce, sino alla totale dedizione di sé nell’Eucarestia.

Caratteristica dell’apostolo: l’amore operoso, lo studio, multus labor, multa in labore methodus, multa in methodo costantia, molta abnegatio sui.

Santa letizia nel lavoro, in gratiamutantes in cordibusvestris Deo.

Purezza d’intenzione in tutto, donandoci in tutto per puro amore di Gesù Cristo per amore delle anime in Lui.

Gloriam meam non quaero…

Serva eos quos dedisti mihi…

Ego veni ut vitam habeant et abundantius habeant

Preparati alla tentazione – alla lotta contro satana – inimicus homo seminavit zizaniam.

Alleluja! Canto di Vita (schema di omelia)

Alleluja! Canto di Vita (schema di omelia)

Scatola XII (pagg. 50-51) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Cartella: Documenti vari II
*Minuta di autografo del S.D.( del quale il paragrafo iniziale è in latino), scritto su 4 facciate di un foglio, piegato in due.
Alleluja! Canto di vita. (E’ lo schema di una omelia del S. D., tenuta durante una S. Messa, richiesta ed organizzata dagli ex soci del Circolo cattolico di Salerno).
(senza data, ma presumibilmente intorno al 1950, in quanto il S. D. dice che si ritrova con loro dopo oltre 40 anni).

Alleluja! Canto di Vita

Vos autem genus electum, regale sacerdotium gens sancta, populum acquisitionis: ut virtutes annuntietis eius, qui de tenebris vos vocavit in admirabile lumen suum. Qui aliquando non populus, nunc autem populus Dei: qui non consecuti misericordiam, nunc autem misericordias consecuti.

——–

Canto di vita – eppure io che dopo oltre quaranta anni, mi allieto di ritrovarmi tra voi in quest’ora, con le forze fisiche menomate e i capelli inceneriti nel servizio della Chiesa, ho le impronte di una vita che tramonta – e voi che voleste, che organizzaste questo vostro incontro vi foste spinti da l’impulso dei vostri cuori ansiosi di rivivere per breve ora, ai piedi dell’altare una di quelle tanto frequenti e indimenticabili ore della vostra adolescenza e della vostra prima giovinezza. Liete ore, ormai lontane, il cui ricordo vi ritrova oggi uomini maturi, inoltrati nella vita – il cui laborioso cammino avete già in buona parte percorso. Quanti dei vostri compagni di quaranta anni or sono, già sono scomparsi. Ma la vita, di cui l’Alleluja pasquale è il mistico canto, non è già questa vita che ci sfugge col decorrere degli anni, ma la vita eterna dello spirito, la vita che in Dio si eterna, vita beata, che non conoscerà tramonto, di cui Gesù ci ha dischiuso le porte, questa vita terrena è ordinata come mezzo al fine.

Il retto uso di questa vita terrena così fuggevole, perché diminuisce per ognun di voi, mezzo al possesso della vita beata ed eterna riacquistata da Gesù – fu il mandato che Iddio mi affidò a vostro riguardo mezzo secolo fa.

Ognuno di noi, nel breve cielo della sua vita terrena, ha una triplice missione da assolvere per la conquista della vita eterna in Dio nostro fine ultimo.

Una missione individuale, tutta sua propria, che possiamo chiamare personale – ed è la propria santificazione.

Una missione familiare.

Una missione sociale e civile.

Di queste tre missioni la prima è il fondamento ed ordinata alla altre due, tutte risposte bene alla prima – anche la risposta alle altre due, d’ordinario, sarà positiva.

All’alba della vostra prima giovinezza per voi s’iniziava il travaglio della prima missione. E la Provvidenza mi pose al vostro fianco perché esercitassi a vostro riguardo quella paternità spirituale che è propria del sacerdote di Gesù, per la quale egli rinunzia alla paternità terrena secondo… circoscritta e limitata. E il sacerdote che si fa padre nello spirito dell’adolescente – che si rivolge a lui, integra nei suoi riguardi l’opera educatrice dei suoi genitori – nella sua porzione più elevata, più intima, più nobile che varca i limiti della natura e rientra nella ampiezza del campo soprannaturale a cui Gesù ci ha ridonati.

Missione familiare.

Missione socio e civile.

Frutto delle tre missioni = la pace

La grazia di Dio riacquistata con la purificazione dal peccato.

Il Precetto Pasquale.

La nostra Madonnina

Minuta di omelie per le nozze

Minuta di omelie per le nozze

Scatola XIII (pagg. 1 – 3) – Cartella: D. Michele Gargano 1 – Archivio della Curia Diocesana di Troia.
* Lettera autografa del S.D. incompleta su foglio listato a lutto, piegato in due, senza firma. In 2a, 3a e 4a + 5a pagina di un foglietto aggiunto c’è la minuta della predica di nozze di suo cugino Nicola, contenuta in un 1° plico di manoscritti aperti raccomandati con lettera, in busta affrancata, timbro postale: Salerno, 13.5.71, indirizzata a Mons. Castielli – Faeto (FG).
Qui segue solo la Minuta dell’omelia per le nozze del cugino Nicola (senza data). Si omette la breve lettera di accompagnamento.

Minuta di omelia per le nozze

Già con nodo indissolubile irrevocabilmente avete congiunti i vostri cuori. È compiuto il rito solenne che ha sancito innanzi a Dio ed agli uomini la vostra unione; già non formate più due, ma una sola vita, una sola esistenza. Ed ora, prima che lasciate l’altare per correre agli amplessi dei vostri cari, che vi hanno fatto corona in questi momenti al certo trepidi e solenni pel vostro cuore, io, quale ministro del Signore, devo rivolgere a voi la mia parola e poi alzare la mia mano e solennemente benedirvi.

Devo rivolgere a voi la mia parola e, nella mia pochezza, non so fare altro se non che ripetervi con tutta l’effusione dell’anima le parole ispirate dell’Apostolo S. Paolo: “Che la pace di Gesù esulti nei vostri cuori, e la parola di Lui abiti con pienezza in voi. “Pax Christi exultet in cordibus vestris…Verbum Christi habitet in vobis abundanter”. La pace…; non so augurarvi bene migliore. Passerà la festa di oggi, passerà il suo fascino, passeranno le sue attrattive, si dilegueranno come si sono dileguate le note armoniose che pochi momenti or sono echeggiavano fra queste sale, ed il vano ricordo di esse non mai potrà rendervi felici, neppure tali vi renderanno gli agi e le ricchezze della vita, gli onori e la stima degli uomini, se la pace non regnerà sovrana fra le mura del vostro santuario domestico.

Questo dono però della pace, tanto prezioso, è unicamente frutto di una vita di famiglia veracemente e sentitamente cristiana; è frutto dei divini insegnamenti di Gesù rettamente intesi e pienamente praticati, e per ciò io ho ancora augurato che sia con voi la pienezza della parola del Cristo: et Verbum Christi habitet in vobis abundanter.

Come è bella la famiglia, che risponde pienamente al concetto ideale della famiglia cristiana, ove la parola di Gesù, i precetti del suo Vangelo sono con pienezza praticati! Ivi l’amore, reso soprannaturale, non trae il suo alimento dalle passioni e dalla natura quasi sempre incostanti e fallaci, ma solo da Dio attinge vigore e vita, e, a somiglianza di Dio, è puro e costante, immutabile. Ivi è l’amorosa condiscendenza dell’uno verso l’altro, la tolleranza e il compatimento scambievole, l’affettuosa sollecitudine di ciascun membro di esso di rinunziare ai propri gusti, alle proprie vedute per far piacere all’altro. Ivi non si mangia il pane nell’ozio, che ognuno è utilmente occupato; si è largamente benefici verso gli umili e i bisognosi; si serba il giusto decoro della propria condizione, si ha però in sommo aborrimento il lusso e del fasto, si cerca altra grandezza all’infuori di quella che viene da una sola vita feconda di bene. Ivi la fede cosparge di fiori le spine, che quaggiù ad ognuno, non mancano mai, mentre la pace legittima, anzi necessaria, conseguenza di tanta virtù stende in essa il suo impero, dolce e soave. È pur bella una famiglia così fatta e tale sarà la vostra famiglia, miei cari fratelli, se i santi insegnamenti di Gesù saranno in essa da voi praticati. E voi, lo spero, saprete praticarli. Vogliate adunque praticarli: voi entrambi nasceste da famiglia cristiana, e poi passaste gli anni della vostra adolescenza l’uno educato vicino la tomba di un Santo, che è tra le glorie più fulgide della Chiesa, l’altro tra le figlie, virtuose figlie d’una donna, che in mezzo agli sconvolgimenti della rivoluzione seppe mostrare quanto possa operare un animo naturalmente debole, reso forte dall’amore del Cristo. No, che non siano sterili nei vostri cuori i germi dell’educazione cristiana che riceveste. Maria, innanzi all’altare della quale vi siete giurati eterna fedeltà li fecondi in voi con la virtù del suo amore materno. E voi nella divozione verso di Lei, (poiché nulla v’ha di più amabile e allo stesso tempo nulla di più forte e di più generoso che la divozione a Maria rettamente intesa) sappiate trovare l’aiuto più valido per osservare gl’insegnamenti di Gesù, per praticare quelle virtù che sono proprie degli sposi cristiani, sicché davvero la pace di Lui possa sempre regnare tra voi, nella vostra famiglia e secondo l’espressione dell’Apostolo possa trionfare, esultare nei vostri cuori. Et pax exultet in cordibus vestris.

Ed ora altro non mi rimane a dirvi, se non che nel possesso di questa pace vi accompagni il ricordo dei vostri cari, dei vostri genitori, come ora, insieme con la mia, vi accompagna la loro benedizione.

E specialmente accompagni te, o Nicola, mio caro cugino, il ricordo della madre tua, che dal dì che fosti orbato del genitore, ebbe per te raddoppiate le sue sollecitudini materne. E col ricordo di lei, sia sempre vivo l’affetto pei tuoi e la memoria del tuo amato padre, che, in questo momento, certo, a te benedice dall’Alto. La sua vita sempre, sempre, non ostante gli agi e le ricchezze, modesta ed intemerata, consumata tutta nell’amore santo della famiglia, la sua morte cristianamente serena e rassegnata ti sia ammaestramento perenne nella nuova vita che oggi abbracci. Tale tu sii, quale egli fu, sicché tu e la tua sposa, siate davvero felici. Io intanto, io dopo, ultimo dei ministri del Signore, io che pure ti amo, alzo la mia mano e vi benedico entrambi. Vi benedico pronunziando sul vostro capo parole sante ispirate da Dio stesso, parole che la Chiesa mi pone sul labbro, e il cui compimento io auguro pieno in voi.

Omelia per il matrimonio di una cugina

Omelia per il matrimonio di una cugina

Prediche – c) (pagg. 1-2) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Minuta autografa del S.D. scritta su quattro facciate di un foglio, piegato in due.
Omelia per il matrimonio di una cugina (senza data)

Omelia per il matrimonio di una cugina (senza data)

Miei fratelli carissimi, è questa una delle ore più belle della nostra vita: lungamente voi la vagheggiaste e l’affrettaste coi voti ardenti del vostro cuore. Alla vostra giovane fantasia essa appariva come una visione radiosa e seducente, come il cominciamento d’un’era nuova tutta felicità e dolcezza. E tale sarà in realtà per voi, se però l’animo vostro più che essere tocco dalla sua bellezza sia intimamente penetrato e compreso dalla sua solennità. Quest’ora infatti, se è tra le più belle e peraltro ancora tra le più solenni della vostra vita. Con promessa sacra ed inviolabile voi vi siete scambievolmente giurati fedeltà, che dovrà da voi essere serbata sacra ed inviolabile sino alla morte. Nulla varrà a sciogliere questo nodo col quale voi stessi liberamente avete unite e legate insieme le vostre giovani esistenze. È questo vincolo sarà per voi dolce e soave, anzi sarà per voi sorgente interminabile di felicità vera, se ogni istante della nuova vita nella quale ora vi siete messi segnerà uno sforzo da parte vostra per tradurre in atto con quanta maggior perfezione vi sarà dato il concetto della famiglia cristiana, ove lo sposo è il sostegno della sposa ed entrambi s’aiutano e compatiscono a vicenda, pronti a sacrificare l’uno per l’altro per il bene della famiglia i propri gusti, i propri desideri. Ove da per tutto spira un’aura soave di pace alimentata dall’affetto e dal comportamento scambievole, e ove ciascuno cerca la felicità non nell’ozio e nei piaceri, ma nel lavoro e nella pratica della vita.

Oggi non sono molte le famiglie che rispondono in tutta la pienezza al concetto vero della famiglia cristiana.

Quante debolezze! Quante miserie! Ed anche, lasciate che lo dica, quanta corruzione nel mondo. La vostra famiglia sia del numero di quelle che sono meno, anzi sia tale che possa essere alle altre e monito ed esempio. Essa ha i suoi inizii oggi qui ai piedi dell’altare di Maria, mentre la Chiesa c’invita tutti al gaudio per celebrare i trionfi del suo rosario: gaudeamus omnes. La Vergine adunque sia il vostro sostegno ed il vostro aiuto, per Lei sia pura e santa l’unione dei vostri cuori. All’ombra del manto suo non avvizziranno le rose del vostro amore in quest’ora così fresche ed olezzanti, e che altrove, ahi troppo presto avvizzirebbero, né il mistico fiore d’arancio perderà il suo profumo. Essa che dà al giovane levita i nobili slanci della sua vocazione, che ridona la luce della fede alla mente ottenebrata dall’orgoglio e dall’errore, che reintegra nella virtù, chi era perduto nel vizio, darà ancora a voi giovani la grazia d’amarvi (con) un amore che non invecchierà perché fondato in Dio che mai non muta.

Non esagero io: le anime semplici ed umili, come le anime grandi sentirono sempre i dolci e salutari influssi della grazia di Maria, e dal Byron che contemplando il santuario di S. Maria della Bruna la canta sulle rive incantate dell’Ardenzi sino al Retti che non ha guari, nel suo cantico la Salve Regina del Convertito, le attesta tutta la sua riconoscenza per la sua conversione: è una serie non interrotta di testimonianze che ci parlano della potenza e della misericordia di Lei.

Sorga dunque sotto la sua protezione la vostra famiglia e il mistico Rosario, che essa stringe fra le sue mani, e nella cui festa 20 anni or sono tu nascesti,, o mia cara cugina, la renda raro esempio di famiglia intimamente e veramente cristiana. La triplice categoria di suoi misteri vi sia sempre presente per dirvi quale deve essere la vostra vita domestica, in qual modo, con quanta fortezza d’animo dobbiate sopportare i dolori, dai quali non può essere interamente formata la vita dell’uomo qua giù, e finalmente vi dice che il vostro fine, la vostra patria (è) il Cielo.

Omelia per un matrimonio

Omelia per un matrimonio

Prediche – f) (pagg. 1-3) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. Fortunato M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Minuta autografa del S.D., scritta su quattro facciate di un foglio di quaderno a righi, piegato in due
Omelia per un matrimonio (senza data)

Omelia per un matrimonio

Ecco l’ora tanto da voi vagheggiata nei vostri fervidi sogni giovanili, è giunta, e voi educati entrambi alla scuola della Fede, venite a renderla sacra ai piedi dell’altare. Credenti e cattolici non soltanto di nome, ma anche nella pratica della vita, sentite il bisogno che sia la religione a presiedere questo grande avvenimento della vostra vita, che apre in essa un nuovo ciclo ed un’era nuova.

Ed è la Fede, o miei cari fratelli in Cristo, che rende pure e sante ed anche più piene, più stabili e più sicure le nostre gioie qua giù, e che ci addita oltre gli angusti confini della nostra vita terrena, nei secoli eterni la speranza sicura di altre gioie e di altri godimenti che si eterneranno in Dio.

Il matrimonio che siete per contrarre è grande in Cristo e nella sua Chiesa. Esso non è solo un contratto puramente naturale come fu stabilito fin da principio e quale sussiste presso i popoli ai quali non è giunta ancora la luce del vangelo; non solo un contratto puramente civile che stipula dei vantaggi reciproci, regola delle concessioni mutue, e stabilisce i diritti rispettivi degli sposi sotto la garanzia delle leggi umane; esso, per noi cristiani, è un contratto elevato da Cristo alla dignità di sacramento, che, obbligando a gravi doveri, conferisce nel medesimo tempo la grazia di poterli compiere e sa addolcire e rendere soave il giogo che consacra; è un simbolo misterioso dell’unione di Cristo con la sua Chiesa, ad unione tutta santa nella quale Iddio stesso interviene come testimone e garante della fedeltà delle promesse e nella quale la benedizione del sacerdote chiama quella di Dio e la invita a discendere. Esso entusiasmò tanto la rigida anima del grande Tertulliano, da fargli dire quelle memorabili parole, che mi è caro ripetere in questo momento: «Come mai la mia bocca potrà essere sufficiente a celebrare la grandezza del matrimonio cristiano? Di quel matrimonio che la Chiesa accorda, che l’adorabile sacrifizio conferma, che la benedizione consacra, che gli angeli proclamano, che l’Eterno Divin Padre da l’alto dei cieli amorosamente benedice?».

Ma, o miei cari, dalla dignità del matrimonio cristiano vengono fuori dei gravi doveri. Tutti questi doveri però si compendiano in un solo: nell’amore vero, forte, costante che dovete portarvi l’un l’altro. Amore nobile e forte che non è la semplice passione d’un periodo più o meno breve della vita ma quella forza spirituale che deve avvincere i vostri cuori e tenerli sempre indissolubilmente uniti non ostante il volgere degli anni e l’incerto e instabile fluttuare delle passioni umane. Amore che deve in voi, figliuoli devoti della Chiesa, trarre da Dio il suo alimento, che dalla preghiera e dalle pratiche della vita cristiana vuole essere corroborato, che dal sentimento viene difeso, come da uno scudo adamantino, dalla corruzione della società odierna, e da quel suo morboso sentimentalismo, per cui talvolta così impunemente si attenta anche oggi, alla santità del talamo nuziale. Amatevi adunque l’un l’altro, d’un amore vero, d’un amore puro e santo, fondato nella virtù, nella stima scambievole. Ricordatevi che nella vita dovete esservi sempre di sostegno, di aiuto, di conforto scambievole. È questo quello che Iddio vuole da voi e solennemente in quest’ora ve lo comanda.

Mi mostraste ieri sera la dolce e soave immagine della Vergine, ed io approvai, anzi manifestai il desiderio che fossi a presiedere questa mistica cerimonia.

Più tardi tra le mura del vostro santuario domestico essa sarà ai vostri occhi come unica stella che vi guiderà e vi corroborerà lungo la via del bene nell’adempimento del vostro dovere, e nel serbare inviolata sino alla morte quella fede che ora siete per giurarvi.

Maria è per noi cristiani l’ideale della perfezione e della virtù, e il sostegno e il conforto nei dolori e nelle prove di cui niuno è esente su questa terra. In Lei l’anima verginale che si consacra a Dio, trova il suo modello: e alla dolce visione di Lei «Vergine e sacerdote» comprendiamo quanto sublime sia il nostro divino mandato e nel nome di lei anch’io un giorno nella primavera degli anni miei intesi ed amai, più che la mia vita stessa la mia cara vocazione al sacerdozio. Ma Maria Iddio la volle ancora madre, e volle che il profumo delle sue virtù si spandesse intorno sprigionandosi dalla sua divina famigliuola, dal suo umile abituro domestico ove essa trascorse la maggior parte della sua vita intenta all’adempimento dei suoi doveri di sposa e di madre. Essa adunque, celeste patrona delle famiglie cristiane, vegli amorosa sulla vostra famiglia che in questo momento ai piedi della sua immagine voi inaugurate. E tutte le volte che rimirerete questo quadro, ricordando le dolci emozioni, i soavi affetti di questi momenti, che sono tra i più solenni della vostra vita, si che solo potrà rendervi stabilmente e veramente felici. E se a Dio piacerà impreziosire la vostra unione, concedendovi dei figliuoli, accettate l’aureolo di padre e di madre con gioia ricordandovi che una famiglia piena di figliuoli è come una vigna benedetta dal Signore piena di frutti ubertosi. Ma nel medesimo tempo, o miei cari, tremate per la loro educazione: un giorno Iddio, la società, essi medesimi ve ne domanderanno stretto conto. Conservate ai loro cuori, anche a costo di sacrifizi, il patrimonio santo della fede, che nella crisi dell’adolescenza solo potrà salvarli dal naufragio morale. Conduceteli ogni sera ai piedi di questa immagine e il vostro esempio sia ad essi la più salutare lezione: la preghiera fatta in comune dai genitori e dai figliuoli ai piedi di questa immagine fonderà i vostri cuori in un sol cuore e nella vostra famiglia regnerà l’amore, regnerà la pace e sarete felici.

Omelia per la I a Comunione

Omelia per la I a Comunione

Prediche – Quaderno (pagg. 1 – 3) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina – Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero).
* Appunti autografi del S.D., su un quaderno a righi di 36 fogli: pagg. 1-4.
Omelia per la I a Comunione
(senza data)

I.M.I.
Omelia per la I a Comunione

(p. 1) Leggiamo nell’Evangelo che quando Gesù percorreva i villaggi della Palestina predicando la sua divina dottrina, beneficando e consolando tutti, un giorno, nelle vicinanze del mare di Galilea, molte madri, fecero ressa intorno Lui, presentandogli i loro piccoli figliuoli affinché li toccasse. Ma i discepoli di Gesù sgridavano quelle povere donne, perché credevano che gli arrecassero noia e fastidio. Gesù invece fu altamente disgustato di quest’atto dei suoi discepoli e disse loro: «Lasciate che i fanciulli vengano a me, e non gliel vietate». Ed allora quei bambini e quei giovanetti si stringono intorno a Lui, ed animati dalla bontà che si leggeva sulla sua faccia, incoraggiati dal suo amorevole sorriso, dal suo sguardo mite e soave fanno a gara a chi può stargli più vicino, toccargli la veste, prendergli la mano. E Gesù tutto raggiante d’amore li abbraccia l’un dopo l’altro, e prima di renderli alle loro madri estatiche, in presenza di tutta quella folla meravigliata, impone loro le mani e li benedice. Et complenscans eos, et imponens manus semper illos, benedicebat eos.

(p. 2) A questo racconto certamente voi, miei cari piccoli fratelli, avrete invidiato la bella sorte dei fanciulli della Palestina, che furono carezzati e benedetti dal Salvatore. Ma consolatevi, miei cari, perché oggi facendo la vostra prima comunione, accostandovi per la prima volta all’altare, anche voi diventate i piccoli amici di Gesù e riceverete questa mattina da Lui ben altre carezze, ben altri attestati d’amore. Voi fra pochi momenti non solo lo toccherete e sarete benedetti da Lui, ma lo stringerete al vostro petto, e sarete uniti a Lui nell’unione più stretta che possa mai immaginarsi, e potrete aprirgli il vostro cuore, dirgli quel che volete, confidargli le vostre pene, raccontargli le vostre gioie. Voi forse mi domandate ma dov’è G. C. ? Noi non lo vediamo. Dov’è G. C.? G. C. è qui in quest’ostia santa, che di qui a poco vi darò con le miei mani. Voi lo sapete; ve l’hanno insegnato[1], Gesù si trova nell’ostia consacrata vivo e vero, come siamo vivi e veri io e voi; vi si trova come uomo, cioè col corpo, col sangue e con l’anima e vi si trova anche come Dio, cioè con tutta la sua divinità. Voi non lo vedete perché (p. 3) Egli si nasconde sotto le specie del pane, ma qui in quest’ostia, si trova quello stesso Gesù, che 20 secoli fa, poco lontano dal mare di Galilea abbracciava e benediceva i fanciulli della Palestina. Sì è proprio quello stesso Gesù! Rallegratevi adunque ed esultate; è questo il giorno più bello della vostra vita; ne vedrete molti altri ancora, ma nessuno apporterà al vostro cuore una gioia così pura, così soave, così serena. Gesù oggi vi sceglie per suoi piccoli confidenti, per suoi piccoli amici, e nessuna gioia della terra può eguagliare mai questa, di essere gli amici ed i confidenti di Gesù. Ecco che il re del Cielo, quello che gli Angeli incessantemente adorano: il Signore dell’universo, quegli che regge il mondo, a sé v’invita come invitava i fanciulli della Palestina, ed anche oggi ripete da quest’altare: «Lasciate che i fanciulli vengano a me» «Sinite parvulos venire ad me». A se v’invita per donarsi tutto a voi e per colmarvi delle sue grazie e dei suoi favori divini. Oh se poteste vedere come il suo Cuore, su quest’altare si consuma nel desiderio di unirsi alle anime vostre. Venite adunque e non più (p. 4) tardate. Ecco la Madonna, Colei che è la Madre tutta Immacolata di questo Gesù, e che è anche allo stesso tempo la madre vostra, vi guarda tutta compiaciuta, ed Essa stessa vi accompagna per mano all’altare e vi copre amorosa col suo manto materno.

Voi intanto, guidati da Lei, ravvivate la vostra fede, la vostra speranza, la vostra carità e ripetete insieme con me: «O Gesù, coprendo la nostra miseria e la nostra indegnità col manto della tua Madre Immacolata, poiché ci chiami, noi veniamo a Te. Fermamente ti crediamo, qui presente in questa ostia santa. Abbiamo il cuore pieno di speranza nel tuo amore e nella tua misericordia infinita. Ti amiamo con tutte le nostre forze, ti vogliamo bene e ardentemente desideriamo di unirci a te in questo sacramento. Ti domandiamo perdono dei nostri peccati. Tu degnati di unire per sempre i nostri cuori al tuo; che in questa unione essi vivano su questa terra, che in quest’unione essi godano l’eternità.

  1. Nel testo manoscritto si legge: ve l’hanno imparato.

Omelia per il Giovedì Santo - Appunti

Omelia per il Giovedì Santo – Appunti

Predicazione B (pagg 4 – 5) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 1
*Scritto autografo del S. D. su due pagine di quaderno a righi, senza firma del S. D.
Omelia per il Giovedì Santo – Appunti (Il S. D. annuncia l’amore immenso del Signore, manifestato nella Ultima Cena, in cui ci è data la certezza che Lui sarà sempre con noi).
(senza data).

Omelia per il Giovedì Santo – Appunti

Per ogni cristiano è questo il giorno delle più sante e delle più commoventi rimembranze. Gesù era lì nel cenacolo, coi suoi apostoli, alla vigilia della sua passione e della sua morte crudele: sono quelle per dir così le ore supreme della sua vita mortale. L’ultima cena è finita… già secondo il rito dell’antico Testamento egli ha mangiato l’agnello e celebrato la Pasqua… Già gli apostoli confusi ed attoniti se l’hanno visto inginocchiato ai loro piedi, mentre li lavava loro ad uno ad uno, e poi con amore indicibile li baciava. Anche a Giuda, al misero traditore, Egli ha lavato i piedi, li ha teneramente baciati, e ha tentato indarno con accenni di soave richiamo di convertirlo e indurlo a fiducioso pentimento. Ora Egli siede, e mentre gli uomini gli apparecchiano tormenti di morte, mentre Giuda studia l’occasione di consegnarlo in preda all’odio e alla gelosia dei fieri Giudei, nel suo cuore si strugge d’amore per essi, e porta sino agli estremi limiti quest’amore: In finem dilexit eos. Il suo sembiante, soavemente mesto, i suoi ardenti spirano amore, e i suoi accenti sono ispirati dall’amore più ardente. Ardentemente ho sospirato di mangiare questa pasqua con voi… Desiderio etc. O miei cari fratelli ed amici carissimi, nel mondo voi avrete molto a soffrire = in mundum… Non si turbi però il vostro cuore… Non turbetur… Io non vi lascerò già orfani… non etc… Io vado a morte è vero ma nella mia onnipotenza ho trovato modo come restare sempre con voi, in tutti i giorni: ecce ego vobiscum sum etc.

Preso il pane, lo benedisse, e lo distribuì loro dicendo : Prendete e mangiate questo è il mio corpo, che sarà dato per voi. Indi prendendo similmente un calice, rese grazie al Padre, lo presentò loro dicendo : “Bevetene tutti, questo il mio sangue, il sangue del nuovo Testamento, che sarà versato per voi”. E da quell’istante Gesù è restato sempre in mezzo a noi. Ecce ego vobiscum sum. Da quel momento avventurato in mezzo alle prove, in mezzo alle lotte, in mezzo ai dolori, in mezzo ai cimenti noi non siamo più soli, privi d’aiuto e di conforto: non relinquam vos orphanos. Oh! Portentose parole che mediante l’istituzione del Sacramento dell’Eucarestia hanno per sempre fissato Gesù in mezzo a noi! Onde in Lui noi abbiamo sempre il più tenero padre, il più fedele amico, il più amorevole confidente, il più affettuoso fratello, lo sposo più amabile.

Omelia per Matrimonio di parenti stretti

Omelia per Matrimonio di parenti stretti

Predicazione B (pagg. 44 – 45) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis1. – Cartella n. 3
*Scritto autografo del S. D., su 1 foglietto piegato in due, scritto su due facciate..
Omelia per matrimonio di parenti stretti (Esortazione del S. D. agli sposi, perché si amino l’un l’altro con un amore duraturo e con una dedizione completa sino al sacrificio).
(senza data)

Omelia per Matrimonio di parenti stretti

Eccovi ai piedi dell’altare per rendere sacra ed irrevocabile la vostra unione e per implorare su di essa la benedizione di Dio. E a voi cui mi legano i vincoli più stretti del sangue, io che ho la ventura, quale ministro del Dio vivente, di raccogliere dal vostro labbro la promessa di eterna fedeltà per perpetuarla al suo cospetto, per disporvi a ricevere la pienezza della grazia del sacramento augusto, che siete per ricevere e del quale voi stessi sarete ministri, non trovo parole più acconce, che quelle dell’Apostolo S. Paolo, che la Chiesa nostra madre, mi porrà fra pochi momenti sul labbro, nella celebrazione dei divini misteri, con la sublime e commovente liturgia della messa per gli sposi. Amatevi l’un l’altro, diligite alterutrum. Sembra superflua questa raccomandazione di amore scambievole a due giovani sposi nell’ora stessa in cui i loro voti si compiono e in virtù stessa di quest’amore le loro due esistenze si fondono per la vita in una sola esistenza. Ma la Chiesa per mio mezzo vi ripete: amatevi non d’un amore puramente naturale il che abbiamo comune anche con i bruti; non d’un amore solamente umano il che conobbero anche i pagani, ma amatevi d’un amore così puro e così soprannaturale, che adombri, per quanto è consentito a creature finite, quell’amore infinito onde Gesù Cristo, amò la sua Chiesa. Oh! Come è pura la fragranza di queste mistiche rose! Quest’amore non si fonda sulle umane simpatie tanto volubili e incostanti, né molto meno sull’incerto fluttuare delle passioni del cuore umano, ma si fonda in Dio e come Dio è eterno ed immutabile. Esso ha per fondamento il dovere e la coscienza d’una dedizione completa sino al sacrificio per il bene della famiglia, in virtù d’una promessa e d’un giuramento pronunziati a piè dell’altare, e che per ciò è sacro e irrevocabile, e che Gesù Cristo stesso col suo labbro divino consacrò come tale dicendo ciò che Iddio ha congiunto non è lecito a l’uomo di poter separare.

Omelia per il Matrimonio di Francesco

Omelia per il Matrimonio di Francesco

Predicazione B (pagg. 46 – 48)
Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 3
*Scritto autografo del S. D., su un foglietto piegato in due, scritto su tre facciate.
Omelia per matrimonio di Francesco (Non siamo in grado di dire chi sia Francesco; dal testo si desume di essere una persona che gli è molto cara). Agli sposi il S. D. rivolge l’augurio e il monito di avere sempre Dio con loro, così che la Grazia vivifichi sempre il loro amore). (senza data).

Omelia per il Matrimonio di Francesco

Quest’ora che tante volte vagheggiaste nella vostra fervida fantasia, e che affrettaste coi voti più ardenti del cuore già volge al suo termine. E prima ch’essa si compia e lasciate questo tempio, insieme con la preghiera che implora sul vostro capo le benedizioni dell’Altissimo, voi cercate una parola soavemente ammonitrice e riconfortante, che dal cuore del ministro di Dio giunga al vostro cuore. Ebbene, o miei cari fratelli, questa parola più che udirla ve la ripete la Chiesa con la solennità del suo rito, con gli accenti ispirati coi quali ora benedice la vostra unione. Deus sit vobiscum – Iddio sia con voi – è questa la sua preghiera e sia anche per voi il suo soave monito e con la sua grazia vivifichi le nostre anime, renda santo e perenne il vostro amore. Sia con la nuova famiglia che germoglia da quest’amore. Tutto passa ed avvizzisce qua giù, passerà l’incanto e la poesia di oggi e gli anni anche per voi scorreranno veloci, ma se voi avrete Iddio con voi, se sarete cristiani davvero, anche divenuti vecchi, avrete il vostro amore così fresco e vivace quale l’avete oggi.

Il mondo vagheggia delle forme esterne ma la religione ci insegna ad amare le anime; e le anime sono quelle che solo rimangono intatte in mezzo al lavorio di demolizione a cui il tempo sottopone il nostro povero organismo.

I tempi, lo so, non corrono in tutto alla religione propizi. Voi quindi sappiate studiarla ed intenderla, amarla per le sue intime e sublimi bellezze e coscientemente praticarla.

Molti la negano perché la temono, molti altri la negano perché non la conoscono. Al Manzoni però che giovane studente a Parigi la derideva, bastò che il Vescovo di Ginevra avesse detto: “Voi deridete quel che non conoscete “ perché la studiasse con tutto l’ardore del suo animo giovanile, e l’acume dell’ingegno, e ne divenisse poi fedele seguace ed apostolo. E la sua conversione con quelle recentissime avvenute in Francia ed in Italia, e le altre dei secoli anteriori, che si riannodano a quella a cui oggi la Chiesa consacra gli onori del rito con voce concorde attestano che la nostra religione è vera ed è essa vera e divina.

La religione sentita per voi e per i vostri figli sarà a voi fonte perpetua di gioia. Vi renderà meno grave il peso dei sacrifizii, che certamente non mancheranno nel nuovo stato di vita che oggi, abbracciate. Avrà essa per ogni dolore che vi affligge, un pensiero e un’energia di conforto. Avrà nei momenti di dubbio un raggio di consiglio; avrà per ogni fatica che sosterrete un compenso. Dio adunque sia con Voi… Deus sit vobiscum. E’ questa la preghiera della Chiesa è questo il suo monito amoroso per voi in quest’ora e in tutti gli istanti della vostra vita. Dio sia con voi è questo ancora il voto ardente di me, che a voi legato dai vincoli di sangue pur sento di amarvi e sospiro il vostro bene. Dio sia con voi vi ripetono le lagrime di commozione dei vostri genitori dei vostri cari che vi circondano, e a te sopra tutto lo ripete dall’alto, o Francesco, il tuo amato padre, lo ripetono i tuoi cari zii, che dolorose congiunture tengono da te lontano in quest’ora. Tu e la tua sposa congiunti in un cuor solo in un’anima sola ritemprate nella fede le vostre anime e cercate ogni giorno nella preghiera umile e fidente lume alle vostre menti, conforto ai vostri spiriti: nella preghiera che non avvilisce l’uomo ma lo eleva e lo sublima tanto congiungerlo a Dio da unirlo all’Infinito. Per essa si compia in voi il voto della Chiesa, il voto ardente di quanti vi amano. Deus sit vobiscum.

Prediche di Mons. Farina

Esortazione sull’intenzione del mese di Febbraio 1905, per gli ascritti all’Apostolato della Preghiera

Esortazione per gli ascritti all’Apostolato della Preghiera

Prediche – Quaderno (pagg. 8 – 14) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina – Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero).
* Appunti autografi del S.D., su un quaderno a righi di 36 fogli: pagg. 12-22.
Esortazione, molto bella ed ispirata, sulla catechesi ai fanciulli, che è l’intenzione del mese di Febbraio 1905 per gli ascritti all’Apostolato della Preghiera.

Esortazione sull’intenzione del mese di Febbraio 1905
per gli ascritti all’Apostolato della Preghiera

Un giorno Gesù, nelle vicinanze del mare di Galilea, fu circondato da molte donne, le quali facevano ressa intorno a Lui, presentandogli i loro figliuoli, affinché Egli li toccasse e li benedicesse. E il Divin Redentore fu molto compiaciuto di questa loro premura, e sorridendo di compiacenza, agli Apostoli che volevano allontanarle, temendo che fossero importune, disse: “Lasciate, lasciate che i fanciulli vengano a me. Sinite parvulos venire ad me. Queste stesse parole mi pare che Gesù in questo stesso mese vada ripetendo a tutti gli ascritti dell’Apostolato della Preghiera, e che quest’oggi ripeta a voi per mezzo mio, miei cari fratelli. Voi lo sapete, a tutti gli ascritti all’apostolato della preghiera, ogni mese è proposta dai loro superiori, che sono per essi i rappresentanti di Gesù, un’intenzione particolare, per la quale in quel mese devono spendere tutto loro stessi, pregando ed operando. E l’intenzione proposta per questo mese è: L’insegnamento del Catechismo. In altri termini gli ascritti all’Ap. della P. devono essere un cuor solo ed un’anima sola nell’offrire al Cuore di Gesù le loro preghiere, le loro azioni affinché l’insegnamento del Catechismo si propaghi sempre più. E poiché questo insegnamento consiste nel far conoscere le verità fondamentali della religione che Dio stesso ci ha rivelate, e quindi nel conoscere Dio stesso e poiché esso possa talvolta riguardare anche le persone fatte, le persone già adulte, d’ordinario però quasi sempre riguarda i bambini, riguarda i giovanetti, con tutta ragione possiamo dire che in questo mese dobbiamo essere un cuor solo ed un’anima sola nel far sì che mediante quest’insegnamento i fanciulli ed i giovanetti conoscano ed amino Dio, conoscano ed amino Gesù. Sono poi i nostri superiori che per noi tengono le veci di Gesù, che ci hanno proposto quest’intenzione, quindi possiamo dire senza paura d’esagerare che è proprio Gesù che si rivolge a noi, e che a noi domanda di cooperarci, affinché, mediante l’insegnamento del catechismo Egli possa regnare nel cuore dei giovanetti e dei fanciulli e che a noi ripete come già ai suoi apostoli: “Sinite parvulos venire ad me”. “Lasciate che i fanciulli vengano a me”. L’insegnamento del Catechismo – ecco un’opera della più alta importanza, ma che dai più è trascurata o per lo meno non è apprezzata quanto si conviene. Non furono però di questo parere i santi, e sempre la stimarono, la caldeggiarono, e vi spesero la parte migliore del loro tempo. S. Francesco Saverio, che tra le opere di zelo assegna il primo posto a quelle che riguardano l’educazione e la formazione cristiana dei giovanetti, arrivato a Goa nelle Indie, avendo trovato i Portoghesi depravati dall’ignoranza e dal vizio, i quali erano con la loro vita mal regolata il più serio ostacolo alla conversione dei poveri Indiani, sua prima cura fu d’indirizzarsi ai fanciulli e ai giovanetti, e di formare così una generazione nuova più istruita e più virtuosa. E fu visto con un campanello in mano percorrere le vie della città, e supplicare i padri e le madri a volere mandare i loro figliuoli alle sue lezioni di catechismo. Vi accorrevano questi e istruiti dal santo sulle verità della fede divenivano a loro volta apostoli in seno alle loro famiglie. S. Ignazio in Roma, gravato da mille occupazioni e dalla cura del suo ordine, passava lunghe ore insegnando il catechismo ai fanciulli.

S. Carlo 140 scuole, 40 mila fanciulli – 3 mila catechisti.

S. Francesco di Sales che si faceva coi fanciulli fanciullo per formare in essi l’uomo secondo G.C.

S. Filippo Neri – S. Vincenzo de’ Paola – imparava il dialetto. S. Giuseppe Calasanzio – S. Girolamo Emiliani – S.G.B. De la Salle. Il giovanetto è suscettibile d’educazione. L’uomo delle Caroline del Nord.

Che i fanciulli vengano catechizzati è uno dei sospiri più ardenti del Cuore Adorabile di Gesù. Nostro Signore ha sempre avuto pei fanciulli una particolare predilezione.

Noi troviamo in S. Matteo una prima preghiera di Gesù: “Io vi rendo gloria. O Padre mio, Signore del cielo e della terra, poiché avete nascoste queste cose ai sapienti e ai prudenti, e le avete rivelate ai semplici ed ai piccoli”. E poco più lontano noi leggiamo, che: “In quel tempo, i discepoli s’avvicinarono a Gesù, per domandargli chi sarebbe stato il più grande nel regno dei Cieli, e Gesù avendo chiamato un fanciullo, lo pose in mezzo ad essi e disse: In verità vi dico, se non vi convertirete e non diverrete piccoli come questi fanciulli non entrerete nel regno dei cieli. Chiunque s’umilierà come questo fanciullo sarà il più grande nel regno dei Cieli, e Colui che riceverà uno di questi fanciulli in mio nome, riceverà me stesso. Ma chiunque scandalizzerà uno di questi fanciulli, meglio sarebbe stato per lui se si fosse sospeso una macina al collo e si fosse gettato nel profondo del mare.

Finalmente, era il giorno delle Palme, e Gesù trionfante era entrato in Gerusalemme…E i principi dei sacerdoti e gli Scribi, vedendo le maraviglie che Egli operava, udendo i fanciulli che gridavano nel tempio Osanna al Figliuolo di David – pieni di sdegno Gli dissero: non odi tu quel che essi ripetono? Sì, rispose Gesù, e non avete voi letto che sta scritto: “Dalla bocca dei fanciulli e di coloro che ancora allattano voi avete fatto una lode perfetta” (S. Matteo XIX, 13-15. XVIII, 1-6. XXI, 15-16).

Da queste parole di Gesù risulta che l’innocenza, la semplicità, l’umiltà, rendono i fanciulli degni depositarii della rivoluzione divina e eredi del regno dei Cieli. N.S. li abbraccia teneramente e li benedice; minaccia i più terribili castighi, a chi oserà scandalizzarli; riprende i suoi discepoli che hanno tentato d’allontanarli; dice di ritenere fatto a se stesso, quel che si farà all’ultimo di essi. Ecco quanto ama Gesù i fanciulli.

Voi, però, mi direte in che modo possiamo noi cooperarci per l’opera del catechismo e l’istruzione cristiana dei fanciulli e delle fanciulle? È questa un’opera che possono far solo i sacerdoti e gli ecclesiastici; noi non potremo certo andare in chiesa, Né molto meno aprire una scuola di catechismo. È vero, miei cari fratelli, voi non potete, né stareste al caso d’andare in chiesa per insegnare il catechismo, ma non è questo il solo modo per favorire una sol opera, per divenire gli apostoli dei piccoli, e per appagare le brame del Cuore di Gesù che a voi domanda le anime dei fanciulli, e vi ripete: Sinite. Lasciate.

In molti modi potete zelare l’opera del catechismo, l’apostolato dei giovinetti.

Ecco, voi sapete che in questa chiesa è istituita una tale opera, e parecchi padri tutti i giorni festivi consacrano il loro tempo a insegnare il catechismo; ma l’opera sarà tanto più fiorente quanto più numerosi saranno i fanciulli che interverranno. Voi quindi potete favorirla zelando che i giovanetti delle vostre famiglie, dei vostri conoscenti vengano qui ogni domenica ad apprendere il catechismo. Una parola d’incoraggiamento a quel ragazzo un poco restio, un piccolo premio, sia pure una semplice lode a quel altro che è più assiduo. Son tutti piccoli mezzi per favorire l’opera del Catechismo. Voi dovete anche venire in aiuto dei padri, e quando essi vi dicono che qualcuno dei fanciulli, che vi appartengono, non si sono condotti bene, non dovete a casa vostra mostrarvi con essi indifferenti, ma amorevolmente, riprenderli, mostrarvi dispiaciuti, e se occorre anche far uso di qualche punizione. Così si favorisce l’opera del Catechismo. Così si rendono paghe le brame del Cuore di Gesù che vuole essere amato e conosciuto dai fanciulli. Lasciate.

Inoltre voi potete anche istruire direttamente i fanciulli, le fanciulle. Ognuno di voi potrà avere a casa sua un piccolo fratello, una piccola sorella, ebbene mattina e sera fate loro ripetere le preghiere che ogni cristiano è tenuto a sapere, istruiteli intorno alle verità della Fede, che sono di assoluta necessità: “Esiste un Dio che premia i buoni e punisce i cattivi”. Il Figliuolo di Dio è sceso dal Cielo in Terra, si è fatto uomo ed è morto in Croce per salvarci. E questo che dico in generale per tutti in modo specialissimo intendo dirlo a voi padri e madri di famiglia; istruire i vostri figliuoli nelle verità principali della N.S. Religione, è per voi uno stretto dovere. Mattina e sera voi dovete far sì che i vostri figliuoli innalzino la loro mente a Dio, voi dovete formare di essi dei buoni cristiani. Dio per ciò vi ha mandato i figli per formarne veri cristiani , per formarne santi pel Cielo. Voi vi date pensiero della loro salute materiale, li vestite, li nutrite, pensate anche a collocarli agiatamente e intanto non pensate alla cosa più importante, a istruirli nelle cose della religione: badate che Iddio vi domanderà strettissimo conto di questo nell’altra vita, ed anche in questa vita presente può punirvi, permettendo che questi figliuoli che voi ora carezzate e intanto non curate di educare cristianamente facciano una cattiva riuscita e divengano pel vostro cuore la spina più pungente, fonte di amarezza per la vostra vecchiezza.

Quanto bello è lo spettacolo d’una famiglia ove i genitori hanno cura d’educare cristianamente i loro figliuoli ecc. ecc.

In somma procuriamo anche noi d’istruire nelle verità della religione quei fanciulli che conosciamo, che ci appartengono. Ecco un altro mezzo per favorire l’opera ecc. per rendere paghe le brame del Cuore di Gesù ecc.

V’è poi un altro mezzo per favorire quest’opera, mezzo che è di assoluta necessità per tutte le opere di apostolato: la preghiera cioè ed il sacrifizio. Le anime non vanno a Gesù se non in virtù della sua grazia, e questa grazia solo con la preghiera e col sacrificio si ottiene dal Dio. E gli ascritti dell’Apostolato per la natura stessa del sodalizio a cui appartengono, devono fare molto uso di questo mezzo potentissimo, la preghiera; essi, come il nome stesso dell’opera ce l’indica devono essere apostoli mediante la preghiera.

Pregando – 1 Offerta del giorno – 2 Preghiere speciali – Giaculatorie.

Chi può dirvi miei cari l’efficacia della preghiera. Esempio. Pregate e avvalorate la vostra preghiera col patrocinio della Madonna. La Madonna è la prima che abbia iniziato qua giù l’apostolato della preghiera. Sotto gli auspicii di tanta madre le nostre preghiere diverranno onnipossenti innanzi al trono dell’Altissimo. Insieme a Gesù offriamo a Gesù anche dei piccoli sacrifzii. Lasciate ecc. Sinite parvulos etc. Gesù oggi ci ripete e noi dobbiamo partire da questa chiesa fermamente risoluti di adoperarci con tutte le nostre forze per condurre a Gesù le anime dei giovanetti e dei fanciulli. Quanti di questi corrono lontano da Gesù per una via, non buona! Per le strade secondarie e pei quartieri popolari di Napoli quanti ragazzi si veggono abbandonati a loro stessi crescere nell’ignoranza e venire su per la depravazione e pel vizio. Oh preghiamo! Supplichiamo il Signore affinché accenda nel cuore dei sacerdoti fiamme di vero zelo a pro’ di quest’infanzia, di questa gioventù derelitta e abbandonata. I nemici della religione non se ne stanno (fermi), ed essi raccolgono i fanciulli, e li educano lontani da Dio, ed io stesso con senso di profondo dispiacere ho visto più di 200 giovanetti raccolti in un ricreatorio popolare massonico passeggiare per le vie di Napoli. Poveri fanciulli! So di uno di essi che fu aspramente malmenato, e fatto oggetto agli scherni e alla derisione degli altri, solo perché si era segnato col segno della croce, prima di vestirsi con gli abiti del ricreatorio.

Oh! miei cari fratelli, Gesù reclama le anime dei fanciulli ed i suoi nemici invece a viva forza gliele strappano; uniamoci, uniamoci adunque in santa lega e mediante il sacrifizio, mediante la preghiera, mediante un’indefessa operosità involiamo dalle fauci di questi immondi e voraci animali queste preziose margarite, questi teneri bocciuoli di rose, questi germogli olezzanti di gigli, e formiamone vaghe corone e coroniamone il Cuore Adorabile del N. Gesù, che oggi a noi con carità infinita, come già ai suoi apostoli sul lago di Tiberiade va ripetendo: Sinite.

Sì, o Gesù, poiché Tu lo vuoi, noi condurremo a Te le anime dei fanciulli. Sì, noi lo proponiamo, sotto gli auspicii della tua santa Madre, noi in questo mese mediante il sacrificio, mediante la preghiera, mediante l’azione saremo gli apostoli dei piccoli fanciulli. Tu avvalora il nostro proposito. E poi degnati, O Gesù, te ne preghiamo pel Tuo Cuore Adorabile, degnati di accendere fiamme di accesissimo zelo nel Cuore dei tuoi sacerdoti, a pro’ di queste piccole anime che tu tanto teneramente ami. Per essi dal cuore dei fanciulli salga ancora una volta a Te il grido dell’Osanna – sicché ancora una volta abbia ad avverarsi il detto del Salmista: “Dalla bocca dei fanciulli e di coloro che ancora allattavano tu hai tratto una lode perfetta.

Predica ai giovani della Congregazione dell’Avvocata nella chiusura degli Esercizi Spirituali (Domenica delle Palme del 1905)

Predica ai giovani della Congregazione dell’Avvocata

Quaderno (pagg. 15 – 18) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Appunti autografi del S.D., su un quaderno a righi di 36 fogli: pagg. 23 – 27.
Predica ai giovani della Congregazione dell’Avvocata nella chiusura degli Esercizi Spirituali. E’ una predica appassionata ed ardente, che invita i giovani ad essere pienamene di Gesù, mettendo dinanzi a Lui tutte le proprie debolezze e fragilità. (Domenica delle Palme del 1905)

Predica ai giovani della Congregazione dell’Avvocata
nella chiusura degli Esercizi Spirituali.
Domenica delle Palme del 1905.

…E Gesù, dolce ed amabile nel sembiante, seduto su di un’umile asinella, per la via di Betfage entrò trionfante in Gerusalemme. Ed i figliuoli del popolo spogliandosi delle loro vesti le stendevano sul suo passaggio, mentre i fanciulli e le turbe festanti cogliendo rami dagli alberi gli muovevano incontro gridando: « osanna al figliuolo di David». È questo in breve il contenuto dell’Evangelo, che nella funzione di oggi, fu letto a voi, miei cari fratelli; e mi è caro il ricordarvelo ora che Gesù, mediante la santa Eucarestia, un altro ingresso trionfale, misticamente, sta per compiere nelle anime vostre. Lungamente Egli lo attese, lungamente lo sospirò nelle ansie ardenti del suo amore infinito; e in questi giorni, che voi qui vi raccoglieste, per udire e meditare la sua parola, vi pervenne con la sua grazia, vi sorresse con la sua virtù, sicché poteste spogliarvi dei vostri abiti cattivi, detestare sinceramente nella confessione le vostre colpe, e rendere possibile l’ingresso trionfale di Lui nelle anime vostre.

Però a Gesù, che entrava trionfando in Gerusalemme, mentre intorno a Lui erano soltanto grida di gioia, e di esultanza, gli occhi mestamente si velarono di pianto. Egli pianse sulla instabilità di quel popolo che fra pochi giorni sarebbe passato dall’Osanna al Crucifige; pianse sulle rovine riserbate a quella città, che l’accoglieva con sì splendido trionfo.

E stamane, che Gesù, con altro mistico trionfo incederà in voi, sarà Egli forse costretto a piangere sull’instabilità dei vostri cuori, sulla fralezza dei vostri propositi, sulle rovine e sullo scempio, che fra pochi giorni forse meneranno nelle anime vostre le vostre passioni? Ah! no, che Egli invece questa mattina venendo in voi, esulti e gioisca con vera e piena esultanza: scorgendo in voi anime che saranno perseveranti nel bene, fedeli a Lui sino alla morte.

Siete deboli è vero, per la miseria dell’umana natura, ma ricordatevi che Egli è la fortezza per essenza, Egli può rendervi formidabili a tutti i vostri nemici. Basta che andiate a Lui con cuore umile, profondamente conscio della vostra miseria, e allo stesso tempo illimitatamente e arditamente fiduciosi nella sua Onnipotenza Divina.

(In nota alla pag. 25:) Siete deboli ma nell’amore verso la sua Madre Immacolata, nella divozione verso di Lei Egli vi appresta il mezzo più sicuro per essergli sempre fedeli. I propositi buoni quando sono affidati a Maria, no non possono isterilire. Davvero beate quelle anime che affidano la loro conversione, la loro perseveranza nel bene al suo Cuore Materno, e che nell’ora della lotta e del cimento, hanno il suo nome, arra sicura di vittoria, sulle labbra e nel cuore.

Conservate sempre umili e fiduciosi i vostri cuori; serbate sempre, sia sempre viva in essi, la divozione a Maria; e poi non temete ora accostandovi all’altare di formulare con recisa fermezza il proposito d’appartenere per sempre a Gesù, perché Esso no, non potrà essere vano.

Fremano pure la natura ed i sensi, infurino pure le passioni, sia pure continua e cruenta la lotta, voi con tutto lo slancio del vostro ardore giovanile sarete suoi, irrevocabilmente suoi…E Gesù…Gesù sarà il vostro re, tenero e mansueto, così come è scritto di Lui. Ecce rex tuus venit tibi mansuetus. Ove regna Gesù, ivi spira un’aura soave di pace, ivi è un puro germinar di gigli, un dolce e perenne fruir di primavera. Chi? Chi potrà ridire le gioie che Egli serba a coloro che veramente e costantemente lo amano?!! Vieni, vieni adunque, o Signor Gesù, vieni e regna nelle anime nostre, sia pieno e perfetto stamane, il tuo trionfo in esse. Ecco noi veniamo a te, come infermi al medico della vita, come immondi e deformi al fonte di ogni misericordia, come ciechi al lume dell’eterna chiarezza, come poveri e bisognosi al Signore del Cielo e della terra. Degnati tu, per la tua Madre Immacolata, di curare la nostra infermità, di sanare le nostre miserie, d’illuminare la nostra cecità, di sovvenire alla nostra indigenza. Fa che i nostri cuori sieno sempre umili e fiduciosi, sempre teneramente divoti della Madre tua, sicché sempre il tuo trono s’aderga in essi e tu sii sempre il nostro re.

O Santa Madre nostra Maria, guidaci tu all’altare; tu ci ottieni, che il regno che ora inizia il tuo Figliuolo nelle anime nostre, sia per noi arra sicura, che un giorno saremo tutti ammessi a far parte del regno eterno che Egli ha preparato ai suoi eletti: et regni eius non erit finis.

In questo giorno in cui la Chiesa con tutta la pompa del rito celebra la festa della S. Eucarestia e in cui voi fate coincidere ancora la vostra festa in onore del Sacro Cuore, con particolare fervore vi disponete ad accostarvi all’altare per cibarvi delle carni immacolate di Gesù. Ed è giusto! In qual altro modo si potrebbe più degnamente onorare l’istituzione della S. Eucarestia e il Cuore Adorabile di Gesù che con l’assedersi a questo banchetto. Qual è il sospiro più ardente del Cuore di Gesù, e qual è stato il fine a cui mirava nell’istituzione del Sacramento dell’Eucarestia, se non quello di potersi unire intimamente a noi e comunicarci i suoi doni divini. Però Egli ardentemente bramava quest’unione per poter regnare padrone assoluto nei nostri cuori, nelle anime nostre. Per ciò voi che questa mattina vi accostate a Gesù, per unirvi intimamente a Lui, per formare per così dire una sola cosa con Lui, per godere dei suoi mistici e teneri amplessi, a questo in particolare dovete mirare che Gesù regni in modo assoluto nei vostri cuori, rinunziando recisamente, pienamente, alle vostre passioni, a quanto possa anche menomamente dispiacergli. Perché il più delle volte si trae così poco frutto dalla S. Comunione. Perché si viene ad essa non fermamente e pienamente risoluti d’incominciare da quel momento una vita veramente nuova, una vita che sia tutta di Gesù.

Voi per ciò stamane accostatevi a Gesù fermamente risoluti di farlo regnare nelle anime vostre in maniera piena ed assoluta. Se Gesù regnerà in voi, regnerà ancora nelle vostre famiglie per mezzo vostro, per mezzo della vostra pazienza che sarà instancabile, della vostra operosità che non cercherà mai riposo, della pace inalterabile che aleggerà sui vostri volti, dell’amabilità del vostro tratto, della purezza e della piacevolezza ad un tempo del vostro conversare.

Panegirico di San Francesco de Geronimo (Maggio 1905 – Grottaglie)

Panegirico di San Francesco de Geronimo

Predicazione A (pagg. 1-15) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 1. Grottaglie
* Quadernetto, composto di 21 pagine autografe senza firma del S. D.
Panegirico di San Francesco de Geronimo
(Il Ven.le in modo a ppassioanto e coinvolgente racconta la vita del Santo, mettendo in risalto le sue virtù e i suoi prodigi).
(Maggio 1905 – Grottaglie).

(Scritto sul frontespizio, da altra mano): Maggio 1905 – Grottaglie
I. M. I.
A.M.D.G.

Panegirico di San Francesco de Geronimo

Magnificus in sanctitate, terribilis atque laudabilis, faciens mirabilia.

Sorride ai dolci effluvii del Maggio, sorridono le vostre campagne verdeggianti sotto il nitido azzurro del vostro cielo, e sorridono i fiori, che sotto i tiepidi raggi del grato sole primaverile schiudono le loro corolle. E in questo sorriso della natura, in questo nuovo rifiorir di vita nel creato, io scorgo un languido riflesso della gioia che inonda le vostre anime e che io leggo nei vostri volti; scorgo un languido riflesso dell’esultanza della nostra Madre comune la Chiesa, che si allieta pel trionfo d’uno dei suoi figli, che ha segnato nella storia di Lei pagine gloriose, e che con le sue eroiche virtù forma una delle gemme più belle onde essa adorna il suo mistico reale diadema. Parlo del vostro San Francesco, che per tanti titoli vi appartiene, e del quale giustamente andate fieri ed orgogliosi. Egli è vostro perché, qui in questo vostro paese, per disposizione di Dio Egli nacque, e le mura fortunate che udirono i suoi primi vagiti e che l’accolsero bambinetto, formano ora l’oggetto della vostra venerazione; egli è vostro perché qui giovanetto dette i primi passi nel cammino della virtù e della perfezione, qui ricevette la prima comunione e per la prima volta la sua anima benedetta provò le dolcezze ineffabili della S. Eucarestia, e teneri ed amorosi amplessi, del suo Signore. E’ vostro per la protezione specialissima con la quale egli vi difende dai pericoli, e dalle avversità temporali; è finalmente vostro per la sollecitudine amorosa che egli, dal cielo, ha del bene spirituale delle vostre anime, dandovi nella persona dei suoi santi confratelli guide sicure, lavoratori indefessi per la vostra eterna salvezza.

E’ quindi giusta la vostra gioia, perché l’aureola di gloria che circonda la fronte di S. Francesco de Girolamo in qualche modo vi appartiene. Esultate quindi come figli che si allietano del trionfo e della gloria del padre, e la natura con l’azzurro del cielo, con gli effluvii del Maggio, col verde dei vostri campi, con l’olezzo dei fiori risponda festante al grido della vostra esultanza. Io intanto nella mia pochezza tenterò dirvi brevemente delle glorie di lui, delle quali voi tante e tante volte avete udito parlare con più competenza e certo con maggior profitto ancora delle anime vostre, di quel che non sarà ora; ma è questo un debito della mia riconoscenza verso il vostro santo, nel primo anno del mio sacerdozio. Supplisca egli alla mia insufficienza, mentre io insieme con voi lo contemplerò grande nella sua santità, terribile all’inferno nella lotta da lui indefessamente combattuta contro il male, lodevole pel bene alle genti immenso da lui compiuto, e finalmente operatore di prodigi. Magnificus in sanctitate, terribilis atque laudabilis, faciens mirabilia.

E tu, o invitto apostolo del Signore, degnati di accogliere l’umile attestato della mia riconoscenza; e dal tuo trono di gloria sorridi con amorosa compiacenza a questo tuo popolo che tanto ti ama, e che con tanta divozione venne qui ad udire dalle mie labbra le lodi di te, e poi ottieni al mio povero cuore una scintilla sola delle fiamme di zelo onde tutto arse e si consumò il tuo, sicchè per tua intercessione la mia esistenza sia tutta spesa per la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime.

Era il 17 Dicembre del 1642, e qui, in questa vostra Grottaglie, primo fra undici figli, venne alla luce Francesco. E fin dai suoi più teneri anni apparvero singolari i doni di grazia dei quali Iddio aveva arricchita l’anima di lui, e apparve anche pronta e perfetta la sua corrispondenza a tali doni, tutto così facendo presagire che egli un giorno sarebbe stato grande per la sua santità = magnificus in sanctitate. Ed eccolo in tutto docile ed ubbidiente verso i genitori, pieno d’umiltà e di modestia verginale nel suo tratto, amante del raccoglimento, e della preghiera. Ma sopra tutto egli attira su di sé l’attenzione degli altri per la sua compassione verso i poverelli, potendo dir anch’egli col Santo Giobbe: Ab Infantia mea crevit miseratio. Tutto, quanto gli capita per le mani egli vorrebbe dare a sollievo dei poveri infelici, e Iddio dal cielo conferma ed approva con miracoli tanta tenera sollecitudine; e la madre, che si farà a rimproverare il piccolo Francesco per aver distribuito gran parte del pane della sua casa ai poverelli, miracolosamente troverà rifornite le casse domestiche, ove esso suole conservarsi, come se mai non ne fosse stato sottratto. Giovanetto appena già vagheggia di spendere la sua vita nel servizio di Dio, e drizza alla volta del Santuario i suoi passi; e prima qui la vostra Grottaglie, poi Taranto e finalmente Napoli lo videro giovane studioso ed esemplare, modello dei chierici, angelo di intemerata purezza. E’ giunto intanto il giorno da lui tanto ardentemente sospirato, tanto lungamente vagheggiato nel suo cuore fervido d’amore celeste, il giorno della sua prima messa.

E il 18 Marzo 1666, trepido e commosso col pensiero e col cuore unicamente fissi in Dio, sacerdote novello, egli ascende per la prima volta l’altare. Ascende l’altare, immola l’ostia santa, e dalla celebrazione della sua prima messa, egli riporta nuova abbondanza di grazia, nuove fiamme di amore, che dovranno poi divampare in un incendio d’ardentissima carità, che dovrà renderlo in mezzo ai popoli faro luminoso di santità, magnificus in sanctitate.

Sono già trascorsi cinque anni da che è sacerdote, e attendendo agli studi e occupando la carica di prefetto del Convitto dei Nobili in Napoli, con la sua vita di raccoglimento e di preghiera e allo stesso tempo esattissima nel disimpegno dei doveri del suo ufficio, nello zelare la buona educazione dei giovani a lui affidati, già ha mostrato che la virtù che alberga nel suo animo non è una virtù ordinaria, sicchè da tutti vien chiamato sacerdote santo. E veramente Egli è santo, veramente egli cammina a passi da gigante nel cammino della virtù e della perfezione.

Ma il suo cuore intanto non è pago, ecco che già vagheggia nuovi sacrifizii da compiere per la gloria del suo Dio. Egli ha 28 anni, appartiene a cospicua famiglia, l’ingegno svegliato, sacerdote amato e stimato dal suo vescovo, libero di sé, poteva dirsi che umanamente sorridevagli l’avvenire, ma egli tutto, tutto immola e sacrifica all’amore del suo Dio; egli vuole essere suo tutto suo, unicamente ed esclusivamente suo, ed ecco che la vigilia della Visitazione del 1670, egli dà per sempre un addio all’avvenire cosparso di fiori che gli si preparava nel mondo, dice per sempre addio ai suoi cari, al paese nativo, ed entra nel noviziato della Compagnia di Gesù. Oh, è veramente, veramente grande e generosa l’anima di lui che corrisponde così alla voce del Signore e non indietreggia dinanzi ai sacrifizii.

Consenti, per ciò, o Francesco, che nel vederti così generosamente dare un addio a quanto hai di più caro qua giù, per rivestirti delle povere lane di S. Ignazio, consenti che io, quasi facendo eco alla voce del maestro dei novizi, il quale dopo di averti ricevuto ebbe a dire che in te la Compagnia di Gesù aveva acquistato un santo, consenti che io concorde a lui ripeta al mondo che tu sei grande per la tua santità magnificus in sanctitate.

Ed ora chi potrà dirvi le virtù di Francesco, religioso? Se egli ancora nel mondo, giovane di età era giunto alla pratica di si alta e soda virtù da essere, da quanti lo conoscevano stimato e venerato come santo, che sarà ora di lui divenuto figliuolo di S. Ignazio, ascritto al suo ordine, alla sua milizia, la quale, checchè ne pensi il mondo e chi partecipa ai sentimenti di essi, è ordine e milizia di santi? La verità dello spazio non mi consente di darvi neppure una languida e lontana idea delle virtù insigni del vostro santo, per potervi così provare come avvero egli sia grande per la sua santità. In 46 sei anni di religione, con tanti aiuti, con tanti mezzi di santificazione, chi può dirvi quale sublime grado di perfezione egli abbia raggiunto, egli, che abbiamo visto sin dai più teneri anni essere così pronto nel corrispondere agli impulsi della grazia, nel corrispondere con la più esatta fedeltà a tutti gli aiuti, e a tutti i doni di Dio.

Non vi è virtù, che quasi astro fulgente di luce, non abbia risplenduto nella anima sua, in tutta la magnificenza del suo splendore, in grado sublime ed eroico. Vivissima fu in lui la fede; sospirò sempre di spargere il suo sangue, di dar la sua vita per essa: Domanda le missioni delle Indie per propagarla in mezzo ai popoli infedeli; costretto all’ubbidienza a far di Napoli le sue Indie, con quante industrie non s’adopera a conservarla specialmente nel cuore dei giovani studenti, più facili a poter essere sedotti dai bagliori di una falsa scienza; con quale zelo indefesso non ne predica le bellezze sulle galere delle squadre che approdano nel golfo di Napoli. Miratelo convertire i Turchi che in esse si trovano, e col volto raggiante di gioia, piangendo di consolazione battezzarli con le sue proprie mani.

Con la fede è incrollabile in lui la speranza; in mezzo alle più pressanti contraddizioni, afflitto nel suo apostolato da angustie d’ogni maniera, è inalterabile la sua pace, non perde la sua serenità, perché in mezzo all’imperversare delle umane contraddizioni lo sguardo dell’anima sua è sempre rivolto al Cielo, il suo cuore è sempre fisso in Dio nel quale amorosamente s’abbandona. Frema pure l’inferno egli muova la lotta più aspra, aguzzi contro di lui la calunnia, il livore, la malignazione degli uomini, nulla giammai potrà minimamente turbare Francesco, che nella sua umile confidenza va ripetendo a se stesso :”Il Signore è il mio aiuto e la mia fortezza di che temerò io?”.

Ma la virtù che in modo tutto particolare risplendette nell’anima sua, fu la virtù della carità, quella alla quale da S. Paolo è assegnato il primo posto, e che delle virtù è la Regina.

Miei fratelli, chi, chi potrà dirvi della carità di Francesco? In lui essa è tutto, la carità è la ragione d’ogni sua azione, di tutte le sue virtù. Il suo cuore sempre, in ogni istante, riboccante d’amore di Dio, lo rende eminente nella pratica di tutte le virtù, infaticabile nel suo apostolato, ed è la sua immensa carità che lo rende grande nella sua santità: magnificus in sanctitate.

Egli ama Dio, e per amore di Lui si rende modello di religiosa perfezione; eroicamente ubbidiente, povero in tutto e sempre; giglio intemerato di verginale purezza.

La carità ardente che lo consuma e che lo divora lo rende infaticabile nel suo apostolato. Che non farebbe per vedere il suo Dio amato e venerato da tutti. E per ciò per ben 40 anni non vi furono fatiche, alle quali egli benchè gracile e macilento di corpo non si sia sobbarcato con tutto l’ardore dell’animo. Ed eccolo predicatore indefesso per le piazze e per le vie; né solo Napoli l’ha suo apostolo ma anche le altre contrade e province del mezzogiorno d’Italia. Tutto fuoco per la maggior gloria di Dio giunge a predicare sino a quattro e cinque volte nello stesso giorno; va nelle piazze, negli ospedali, nelle galere, nei pubblici ritrovi e ovunque strappa vittime all’inferno e fa mirabili conquiste pel cielo. Oh! Si voi lo sapete tanto vale dire Francesco De Geronimo è quanto vale dire apostolo insigne. Ed egli fu apostolo insigne, perché insigne fu la sua carità. Ma la carità vera è umile, è benigna, è paziente, e per ciò egli fu anche tale in mezzo ai popoli.

Ed egli termina sempre le sue missioni piangendo sui suoi peccati ed accusandosi come gran peccatore, si reputa sempre l’ultimo di tutti; calunniato, punito, non profferisce neppure una parola in sua discolpa; ricolma di benefici, chi gli è continua cagione di angustie; più volte schiaffeggiato, s’inginocchia dinanzi ai suoi percussori e in atteggiamento umile e mansueto presenta l’altra guancia. Insomma per la carità egli diviene mirabile nella pratica di tutte le virtù, e per ciò la Chiesa l’ha annoverato nel numero dei suoi santi, ed oggi a Lui consacra gli onori del rito e le cerimonie del culto, per ciò oggi l’immagine di Lui circondata di fiori e di lumini sorride da quest’altare. Consentitemi, consentitemi quindi che io lo predichi grande per la sua santità magnificus in sanctitate.

E per questa sua grande virtù egli divenne terribile all’inferno e ai suoi satelliti; e allo stesso tempo fu l’oggetto dell’amore e della venerazione dei popoli. Terribilis atque laudabilis.

Innumerevoli anime sono dallo zelo di Francesco strappate alla via della perdizione e rimise sul sentiero della salute. La storia della sua vita è piena di mirabili conversioni. Centinaia e centinaia di giovani esistenze immerse nel brago d’ogni sozzura, prostituite dal vizio, schiave delle più vili passioni, vengono dal suo zelo reintegrate nell’onore e fatte rivivere ad una vita nuova di virtù anime pie, preti secolari e religiosi, sono da lui guidati per le vie più ardue della perfezione; non deve far quindi maraviglia che l’inferno s’armi contro di lui con tutta la rabbia, col più acre livore. E dapprima aguzza contro di lui le lingue di uomini ipocriti e malevoli che calunniandolo presso l’Arcivescovo di Napoli, fa che da questi gli venga proibito di predicare. Francesco umile e mansueto sopporta in pace sì cruda umiliazione senza muoverne lamenti, ed ecco che nella sua umiltà e nella sua mansuetudine egli diviene terribile all’inferno. Per esse il superiore ecclesiastico conosce l’errore in cui è incorso verso un uomo sì eroicamente santo, si ritratta pienamente, e Francesco ad immagine del suo Divin Maestro umile e mansueto di cuore ripiglia il suo apostolato. Ma non si arresta, no l’infernale nemico e durante tutta la vita di lui non desiste dal frapporgli ostacoli, dal muovergli in mille maniere aspra guerra.

Ora indurisce il cuore di peccatori ostinati, di anime perdute che in modi svariatissimi tentano di rendere vana la sua predicazione, di far disertare da lui i suoi uditori; ma ecco che Iddio geloso dell’onore del suo servo e del suo fedele ministro, punisce più volte nell’atto stesso con tremendi castighi, e talvolta financo con morte improvvisa quei miseri spudorati, e tali castighi sono possenti motivi di conversione per gli altri.

Ora quando giunge nei villaggi per predicare le sacre missioni, con pregiudizi, con preconcetti, con voci strane, fatte correre sul conto di lui, fa che sia da tutti abbandonato e talvolta resti financo privo d’alloggio, ma tutto è indarno, Francesco lo vince e lo debella sempre con la possanza delle sue virtù, sicchè esso è costretto a riconoscere in lui il più terribile e formidabile nemico.

Ma quella virtù stessa che rende Francesco terribile all’inferno, lo rende ancora oggetto d’amore e di venerazione in mezzo ai popoli: terribilis atque laudabilis. Ecco che quegli stessi che al principio delle sacre missioni fuggivano da lui, al termine di esse non sanno rassegnarsi a doversi staccare da quegli che ora essi chiamano il loro amato padre, e quasi sempre lo accompagnano in trionfo al luogo della partenza in mezzo a inni di lodi e di ringraziamento, in mezzo alle lagrime della più viva commozione. In Napoli, specialmente negli ultimi anni della sua vita, egli è l’oggetto della venerazione universale, sia ecclesiastici come secolari, persone delle più alte e cospicue famiglie come i poveri figliuoli del popolo accorrono a lui per consiglio nei loro dubbi, per conforto nei loro dolori, per avere l’aiuto efficacissimo delle sue preghiere nelle loro necessità: per essi il P. De Geronimo è tutto. Corse una volta voce in Napoli che in un viaggio per le sacre missioni egli fosse stato ucciso dai sicari, a tale notizia la città tutta fu immersa nel più profondo dolore e parve inconsolabile, tanto che fu stabilito dai Superiori di farlo tornare al più presto e così rassicurare e consolare la città tutta. Torna Francesco vero figliuolo d’ubbidienza, e non sì tosto compare in pubblico che d’ogni parte s’alzano grida frenetiche d’acclamazioni, evviva strepitosi, e malgrado la sua umiltà egli è accolto in trionfo. Le sue vesti, gli oggetti che egli ha usato vanno a ruba tra i fedeli perché tutti lo ritengono santo. Salutiamolo, salutiamolo, invitto del Cristo, terribile, formidabilmente terribile all’inferno, oggetto di lodi e di benedizione in mezzo ai popoli. Terribilis atque laudabilis.

Né qui hanno termine le glorie di lui: Iddio che esalta gli umili e che confonde i superbi lo volle fregiato ancora di doni e di grazie affatto straordinarii e lo rese ancora insigne operator di prodigi. Faciens mirabilia. Egli predice gli eventi lontani, scruta l’intimo delle coscienze, ridona la sanità agli infermi con un semplice segno di croce, con la benedizione delle reliquie di S. Ciro, sotto il nome del quale egli tenta nascondere la sua possanza, e fino a 10 mila grazie egli è costretto a confessare che sono state concesse da Dio per intercessione del S. Martire nel giro di pochi anni. Ridona in vita ad una madre l’unico figlioletto, che questa si portava morto fra le braccia venendo a lui, alla chiesa di Gesù, per avere un po’ di danaro per farlo seppellire. Moriva in Napoli il suo santo fratello Cataldo, anch’esso religioso della Compagnia di Gesù, ed era inconsolabile di non poter essere assistito dal suo Francesco che per tanti anni era stato il confidente e la guida dell’anima sua, ma Iddio lo consola ed ecco che il nostro con stupendo miracolo di bilocazione si trova incontanente al suo fianco, angelo di vero conforto. Vengano a lui i poveri pescatori di Napoli ammiseriti e piangenti perchè da più mesi infruttuosamente hanno sempre gettato le loro reti in mare, egli prima li confessa, li riconcilia con Dio, poi portando in processione il S. S.mo benedice con un segno di croce il mare, e la pesca più abbondante viene ad allietare quei poveri marinari.

Né meno stupendi sono i prodigi che egli opera nell’ordine della grazia, con un cenno, con una parola, talvolta col solo suo aspetto commuove i cuori più induriti, i peccatori più ostinati. Esseri rotti ad ogni vizio, resi insensibili, macchiati finanche dell’orrendo delitto del parricidio, sono mutati in uomini di vita penitente e santa.

E poi la vita sua stessa è un continuo miracolo, gracile e macilento, di salute cagionevolissima, passa le notti in orazioni, veste di cilicio, diviene emulo degli anacoreti per le sue penitenze, e allo stesso tempo non vi è fatica alla quale egli non si sobbarchi, le carceri, gli ospedali, le galere, le pubbliche vie, i monasteri delle sacre vergini, le campagne dei dintorni di Napoli, sono continuo campo del suo zelo, e noi vediamo nella terza domenica d’ogni mese un popolo intero sin dalle prime ore del mattino accorrere alla chiesa del Gesù per prender parte alla comunione generale, che spesso giunge a contare 15 e 20 mila persone. Attestano i suoi superiori che dopo la morte di lui ben 5 Padri non arrivavano a poter sostenere le opere alle quali lo zelo indefesso di Francesco per ben 40 anni aveva dato vita e vigore. Per ciò con tutta ragione, dopo d’averlo salutato grande per la sua santità, magnificus in sanctitate, terribile all’inferno e oggetto della venerazione dei popoli, terribilis atque laudabilis, acclamiamolo ancora insigne operator di miracoli = faciens mirabilia.

Era intanto giunta l’ora in cui Dio aveva stabilito di chiamarlo dalla fatica al riposo, dall’esilio alla patria, da questa misera terra alla gloria eterna dei Santi.

E’ l’undici Maggio 1715: Francesco giace disteso nel letto dei suoi dolori, lì nella sua umile celletta della casa professa del Gesù Nuovo in Napoli. Già egli da tempo ha predetto la sua morte, nei giorni innanzi è stato un continuo accorrere d’ogni ceto di persone alla portineria della casa, per domandare ansiose e tremanti nuove della sua salute. Egli giace calmo e sereno, già nei giorni precedenti con ardore di serafino ha ricevuto gli ultimi sacramenti, ed anche Satana è venuto a muovergli l’ultimo assalto ma pure sul letto di morte ha dovuto sperimentarlo terribile e inespugnabile; ora intanto un raggio di pace celestiale gli brilla sulla fronte serena, quasi un messaggio celeste, l’ora intanto della dipartita è giunta ed Egli pronunziando i nomi dolcissimi di Gesù e di Maria, esala la sua grand’anima, tramonta alla terra, per splendere eternamente nel cielo.

Piangi, piangi o Napoli che hai perduto il tuo apostolo, il tuo amato padre non è più. Più non lo vedranno le tue marine evangelizzare i poveri pescatori e i miseri galeotti, più non lo vedranno le tue campagne spiegare agli umili e ai semplici la verità dell’eterna vita, più non l’udranno le tue piazze e i tuoi sobborghi. Piangi, piangi, o Napoli, e con Napoli piangete ancor voi, o fortunate contrade dell’Italia del mezzogiorno, tante volte irrigate dai suoi sudori e per opera di lui rinate ad una nuova vita di virtù.

Ma ti allegra tu, o Francesco, o anima invitta e generosa perché sono finiti i giorni della prova, i giorni del dolore, i giorni dell’esilio, ed è giunta l’ora in cui tu potrai bearti per sempre del tuo Dio.

Ecco ti viene incontro la madre tua Maria, che tu ponesti come principio e come termine della tua santità, e nel nome della quale tu riportasti tanti splendidi trionfi. Ti viene incontro, il tuo S. P. Ignazio che in te ravvisa un emulo del suo Saverio, e che seppe così rispondere al comando di Lui, che diceva ai primi suoi figli Ite incendite omnes. Ecco che a mille a mille ti vengono incontro le anime da te strappate all’inferno e che ora per te godono gli eterni gaudii del Paradiso. Ecco che un misterioso cantico mi par che risuona nei cieli, cantico di lodi e di benedizioni, che ti acclama grande per la tua santità, vero atleta del Cristo terribile all’inferno, lodevole alle genti, insigne operator di prodigi. Magnificus in sanctitate, terribilis atque laudabilis, faciens mirabilia.

PERORAZIONE

E’ indefinitamente varia nelle sue caratteristiche la vita di ciascun santo nella Chiesa di Gesù Cristo. Abbiamo santi in tutti gli stati di vita. Nota caratteristica e comune a tutti, la divozione a Maria. Questa nota spicca in San Francesco. Chi ha fatto di lui un sì gran santo? È stata la Madonna. Affresco di Gesù Nuovo in Napoli. La Madonna fu tutto per lui . volete.

APPUNTI

Recitò sempre il Rosario. Maria finalmente era la consigliera in tutti i suoi dubbi, il suo conforto in tutti i travagli, la sua fortezza nelle imprese più ardue, il suo rifugio in tutti i pericoli, la sua provveditrice in tutti i bisogni, mai si sa che a lei non ricorre e non fosse esaudito. Trafitto da dolori acutissimi e già ormai moribondo, con in mano la corona di Maria recitava con tal piacere il suo Rosario, e con tanta tranquillità, che sembrava in certo modo lui non aver alcun male.

O glorioso S. Francesco, o invitto nostro concittadino, o gloria di questa nostra Grottaglie, inginocchiati umilmente ai tuoi piedi per domandarti un’unica grazia la quale comprende tutto, ed è di amare la Madonna come l’amasti tu, la divozione verso lei sia tutto per le anime nostre, come fu tutto per l’anima tua benedetta. Fa che amando Lei di vero cuore ci sia dato giungere a salute, e quivi, nella visione beatifica di Dio poterti ancora una volta contemplare come in questo giorno: grande ecc.

Predica per la festa della Natività della Vergine Maria (Baronissi, 8 Settembre 1905)

Predica per la festa della Natività della Vergine Maria

Prediche – Quaderno (pagg. 23 – 24) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Appunti autografi del S.D., su un quaderno a righi di 36 fogli: pagg. 32 – 34.
Predica, breve ma molto incisiva, per la festa della Natività della Vergine Maria, in cui il Ven. le parla soprattutto della devozione alla Madonna.
(Baronissi, 8 Settembre 1905)

Predica per la festa della Natività della Vergine Maria
Baronissi – 8 Settembre 1905

Cum Jucunditate nativitatem Beatae Mariae celebramus, ut ipsa pro nobis intercedat ad Dominum Iesum Christum. Queste le parole che la Chiesa pone sul labbro dei suoi ministri, queste le parole che io ripeto. XX secoli fa nasce Maria: la natura e gli angeli esultano, il mondo tace: compiuto però il mistero della Redenzione, istituita la Chiesa, annunziata la religione cristiana alle genti, il giorno della nascita della Madonna è giorno di esultanza pel mondo tutto. Per ciò la Chiesa ripete ai suoi figli: cum jucunditate, e per mezzo mio ora lo ripete anche a voi.

Cum jucunditate. Dobbiamo celebrar con gioia la nascita d. M. Che vuol dire celebrar con gioia la nascita della Madonna? Chi è che celebra con gioia. Vi è una doppia gioia: una materiale, l’altra tutta spirituale. Questa è vera gioia, l’altra è falsa gioia. È con la prima che noi dobbiamo celebrare la N. d. M. e non con la seconda.

E chi è che celebra con vera gioia la nascita della Madonna? Chi è teneramente divoto di lei. Che cosa vuol dire essere divoto della Madonna, in che consiste la loro divozione. Essere divoto della Madonna vuol dire amarla teneramente. Esempio di S. Alfonso, S. Francesco di Sales, S. Stanislao Kostka. Quando si ama una persona si cerca di piacerle, e per piacere alla Madonna si deve odiare il peccato, amare la virtù, fuggire il male e praticare il bene. Falsa divozione. La Madonna vuole che noi l’onoriamo imitandola nella sua purezza immacolata. 1° Purità – intrighi; madri che non custodiscono i figli; affetti cattivi; libertà peccaminose. La Madonna fu giglio d’intemerata purezza, pronta a rinunziare anche alla dignità di Madre di Dio ecc. 2° Morigeratezza e sobrietà, amore al lavoro e alla mortificazione, amore alla semplicità. 3° Carità. Mormorazioni. Risentimento. La Madonna a pie’ della Croce. Tutti possono e debbono esercitare la carità. Le nozze di Canaan.

4° Umiltà e Pazienza. Si conchiude questa parte. Chi ci darà la forza a rompere le catene del peccato, a farci violenza per praticare la virtù? La Madonna. Dobbiamo pregarla. Modo di pregarla – Rosario e lettura. Esempio.

Risolvete adunque di amare teneramente la Madonna, di fuggire il peccato, di amare la virtù, attingendone la forza nella preghiera ad onor di Maria, ed allora una gioia purissima e santa inonderà il vostro cuore e voi potrete dire con tutta verità che è con gioia che avete celebrato la nascita della Madonna, cum jucunditate etc. e rivolgendovi a Lei insieme con gli Angeli e coi Santi le ripeterete Nativitas tua etc.

Dobbiamo celebrar con gioia spirituale e santa questa festa affinché Essa interceda per noi presso N.S.G.C. Che cosa è la preghiera della Madonna per noi presso il trono di Gesù Cristo. La preghiera della Madonna ci ottiene una santa morte – esempii. La preghiera della Madonna ci strappa all’inferno e ci schiude le porte del Santo Paradiso. La preghiera della Madonna ci salva. Che sarebbe di noi se la Madonna non pregasse per noi…

Veniamo ai piedi della sua culla, promettiamole che l’ameremo, che fuggiremo il peccato, diciamole che ci ottenga il perdono dei nostri peccati e che preghi, preghi sempre per noi. Santa Maria ecc.

Appunti di predica sulla devozione al Cuore di Gesù. (10 Settembre 1905)

Appunti di predica sulla devozione al Cuore di Gesù

Prediche – Quaderno (pag. 25) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Appunti autografi del S.D., su un quaderno a righi di 36 fogli: pagg. 34-35.
Appunti di predica sulla devozione al Cuore di Gesù.
(10 Settembre 1905)

Appunti di predica sulla devozione al Cuore di Gesù
10 Settembre 1905

Mentre la Chiesa festeggia il Nome della Madonna, e da un capo all’altro della terra risuona il cantico a Solis ortu usque ad occasum che voi vi raccogliete intorno a Gesù Sacramentato, il frutto benedetto del seno purissimo di tanta Madre. Compiacenza della Madonna per quest’atto. Sotto la guida materna di Lei consideriamo i vantaggi della divozione al Cuore di Gesù.

Apparizione del Sacro Cuore. Promesse – Io metterò la pace nelle loro famiglie. La pace nelle famiglie. La mia benedizione scenderà su quelle case ove l’immagine del mio Cuore sarà esposto e venerato.

Le persone che propagheranno questa divozione avranno il loro nome scritto nel mio Cuore donde non ne sarà mai cancellato. Per propagare questa divozione dobbiamo noi pei primi possederla. Essere generosi nell’elemosina verso il Sacro Cuore. Esempio d’una pia giovanetta. Il Banco di nostro Signore.

2a Parte. Ultima promessa. Come essa sia teologicamente esatta. Sua importanza. Si è avverato modo di eseguirla. Giudizio finale. La Madonna deve ottenerci la grazia dei nove venerdì.

Predica per la Domenica di Quinquagesima

Predica per la Domenica di Quinquagesima

Predicazione A (pagg. 25-55) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 5.
* Quaderno a righi, con copertina, composto da 42 facciate autografe del S. D.
Prediche varie (Predica per la Domenica di Quinquagesima agli iscritti all’Apostolato della preghiera: Napoli 1/3/1908; Inizio di predica sul Natale, 1909 (1908/1909).

Predica per la Domenica di Quinquagesima
agli iscritti all’Apostolato della preghiera
Napoli, 1 Marzo 1908
Domenica di Quinquagesima

Mentre in questi giorni la maggior parte degli uomini si abbandona ad una gioia smodata e a sollazzi pericolosi per l’anima, voi, come al solito, vi raccogliete ai piedi di Gesù Cristo, per tributare al suo cuore il vostro attestato di amore e di riparazione e per ricevere da Lui la sua benedizione. E quali ascritti all’apostolato della Preghiera insieme con la benedizione di Gesù voi attendete dalle labbra del suo ministro una parola, che eco fedele del vostro amato Signore vi sia di sprone a passare con maggior fervore il mese che comincia. Ebbene Gesù oggi vi invita ad essere più fedeli in questo mese che comincia, alla pratica della preghiera e alla mortificazione cristiana. Non vuole che vi accolliate nuove pratiche di pietà, no, ma vuole che ciascuna delle pratiche che siete soliti compiere, la compiate in questo mese con maggiore fervore, con maggior raccoglimento, con vero spirito interiore, e il vostro contegno in chiesa, nel tempio santo di Dio, sia tale, che chi vede possa riconoscere in voi dei cristiani ferventi che sono tali per intima convinzione, e non per abitudine e non per convenienza. E’ questa la fedeltà alla preghiera che Gesù esige da voi in questo mese, ed ad essa vuole poi che aggiungiate la mortificazione cristiana. Essa non deve essere praticata da voi con le penitenze e le austerità degli anacoreti, ma col reprimere a tempo i moti delle vostre passioni anche nelle cose lievi, perché soltanto chi sa essere fedele nel poco, saprà essere fedele nel molto. Sarà per voi mortificazione uno sguardo curioso e leggero frenato, un atto di collera o di impazienza represso, una parola, un discorso poco caritatevole un po’ pungente, non fatto, un atto di cortesia, verso chi non nutrite simpatia, talvolta un generoso perdono a chi vi fu cagione di disgusto. Ecco lo spirito di mortificazione che esige da voi Gesù, e pel quale Egli ha detto : “in verità vi dico, chi non rinnega se stesso”.

E’ questo lo spirito di mortificazione che renderà amabili e forti ad un tempo. Oh! Se la pietà fosse così intesa secondo lo spirito di Gesù Cristo e gli insegnamenti dei suoi santi, quali S. Francesco di Sales, quanti che vivono lontani dalle pratiche cristiane si avvicinerebbero ad esse. Voi intanto docili alla voce di Gesù siate fedeli in questo mese, in questi giorni di dissipazione soprattutto, e nell’imminente quaresima alla preghiera ed alla mortificazione cristiana. Rinnovate questo proposito al mattino quando per le mani della vergine Immacolata voi offrirete al Cuore di Gesù tutte le preghiere, tutti i patimenti della vostra giornata. E in questo mese le vostre preghiere, le vostre mortificazioni, offritele soprattutto per le missioni parrocchiali, per la conversione dei peccatori. Quanto povere parrocchie abbandonate hanno bisogno della parola di Dio, dell’opera di uomini apostolici, quante anime vivono nel peccato, e voi offrite per esse la vostra preghiera, la vostra mortificazione, e non crediate di far poco. Qualsiasi opera di zelo e di apostolato è sterile senza la preghiera e l’immolazione, i missionarii non fanno che mietere i frutti maturati con la preghiera e l’immolazione delle anime buone. La vita della Madonna e di S. Giuseppe di cui oggi comincia il mese si riassume in queste due parole: preghiera ed immolazione nel nascondimento per la salvezza delle anime, pel trionfo di Gesù Cristo nelle anime tutte e quindi nel mondo intero. Voi quindi prostrati ai piedi di Gesù sin d’ora formulate il vostro proposito e compite la vostra offerta. E ditegli con tutto il cuore:” si o Gesù, avvalorati dalla tua grazia, proponiamo d’essere mortificati riprendendo le nostre passioni, sacrificando talvolta per amor tuo le nostre voglie anche lecite in spirito di sacrificio. E sin d’ora per le mani della tua Madre Immacolata ti offriamo le preghiere, le azioni, i patimenti nostri in questo mese, secondo tutte le tue intenzioni, e specialmente per le conversioni dei poveri peccatori e affinchè le parrocchie raccolgano frutti abbondantissimi di grazia mediante l’opera delle sante missioni.

Inizio di predica sul Natale

Inizio di predica sul Natale

Predicazione A (pagg. 25-55) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 5.
* Quaderno a righi, con copertina, composto da 42 facciate autografe del S. D.
Prediche varie (Predica per la Domenica di Quinquagesima agli iscritti all’Apostolato della preghiera: Napoli 1/3/1908. Inizio di predica sul Natale, 1909 (1908/1909).

Inizio di predica sul Natale (non completata)
Baronissi – Natale del 1909

La Chiesa nella giornata testè decorsa, con una gioia crescente, nelle sue preci, ci annunziava che fra breve avremmo appreso che il Signore sarebbe venuto a noi, e ci sarebbe apparsa la gloria di Lui “Hodie scietis”. Ed ora con canti di esultanza nuova con tutta la solennità del rito, ci annunzia ch’egli, il Cristo, l’unto del Signore è nato, e ci invita ad adorarlo. Per oltre 40 secoli l’umanità ansiosa l’aveva sospirato, il popolo Ebreo nei suoi riti, nelle sue tradizioni, i suoi profeti nelle loro profezie ci avevan detto di Gesù che doveva nascere e il tempo e il luogo, le circostanze più minute del suo nascimento = (il resto non ebbi tempo di scriverlo).

Appunti di predica sulla festa dell’Immacolata

Appunti di predica sulla festa dell’Immacolata

Predicazione A (pag. 16) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 2.
* Foglietto autografo del S. D., scritto su una sola facciata.
Cinquantesimo del Dogma dell’Immacolata (1858-1908). (Appunti di predica, in cui il S. D. fa alcune riflessioni sulla festa dell’Immacolata).
(8 dicembre 1908).

I.M.I

Appunti di predica sulla festa dell’Immacolata
(scritto da altra mano): 8-12-1908

Tutto ci parla d’una gioia insolita. Oggi è la festa dell’Immacolata.

Che vuol dire la parola Immacolata. Esposizione del mistero. Il demonio tiene nella sua schiavitù tutta la stirpe d’Adamo, una sola bambina gli sfugge e lo conquide un fuoco divoratore (che) tutto consuma ecc. un furioso tiranno sta devastando il mondo e estende da per tutto la sua crudele signoria ecc. La S.S. Trinità preserva la Madonna dal peccato originale.

Tutto in questo mistero respira un profumo d’innocenza. Tutto ci predica orrore al peccato stima della grazia. Emendiamo la nostra vita per amar Maria. La Madonna sarà la nostra fortezza. Dicono i santi che onorando la Madonna sotto questo privilegio, tutto si ottiene da lei. Quante tentazioni vinte, quante disgrazie allontanate, quanti prodigi operati. O Maria concepita senza peccato.

Amiamo anche noi la Madonna. Quale consolazione se nell’ora della morte l’avremo amata davvero.

Oggi che si celebra il 50° anniversario rallegriamoci delle glorie di tanta madre. Questo privilegio è un privilegio singolarissimo. E’ la base di tutti i privilegi di Lei. Tutto il mondo si commosse quando si trattò di difenderlo. Beamoci nella contemplazione della Madonna nostra.

Esercizi Spirituali dati a Improsta

Esercizi Spirituali dati a Improsta

9. Scatola XII (pagg. 8-12) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Cartella: Documenti vari II
* Autografo del S.D. scritto su quattro facciate di tre fogli, piegati in due, e sei righi sulla V facciata, senza firma.
Esercizi dati a Improsta (è una località, in cui c’è una fiorente azienda agricola della famiglia Farina). (Tre schemi di meditazione: 1° giorno, sulla nostra anima; 2° giorno, sul peccato mortale; 3° giorno; sulla morte).
(dal 3 all’8 Maggio 1909)

Esercizi Spirituali dati a Improsta
dal 3 all’8 Maggio 1909
1a Meditazione

Con la morte non finisce tutto ma sopravvive la nostra anima. È questa per noi verità di Fede = credo vitam aeternam. Iddio ci ha messi su questa terra per salvare l’anima nostra mediante le opere buone. Siamo al mondo per salvarci, non per mangiare, per bere, per divertirci, molto meno per fare peccati, Dio ci ha messo su questa terra per salvare l’anima nostra.

Se perdiamo l’anima nostra, essa è perduta per sempre, né vi sarà più rimedio. Se perdiamo una lite, se perdiamo un posto, un’occupazione, se anche perdiamo la salute ci è speranza di qualche rimedio, ma se perdiamo l’anima nostra essa è perduta per sempre, per tutta l’eternità, saremo eternamente infelici, senza speranza, senza rimedio alcuno, ci dispereremo inutilmente per tutta l’eternità.

Che cosa dobbiamo fare per salvarci l’anima? Chi è che salva l’anima propria? Per salvarci l’anima dobbiamo fuggire il male e praticare il bene compiendo i doveri dello stato nel quale Iddio ci ha posto. Quel operaio che lavora, che cerca pure di migliorare la sua cond. Ma onestamente, che non cerca il male degli altri, che non porta invidia… che educa cristiani e figli…che si confessa che fa la Comunione – santifica la festa, salva l’anima propria.

Quel padrone, che amministra bene le sue ricchezze, rispetta i suoi operai, fa bene agl’infelici, vive una vita onesta e non è di perduti costumi. Serve Dio ecc. salva l’a(nima). pr(opria).

Chi ruba, chi s’approfitta ecc… chi s’ubbriaca… chi vive una vita disonesta… chi porta invidia…chi desidera e compie il male degli altri…chi vive lontano da Dio perde l’a. pr.

Siamo deboli e Gesù perciò ha dato la confes. e la comun.: la confes. per togliere bene i peccati, la Comunione per avere la forza di vivere.

Tutto passa… tutto finisce sopra questa terra… anche le gioie più pure e più sante… Iddio lo permette affinché non avessimo a credere che dobbiamo per sempre rimanere su questa terra…. noi ci stiamo per rimanerci solo poco tempo… noi ci stiamo per salvarci l’anima…

Tutto passa, tutto finisce. Beato chi attende a salvare l’a. pr. Compiendo il proprio dovere, sperando il bene attende a salvare l’an. Pr.

Principe vedi come si muore e come finiscono tutti i piaceri e le grandezze di questa vita (Filippo 2° vicino a morte, a suo figlio).

O re salvati l’anima (S. Nilo a Ottone 3°).

Salvati l’anima. Fate una buona confessione e cambiate vita.

Implorate questa grazia con la preghiera. Preghiamo insieme domandiamo questa grazia con la preghiera. Preghiamo insieme, domandiamo questa grazia a G.C. per intercessione della Madonna.

Istruzione sul riposo festivo. Del denaro di festa niente ci resta.

Giorno 2°. Il peccato Mortale – (Bestemmia)

L’anima nostra va perduta eternamente per il peccato mortale.

Quando noi commettiamo, facciamo un peccato mortale, perdiamo il paradiso, pel quale Iddio ci ha creato, e ci meritiamo l’inferno da Dio creato per il diavolo e per gli uomini peccatori.

Dio creandoci ha impresso una legge nel nostro cuore. Essa ci dice: “Fuggi il male e fa’ il bene”. Non commettere azioni disoneste – non t’approfittar. Segui la rag. non già gl’istinti della tua corrotta natura. Questa legge Iddio ce l’ha poi data in modo esplic. Coi dieci comandamenti, ce l’ha confermata Gesù Cristo, che l’ha perfezionata. Quando noi la trasgrediamo commettiamo il peccato mortale. Col peccato mortale noi diciamo a Dio: “Non ti voglio servire…Non mi curo di Te…ecc….”. a Dio che è il nostro Creatore, il nostro padre amorosissimo, a Gesù Cristo che ha sparso tutto il suo sangue ecc.

Fra i peccati ce n’è uno che in modo speciale attira i castighi di Dio sopra di noi. Questo peccato è la bestemmia. Che cosa è la bestemmia…

La bestemmia, effetto della nostra intolleranza. La Madonna e Gesù hanno sofferto, noi non vogliamo soffrire. Chi bestemmia, spesso è abbandonato da Dio, resiste alla grazia e muore nel suo peccato. I due ladroni. Gesù dall’alto della Croce c’invita al pentimento. Popule meus quid feci tibi?

3° Giorno. Morte

Il pensiero della morte è salutare. Esso ha formato i santi. Ha fatto sorgere insigne opere di carità. Meditare novissima tua. Io tenni sempre innanzi agli occhi la morte e perciò ora che è giunta non veggo cosa nuova e non ho paura. La morte è certa. È scritta la sentenza per tutti gli uomini. Morte morieris. Non sappiamo ciò che sarà di noi fra un anno, fra due – se godremo buona salute o saremo colpiti da qualche malattia, se le nostre cose, i nostri affari andranno bene o saremo colpiti da qualche sventura, una sola cosa è certa, che dovremo morire – sola mors certa est – solo questo sappiamo con certezza. Avessimo pure a vivere altri 60,70,80 anni, ha da venire un giorno, e di quel giorno un’ora che per noi sarà l’ultima. Si resiste al fuoco, all’acqua, al ferro, ai re, ai potenti della terra, solo alla morte non si può resistere – anche l’uomo più potente non può resistere alla morte. Statutum est etc..

La morte è certa ma è incerta l’ora in cui verrà. Gesù Cristo nel suo vangelo ci dice: “Verrà come un ladro nell’ora in cui meno ci pensiamo”. Le vergini stolte. Il male è che noi pensiamo sempre la morte più lontano di quel che non sia in realtà. Il terremoto. Non dimentichiamo l’insegnamento di G.C. estote parati. Come si sta apparec. alla morte, con lo stare in grazia di Dio e col fare opere di carità. Non diciamo poi mi confesserò – non rimandiamo.

Quanto è bella la morte di chi sta in grazia di Dio.

La morte considerata umanamente secondo i sensi spaventa e si fa temere: ma secondo la fede consola e si fa desiderare. Non putabam tam dulce esse mori. S. Francesco d’Assisi cantava. S. Luigi. S. Giovanni Berch. D. Cafasso. La morte del peccatore.

Quale sarà la nostra morte? Facciamo una buona confessione adesso che ne abbiamo il tempo. Domandiamo alla Madonna la grazia d’una santa morte.

“Padre non potete credere la consolazione che apporta in morte il pensiero di aver servito alla Madonna! Oh Padre mio se sapeste che contento io sento per aver servito a questa madre mia! Io non so spiegarlo” (un div. Della Madonna al P. Binetti). S. Giovanni di Dio.

Preghiera.

Appunti per un panegirico su S. Luigi Gonzaga

Appunti per un panegirico su S. Luigi Gonzaga

Predicazione A (pagg. 21-22) – Archivio della Curia Diocesana di Troia, Scatola VI A N° 3.
* Foglietto autografo del S. D., scritto su una sol facciata
Appunti per un panegirico su S. Luigi Gonzaga. (Appunti di predica in cui il S. D. parla della fortezza, purità, umiltà, carità, del Santo).
(11 novembre 1909 Eboli).

Appunti per un panegirico su S. Luigi Gonzaga

I. M. I.

Eboli, 11 Novembre 1909

Minuisti eum paulo minus ab Angelis; gloria et honore coronasti eum.

Angelo di purezza nella corte di Castiglione (= spara il cannone) = profferisce alcune parole poco convenienti – Angelo ed in Mantova (= il voto di castità) – Angelo nella corte di Carlo V (= la regina Isabella) – Angelo in Chieri (= fugge il ballo) . Prerogativa degli Angeli è la fortezza e S. Luigi da forte difende la purità contro le suggestioni della carne, con la penitenza, contro i pericoli del mondo con la modestia e col coraggio.

E’ finalmente Angelo perché si conserva immune da ogni colpa. Prerogativa degli Angeli è l’umiltà = essi sono i ministri del Signore e per l’umiltà furono confermati in grazia = e S. Luigi fu umile = infensus hostis gloriae (= Docile ed ubbidiente verso l’aio e verso tutti. Milano – Madrid – la rinunzia del principato – domanda sempre di scopare – di lavare i piatti – ecc.).

Prerogativa degli Angeli è la carità – Verso Dio = suo spirito d’orazione sua unione con Dio – Con gli uomini = caritatevole nel parlare – mediatore fra il Duca di Mantova e il fratello – Apostolo dei fanciulli. Servo degli appestati – ce ne andiamo allegramente – Missionario e martire di desiderio.

S. Luigi angelo sul letto di morte – Angelo di purezza l’attesta il Card. Bellarmino – Angelo d’umiltà – Angelo di carità , consolatore della madre.

Gloria et honore coronasti eum. Risposta al Carducci.

Imitate S. Luigi – siate puri – umili ed obbedienti – caritatevoli – e per ottenere ciò siate, come S. Luigi, veri divoti della Madonna, e come lui fate spesso la S. Comunione.

Appunti per il Panegirico su S. Antonio

Appunti per il Panegirico su S. Antonio

Predicazione A (pagg. 23-24) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 4.
* Foglietto autografo del S. D., scritto a vanti e dietro. (All’inizio è messa questa nota: Notizie tolte dal libro “S. Antonio di Padova” del P. Razzoli M.O.).
Appunti per il Panegirico su S. Antonio (Appunti di predica in cui il S. D. mette in risalto le virtù e le opere del Santo) (13 giugno 1911 Baronissi).
Notizie tolte dal libro: “S. Antonio di Padova”.
Ed. Descleè Lefebere . del P.R. Razzoli M.O. – Roma

Appunti per il Panegirico su S. Antonio
Baronissi – 13 Giugno 1911

Humiliabitur et exaltabitur – Florebit sicut lilium – Renovabitur ut aquila juventus sua.

Humiliabitur – S. Antonio sprezzando la nobiltà dei suoi natali vive modestamente nella Cattedrale di Lisbona. A quindici anni entra fra i Canonici Regolari di S. Agostino – prima in S. Vincenzo, presso Lisbona, poi in S. Croce di Coimbra.

Desideroso del martirio, assetato di umiliazioni, entra fra i frati Minori. Parte per le missioni del Marocco e si ammala. Sua umiltà nel ricevere dalle mani di Dio le prove – Sbarco in Sicilia – Viene al capitolo delle stuoie tenuto in Assisi il 30 Maggio 1221 – Suo nascondimento. Parte per l’eremo di Montepaolo presso Forlì, ove rimane nascosto nove mesi.

Exaltabitur – Il capitolo provinciale di Forlì 1222 – L’eresia manichea – S. Antonio a Rimini, predica ai pesci, fa adorare il Sacramento da una giumenta – Mangia cibi avvelenati senza riceverne nocumento.

Riceve da S. Francesco il mandato d’insegnare – S. Antonio professore a Bologna.

S. Antonio in Francia – prima a Montpellier, indi a Tolosa – Martello dell’eresia Albigese – ripete il miracolo del Sacramento – Apparizione di S. Francesco nel capitolo di Arles – S. Antonio Lascia la Francia per eleggere il successore di S. Francesco.

Passa ad evangelizzare la Sicilia – Nel 1227 è eletto ministro della provincia Emiliana, che comprende tutto il Veneto. Il finto morto di Gemona – S. Antonio al Castello di Ezzelino – S. Antonio dirige le anime nel cammino della perfezione = Elena Euselmini Superiora delle Clarisse in Arcella – il Beato Luca Belludi – l’Apparizione di Gesù Bambino in casa del Conte Tiso III di Camposampiero – Evangelizza la Toscana – Viene nell’Umbria fa ritorno a Padova.

Florebit sicut lilium – I soavi profumi della sua angelica purezza – Libera in Francia un novizio da moleste tentazioni – libera un frate – facendogli indossare la sua tonaca – La tenerezza della Regina dei Vergini – Il Santo dei gigli – Sua beata morte avvenuta in Padova il 1231.

Renovabitur ut aquila juventus sua.

Appunti per una predica su S. Luigi

Appunti per una predica su S. Luigi

Prediche – i) (pag. 1) – Archivio Postulazione Causa di Canonizzazione di Mons. F. M. Farina – Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Minuta autografa del S.D., scritta su una sola facciata di un foglietto.
Appunti per una predica su S. Luigi ( 21 Giugno 1911)

Appunti per una predica su S. Luigi

Discorsetto (su S. Luigi)
del 21 Giugno 1911

Florebit sicut lilium. Di molti santi la Chiesa canta facendo sue le parole dei libri santi: Florebit sicut lilium, germoglierà come un giglio olezzante. Pure a nessun santo sembra che essi si approprino meglio come a S. Luigi. Egli cresciuto in mezzo al fasto ed al lusso delle corti del secolo XVI, in mezzo alle seduzioni e ai pericoli delle più popolose città dell’Italia e della Spagna, apparve come una visione angelica di celestiale purezza, germinò come un giglio purissimo, la cui bellezza sovrumana rapì sinanco il Cielo. Talché oggi alla nostra anima di credenti sarei per dire è impossibile rimirare un giglio, senza correre col pensiero a questo giovane angelico: ed è impossibile raffigurare l’immagine di lui senza che il giglio posi ai suoi piedi o rifulga tra le sue vergini dita. Tutto il segreto del fascino che S. Luigi esercita sugli animi, tutta la ricca ed esuberante poesia che racchiude il suo nome è risposta nella sua purezza veramente celestiale ed angelica, si irradia dalla candida corolla del suo giglio verginale. E questo giglio non è muto e senza espressione, ma ha un linguaggio assai eloquente ed efficace per le anime e soprattutto per le anime giovanili che si fermano per poco a contemplare la bellezza. Esso dice che la fronte d’un giovane non può avere più dell’ornamento che la fulgida corona della purezza. Oh! Come vorrei sapervi fare intendere il mistico linguaggio del giglio di S. Luigi! Oh come vorrei accendere nei vostri giovani cuori la santa brama di cumulare la sua angelica purezza!.

Ghirlanda di fiori spirituali intessuta per Maria

Ghirlanda di fiori spirituali intessuta per Maria

Prediche – e) (pagg. 1-3) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F. M. Farina – Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Minuta autografa del S.D., scritta su 7 facciate di tre fogli quadrettati, piegati in due.
Ghirlanda di fiori spirituali intessuta per Maria da’ giovani del Seminario di Salerno nel Maggio 1912 (è una predica in cui il SdD elenca le opere buone compiute – che chiama ghirlanda di fiori spiirituali – dai seminaristi del Seminario di Salerno, dove il SdD è padre spirituale, al termine del mesi di maggio 1912).

Ghirlanda di fiori spirituali intessuta per Maria
dai giovani del Seminario di Salerno nel Maggio 1912

E’ finito il Maggio, il caro mese mariano! Con santa poesia lo cominciaste ai piedi della divota immagine della Vergine, che veglia qui quale amorosa consigliera, quale madre affettuosa e tenera sulle vostre giovani anime. Ed ora, al termine di esso eccovi ancora una volta solennemente adunati intorno al trono di Maria. Allora con fervido slancio giovanile proponeste nel segreto dei vostri cuori di onorarla in modo particolare nel mese a Lei consacrato, e di ritemprarvi nell’amore santo di Lei. Adesso voi siete qui per offrirle quei mistici fiori che il vostro amore seppe far germogliare nel mistico giardino delle vostre anime. Fiori olezzanti di virtù che voi offrite per mezzo mio, intrecciati in mistica ghirlanda, in quest’ora così ricca di soavi emozioni. E gliel’offriste insieme ancora coi vostri ardenti segreti sospiri del vostro cuore, che Essa Madre potentissima e amorosissima si degnerà di esaudire. Questi fiori voi veniste con fervido amore educando nelle anime vostre, e poi con affetto filiale deponeste ai suoi piedi. Questi fiori ho ora raccolto in mistica ghirlanda e in nome vostro la presento a Lei.

Giovani, nel primo rigoglio della vita comprendeste che a Colei che la Chiesa saluta Regina dei Vergini, e Madre tutta pura, non potevate offrire fiore più gradito del giglio della purezza. E per ciò molti fra voi con ogni impegno in questo si dettero alla pratica della purità. Vi fu chi con tenacia di propositi riuscì ad evitare ogni colpa grave. Chi con fermo proposito stabilì di nutrire sempre il più grande amore per la Purità. Un altro scriveva: ho proposto di mantenermi puro e di non cedere alle tentazioni: con la grazia della Vergine S.S.ma, vi sono riuscito in tutto questo mese e spero riuscirvi sempre. Altri ha generosamente lacerata qualche immagine, che gli sembrava poco modesta. Molti in fine in ispirito di mortificazione, per sempre meglio custodire virtù così bella usarono particolare modestia in tutto, e soprattutto a passeggio portando gli occhi bassi. Altri memori che questa virtù s’impetra con la preghiera e con la mortificazione e si alimenta del cibo eucaristico, il pane degli Angeli, coltivarono con amore la Pietà e la Mortif. Crist. Si accostarono alla S. Comunione in tutti i giorni del mese, vincendo generosamente il rispetto umano. Trovarono modo come poter recitare l’intero rosario durante il giorno, ed il suo piccolo ufficio e per riuscirvi alcuni si privarono più volte della ricreazione, altri del conversare a passeggio, altri in fine del riposo. Vi fu chi si dette cura di notare ogni giorno l’osservanza degli ossequi e dei fioretti, chi durante tutto il mese non omise mai la lettura spirituale, chi recitò in tutti i giorni la coroncina dei 12 privilegi di Maria, chi ha invocato con divoz. Il nome della Madonna al principio di ogni azione. Quanto alla mortificaz. tutti si studiarono di praticarla in mille modi diversi. Molti si astennero dalla frutta e dal vino ogni sabato, molti più la settimana, altri per un’intera novena, altri durante tutto il mese. Vi furono di quelli che più volte si astennero dal dolce, lasciandolo tutto o in parte, di quelli che si astennero da qualche pietanza, e qualcuno che talvolta rese la sua cena estremamente parca. Vi fu chi praticò il digiuno ecclesiastico per 8 giorni, chi ebbe cura di alzarsi subito suonata la sveglia. Chi osservò particolare silenzio a studio ed a scuola, e chi ebbe cura di non fare chiasso col suo compagno vicino. Altri durante tutto il mese ha studiato con più ardore. Vi furono di quelli che procurarono particolar modestia in cappella, e che per mortificarsi non si appoggiarono al banco di dietro. Vi fu altri che sedendo prescelse sempre la posizione la più incomoda. Chi custodì gli affetti del proprio cuore, sacrificando qualche affezioncella terrena: chi si studiò di riportare frequenti vittorie sul difetto predominante. Chi sopportò con gioia i rimproveri e i motteggi, chi si studiò di praticare in tutto la S. Umiltà; di fuggire la malinconia alla quale si sentiva molto inclinato. Chi non saggiò il pane prima di aver mangiato la zuppa, chi curò in particolar riserbo nel parlare.

A questi mistici fiori di purezza, di pietà, di mortificazione era ben giusto che si aggiungesse la mistica rosa della carità fraterna e dello zelo.

Voi state qui per educarvi allo spirito sacerdotale e questo spirito è spirito di effusiva carità, di zelo ardentissimo. E a coronamento delle virtù alle quali ho accennato la Madonna vuole la carità e lo zelo.

E voi lo comprendeste, e nel vostro poco vi studiaste di praticare queste virtù, e la pratica che di essa faceste, è per il cuore di tanta madre fiore accettissimo, è per la povera anima mia, che tanto teneramente vi ama, dolce preludio di quel che farete in avvenire quando sarete usciti di qui.

Molti di voi per ciò si studiarono di non riuscire molesti ad alcuno; furono cortesi ed amabili per che avevano avversione. Altri si studiò di confortare con buone parole qualche compagno afflitto, di aiutare qualche altro in qualche dovere di scuola, che gli riusciva difficile. Vi fu chi si privò di qualche sollievo e quel che avrebbe dovuto spendere per procurarselo lo dette ai poveri. Moltissimi offrirono per la conversione dei peccatori, dei giovani traviati, per la santif. del clero comunioni, mortificaz., preghiere. Altri in fine si fece apostolo presso qualche suo compagno e l’indusse a compiere qualche buona azione.

Schemi per un Corso di Esercizi Spirituali

Schemi per un Corso di Esercizi Spirituali

Predicazione A (pagg. 56 – 69) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 6.
* Quadernetto composto da 3 pagine autografe del S. D., scritte su 12 facciate.
Schemi di meditazione per un Corso di Esercizi Spirituali ai Sacerdoti (o altri partecipanti).
(13/18 ottobre 1912 Villa Melecrinis – Napoli).

Schemi di meditazione per un Corso di Esercizi Spirituali ai Sacerdoti
13/18 ottobre 1912 – Villa Melecrinis

13 Ottobre 1912

Esortazioni e Istruzioni d’introduzione

Gesù disse ai suoi apostoli reduci da fatiche apostoliche. Venite aliquantum in desertum locum et quiescite pusillum. Egli vi tratta da Apostoli… questa solitudine vi è data non per sollazzo, ma per meglio trattare l’affare importantissimo della nostra salvezza e santificazione e per conseguenza quella delle anime a voi affidate.

I – Che cosa sono gli Eserc, Sp.? Ce lo dice S. Ignazio: “Esercitia Spiritualia ut homo vincat seipsum et ordinet vitam suam”. L’ordine costituisce il bene, in Dio tutto è ordine: il peccato è disordine. A turbare quest’ordine vi contribuisce non soltanto il mondo esteriore, ma ancora le nostre interne passioni, la nostra natura inclinata al male e per ciò: “vincat seipum”.

II – Come fare gli Esercizi Spirituali? Intrabo totus; manebo solus: exibo alius.

Intrabo Totus – non solo col corpo, ma anche con l’anima: mettendomi interamente a disposizione della grazia … senza restrizioni. Entrare con l’intelletto…entrare con la volontà.

Manebo solus – mettendo da parte tutto ciò che è estraneo al fine degli esercizi – anche l’esercizio dei ministeri – è un grave errore credere di poter efficacemente attendere alla santificazione degli altri senza attendere alla santificazione propria.

Exibo alius – riforma di se stesso. Il frutto delle meditazioni è riposto non nelle interne consolazioni, ma nella riforma di se stesso. Domandare questa riforma con la preghiera per sè e per gli altri. Ubi duo vel tres congregati fuerint in nomine meo etc.

14 Ottobre 1912

1a Meditazione

– Fine dell’Uomo –

Conoscere e amare Dio – 1° Fine sommamente nobile – 2° Fine sommamente necessario – 3° Fine sommamente arduo.

Perché una cosa sia ordinata deve rispondere al suo fine. La meditazione privata è stata quella d’introduzione sul modo come far bene i S. S. E.

1a Istruzione – La Meditazione –

Causa della maggior parte dei mali del mondo è l’irriflessione. La meditazione ci fa riflettere. Stima in cui l’hanno avuta i santi. Tutte le congregazioni religiose l’hanno nelle loro regole.

In che consiste la meditazione. Essa sta a l’orazione mentale come la specie al genere. E l’attenta considerazione d’una massima, d’una verità eterna, di un mistero della vita di N. S. Gesù Cristo ecc. a fine divoto ed ascetico per riformare e migliorare la nostra vita.

Come si fa la meditazione. Stabilire il tempo, preparare la materia. Libri utili per la meditazione.

Esercizi dell’intelletto. Esercizio della volontà = le risoluzioni devono essere particolari, pratiche ed opportune. Tiene dietro il colloquio = espressione dei sentimenti e degli affetti del cuore, e si chiude offrendo le risoluzioni e domandando aiuto e grazia per mantenerle.

Vantaggi della meditazione – 1° ci fa conoscere Dio e il suo Divin Figliuolo = haec est vita aeterna ut cognoscant te Deum et quem misisti Jesum Christum – 2°Ci fa fuggire il male e praticare la virtù – 3° ci rende uomini apostolici, nella meditazione infatti si apprende ad apprezzare le anime e ci si accende del desiderio della loro salvezza – 4° ci rende buoni predicatori; dopo di aver meditato le eterne verità le annunziamo al popolo con piena convinzione, con ardore ed efficacia. – 5° ci rende raccolti e riflessivi – operosi -.

Procurare di farla al mattino di buon ora: essa dà una felice orientazione a tutta la giornata.

2a Meditazione

– L’uso delle creature –

Creatura va presa in senso lato per tutto ciò che non è Dio né l’io, cioè il soggetto che medita.

1° Fine della Creatura = servire a noi nel conseguimento del nostro ultimo fine. 2° Regola con la quale dobbiamo servirci delle creature. 3° Indifferenza nell’uso delle creature = Ricchezza e povertà, onori e umiliazioni, sanità o infermità, vita breve o vita lunga.

In manibus tuis sortes meae.

15 Ottobre 1912

La meditazione privata è stata quella dei tre peccati. (Gli Angeli – Adamo – Un uomo in particolare).

La meditazione delle 9 e un quarto a.m. – Lo stato del Peccato Mortale.

Lo stato di peccato 1° P.

L’Istruzione è stata sulla Messa sacrilega.

1° = Somma ingiuria a Dio. Si costringe G.C. a stare insieme col peccato. Lo si offende nell’atto di compiere l’azione più santa. Lo si offende da chi conosce a fondo la sua legge e l’annunzia al popolo. La carne di Gesù Cristo fu martoriata in mille modi durante la sua vita mortale ora deve essere glorificata ed onorata. E’ glorificata in Cielo, dev’essere glorificata anche in terra, e vi è glorificata infatti mediante l’Eucarestia che è il centro del culto cattolico. Il Sacerdote sacrilego invece la martirizza e la disonora di bel nuovo.

2° Sommo disdoro pel sacerdote. Perché è un orribile funzione: il sacerdote oltraggia Dio fingendo di onorarlo, è simile a Caino che invita Abele a diporto per togliergli la vita, compie insomma come un orrendo tradimento.

3° = danni della messa sacrilega = si acquista l’abito della colpa: il demonio s’impossessa del sacerdote sacrilego, allo stesso modo come s’impossessa di Giuda del quale è scritto. “post buccellas introvit in eum Satana”.

La prima volta si commise questa colpa tentennando poi se ne acquistò l’abito.

L’Inferno

1°= P. Si soffre la pena del fuoco, pena tanto più tormentosa perché eterna.

2°= P. Si soffre la privazione di Dio.

3°= P. Si soffre il rimorso della coscienza.

16 Ottobre 1912

ore 6 – La meditazione privata è stata sull’inferno.

Ore 9 e un quarto – La meditazione è stata sul peccato veniale.

1° P. Il P.V. è un’offesa che si fa a Dio. Raffronto tra il peccato mortale e veniale mediante la loro definizione. E’ indizio di assai poco amore verso Dio. 2° Punto è dannoso all’anima nostra – a) diminuisce il fervore della vita soprannaturale = siamo tiepidi, proviamo disgusto per le pratiche di pietà, per l’esercizio della virtù ecc. a causa che non facciamo alcun conto del peccato veniale. – b) rallenta e fa volgere indietro il cammino verso la vita soprannaturale: il riposo della vita fisica e naturale è causa di aumento di vigore e di forze: nella vita spirituale e soprannaturale accade il contrario. Inoltre il peccato veniale ci spiana la via al peccato mortale, nel quale cadono per mancanza di vigore, e perché Dio disgustato ci nega il suo aiuto. – c) ritarda la glorificazione della vita soprannaturale = Il Purgatorio.

Ore 11 e mezza – Istruzione – Il Sacrificio della Messa

1° P. La Messa è un sacrificio – 2° P. La Messa è il sacrificio di G. C. – 3° P. La Messa è partecipazione del Sacerdote al sacrificio di Gesù Cristo.

1°= La messa è un sacrificio = definizione del sacrificio quanto esso dia onore e lode a Dio.

2° = E’ il sacrificio di Gesù Cristo = definizione della messa – sua sublimità – rende a Dio una lode ed onore, una riparazione, ed un’espiazione perfetta – Il sacerdote celebra con poca divozione perché non ha presente questo – Modo come celebrare bene: a) apparecchio: il miglior apparecchio è la meditazione. b) celebrare osservando la rubrica, senza fretta, accompagnando col cuore il significato delle parole e delle sublimi preghiere che recita. c) Il ringraziamento.

3° = la messa deve essere partecipazione del sacerdote al sacrificio di G. C. Egli deve parteciparvi immolando se stesso nel rintuzzare le passioni, nel praticare le virtù di cui Gesù ci ha dato in sé mirabili esempi, e soprattutto sacrificandosi per le anime.

Meditazione delle 6 p.m. – La Morte –

Meditare novissima tua et in aeternum non peccabis.

1° = P. Che cosa è la morte – a) la morte è separazione dell’anima dal corpo: dissoluzione del nostro corpo. – b) la morte è abbandono di quanto abbiamo in questo mondo, ove forse non sopravviveremo neppure in immagine, quindi distacco. – c) la morte è chiamata al tribunale di Dio – giudizio particolare – è il timore di questo giudizio soprattutto, che ci fa temere la morte.

2°= P. Caratteri della morte – a) la morte è sicura – essa è per tutti. b) è però incerta quando al tempo: G. C. dice che verrà quando meno ce lo pensiamo. – c) la morte è irreparabile – morti che siamo non stiamo più in grado di riparare il mal fatto: operiamo per ciò come vorremmo avere operato in punto di morte.

La meditazione ha per fine non già di affliggerci ma di farci bene operare.

17 Ottobre 1912

6 a.m. La meditazione di stamane è stata sul giudizio particolare.

Ore 9 e un quarto – Meditazione – Giudizio Universale

Questo giudizio ha luogo perché sia manifesta la giustizia di Dio.

1° = P. Appello – universale, totale in anima e corpo.

2° = P. Esame – Nei giudizi di questa terra l’esame ha luogo perché il giudice si formi un concetto intorno all’oggetto della causa, e possa emettere il suo verdetto. Nel giudizio finale esso ha luogo perché sia manifesta a tutti l’infinita giustizia e l’infinita misericordia di Dio. Si leggerà nella coscienza d’ognuno … – nei buoni se apparirà anche il male sarà per far conoscere come essi siano riusciti a vincersi e abbiano corrisposto alla grazia di Dio. Si conoscerà la ragione intima dell’operare di questo, e di quel sacerdote – quanti creduti buoni ecc.

3° = P. La Sentenza – Venite benedicti ecc. Discedite maledicti – Sentenza irrevocabile … sentenza inappellabile … sentenza che durerà per tutta l’eternità.

Ore 6 p.m. – Meditazione – Regno di Gesù Cristo –

Dalle meditazioni precedenti avendo concepito un vivo orrore del peccato, ci sentiamo spinti a presentarci al cospetto di Dio per domandargli che cosa dobbiamo fare per piacergli. Egli ci addita il suo Divin Figliuolo ripetendoci: “Hic est filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui, ipsum audite”. Gesù Cristo è nostro re e ci invita alla sua sequela, come ad una impresa. Consideriamo.

1° = Punto – Gesù Cristo re – a) re sommamente legittimo: infatti è nostro re per natura perché nostro Creatore; è nostro re per conquista perché è nostro Redentore. b) re sommamente potente – la sua potenza è infinita, universale cioè si estende su tutti gli uomini, è eterna: i re della terra tramontano in breve tempo, Egli solo sta in eterno: “Regi saeculorum immortali et invisibili ecc. c) re sommamente virtuoso: è sapiente, giusto, prudente, misericordioso – liberale.

2° = Punto – l’Impresa a cui ci invita è a) impresa necessaria, da essa dipende la nostra eterna felicità. b) ardua e laboriosa. c) agevole: ci è agevolata dalla grazia e dagli esempi del Divin Maestro – d) è sicura.

3° = Punto – La nostra risposta – Gli uomini a questa impresa rispondono in maniera diversa e così abbiamo quattro categorie: a) i codardi; b) i volenterosi, che osservano la legge divina c) i magnanimi che seguono anche i consigli evangelici; d) gli zelanti, che consacrano tutte le loro energie alla dilatazione del regno di G. C.

A quale categoria apparterremo?

Istruzione

L’istruzione è stata sull’obbedienza. Dobbiamo ubbidire alla Chiesa che è 1°= Vera Autorità dottrinale – 2°= vera Autorità legislativa.

Il Cristianesimo è morale e culto, laddove il paganesimo è solo culto. Il cristianesimo è primo morale e poi culto, perché la sua morale ci spiega la ragione dei riti e delle cerimonie del suo culto.

18 Ottobre

La Meditazione di questa mattina è stata sulla nascita di Gesù Cristo.

Egli ci insegna l’umiltà, la povertà, il pieno abbandono alla Provvidenza Divina, la pace del cuore.

Ore 9 e un quarto – MEDITAZIONE – La Vocazione Apostolica

1° = P. Si è svolto soltanto il 1° Punto. Così diviso;

a) il principio della vocazione. Essa trae origine dall’infinita misericordia di Dio e dalla sua perfettissima volontà e non dai nostri meriti. Quanti dei nostri compagni, dei nostri amici, quanti forse anche migliori di noi non furono chiamati, e noi invece ricevemmo tale grazia. Dobbiamo spesso per essa ringraziare il Signore e domandargli la grazia della perseveranza. La perseveranza è nell’ordine soprannaturale, quello che è la conservazione nell’ordine fisico e naturale = gli esseri creati devono essere conservati da Dio per non ricadere nel nulla: la vocazione deve essere egualmente conservata da Dio, se non vuole andare perduta. La vocazione si può perdere, la perdono non solo i preti apostati, che hanno deposto l’abito, hanno rinnegato la fede ecc. ma anche quei preti che salvano le apparenze conservano l’abito, forse anche la stima di molti dei superiori e intanto vivono in peccato, e segretamente sono di rovina a molte anime, celebrano sacrilegamente. Una delle cause della perdita della vocazione suol essere l’insegnamento. Quando si insegna a fin di lucro, senza retta intenzione, si acquista un fare secolaresco e si finisce per perdere la vocazione. Così è stato di molti preti datisi all’insegnamento governativo.

b) Soggetto della vocazione – sono poveri e rozzi peccatori, non hanno istruzione, non hanno virtù, qualcuno di essi era persecutore come S. Paolo, non hanno coraggio e fuggono tutti quando Gesù è catturato. Ciò ci deve animare, se corrisponderemo alla grazia della vocazione e confideremo in Dio solo, Egli ci renderà strumenti per opere mirabili della sua grazia.-

c) Corrispondenza alla vocazione – Gli apostoli corrisposero – a) con generosità lasciarono tutto: reliquimus omnia dice S. Pietro: rinunziarono non solo le poche cose che possedevano ma la concupiscenza di possedere – b) con prontezza non frapposero indugio = distacco dai parenti – c) con disinteresse andarono incontro alla morte e al martirio e invece molti sacerdoti vanno in cerca di onori e di dignità ecclesiastiche.

In principio dichiarare il valore della parola vocazione, parola affatto spirituale e ascetica, che vale chiamata divina e che oggi è tanto usata nel linguaggio profano per denotare una semplice inclinazione naturale, onde si dice la vocazione per la pittura, la musica ecc.

Gli altri due punti sono stati accennati soltanto: 2°= Virtù della Vita Apostolica: deve essere solida come il sale; evidente come la luce; elevata e sublime come una città posta sul monte.

3° = P. Ricompensa della vita Apostolica – Sedere con G. C. a giudicare le 12 Tribù d’Israele – il centuplo su questa terra e la vita eterna nell’altra.

La Predicazione

Altissimo onore è per il sacerdote essere da Dio destinato a banditore della divina parola.

Oggi la Predicazione suol essere difettosa per tre capi:

1°= Abuso di Apologia – malamente si vorrebbe affatto bandita dalla predicazione l’Apologia: essa, fatta bene, è utile ed anche necessaria: Abbiamo l’apologia nel Segneri; nel Bossuet eppure essi predicavano ad un uditorio saturo di fede, molto più quindi il retto uso di essa è necessario ai giorni nostri in cui si predica ad un uditorio, d’ordinario saturo d’incredulità.

Oggi però si abusa dell’Apologia – a) si fanno prediche apologetiche a un uditorio che non ne ha bisogno e che spesso non sta al caso di comprenderle. Non si sa se più compatire il pubblico che non comprende o il predicatore che non comprende di non essere compreso ecc. – b) in un corso di predicazione si concede tutto all’apologia e niente alle prediche morali: bisogna invece saper contemperare l’una cosa e l’altra insieme: bisogna esporre la teorica e la pratica; e la morale trova la sua ragione nell’apologia . – c) l’apologia spesso non è fatta a dovere e quindi nuoce anzichè giovare.

2°= Leggerezza – a) Scelta degli argomenti, spesso poco sacri e che non è prudente si trattino: “l’amor di patria”; talvolta frivoli come “la donna”, “la donna napoletana modello delle donne”. – b) degli argomenti sacri si scelgono solo quelli che riescono graditi – non si parla mai delle verità eterne che scuotono, delle mortificazione – dell’umiltà, dell’abnegazione cristiana – c) si concede tutto agli accessori, che hanno per fine rendere piacevole la predica, e niente alla sostanza, invece omne tulit punctum qui miscuit – d) con gran leggerezza si citano confondendoli insieme autori sacri e profani e si trascura le citazioni della Scrittura e dei Padri che sono le fonti precipue dell’eloquenza sacra.

3° = Modernismo – Non già che si predicano dal pulpito gli errori condannati, ma si adoperano frasi ed espressioni che carezzano e secondano coloro che li professano e riescono poco chiare ai fedeli. Le tre persone della S. S. Trinità si dicono i tre aspetti della divinità – si dimostra l’esistenza di Dio, dicendo soltanto che è un’intima aspirazione della coscienza umana. La divinità di G. C. si annunzia dicendo che Egli fu un gran personaggio ancor più di Socrate, Platone ecc. il quale sentì, riconobbe in sè il divino. Insomma si cerca di naturalizzare e spogliare d’ogni veste soprannaturale le verità e i misteri della fede. Si ha paura del soprannaturale.

Quando capita un predicatore siffatto bisogna avvertire i superiori, né questo è fare la spia, né molto meno è mancanza di carità. Quando il lupo entra nel gregge, il pastore deve esercitare la sua carità verso le pecorelle e non già verso il lupo, che gliele divora.

Meditazione della sera

Lezione di Gesù agli Apostoli ed ai figli di Zebedeo. (S. Matteo cap. 20).

Gesù forma gli Apostoli come lo scultore.

I – Domanda dei figli di Zebedeo – è una domanda a) senza rassegnazione, b) senza il vero concetto dello Spirito di Gesù, attenendosi alla predizione della sua gloria e non dei suoi patimenti – c) ambiziosa – d) fondata su di una malintesa solidarietà.

II – Risposta di Gesù – e una risposta a) di prudente riserbo – b) di rigoroso rifiuto.

III – Fa una predica agli apostoli insegnando loro a non voler primeggiare ma essere umili e farsi servi degli altri.

Per vivere la vita degli Angeli bisogna nutrirsi del pane degli Angeli.

– Esortazione di chiusa –

Dobbiamo uscire dagli esercizi 1°=Contenti di Dio – 2°= Scontenti di noi stessi – 3°=Solleciti dell’avvenire – fine degli Esercizi è riparare al male della vita passata e ordinare la nostra vita avvenire. Alla vita passata già abbiamo riparato con una buona confessione, dobbiamo ora provvedere con ogni cura a menare una vita santa per l’avvenire, questa è la cosa più ardua. Dobbiamo uscire dagli esercizi come chi passa da un ambiente caldo in un ambiente assai freddo = egli si cautela, i nostri mezzi di cautela siano la meditazione, gli esami, le buone letture, la fuga delle occasioni. Noi siamo come quei monaci rimproverati da S. Bernardo, i quali uscivano dal loro ritiro, quasi cani, per lungo tempo tenuti legati e poi messi in libertà, i quali corrono e si sguinzagliano per ogni luogo – Amiamo assai la Madonna.

Appunti di predica su vari temi

Appunti di predica su vari temi

Predicazione A (pagg. 70 – 72) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 7.
* Foglio autografo del S. D., piegato in due, scritto su tre facciate.
Appunti di predica sui seguenti temi: Il Tempio cattolico. – La Confessione.- Il Tabernacolo.- S. Francesco (Eboli – giovedì 24 ottobre 1912).

Appunti di predica sui seguenti temi:
Il Tempio cattolico. – La Confessione.- Il Tabernacolo.- S. Francesco

I. M. I.

Eboli – Giovedì 24 – X – 1912

Il Tempio Cattolico

L’Esultanza dei vostri cuori in quest’ora è conseguenza necessaria della coscienza d’aver compiuto un’opera buona. Esulta la natura e il suo esultare adombra l’esultanza della Celeste Gerusalemme, è in qualche modo indice dell’esultanza dei primi fondatori di questo convento.

Il tempio cattolico compie una missione redentrice a riguardo dell’individuo, della famiglia, e della società civile. L’eco di questa festa riempie di conforto l’animo mio sacerdotale, cui giunge ‘eco sinistra di convegni tenuti in nome della libertà, in cui non si mancò di insultare alla nostra fede. Esso mi dice che malgrado tutto e contro tutti i nemici del nome cristiano, Gesù Cristo, nostro Dio e nostro re; Gesù Cristo il mite Signore dei nostri altari e dei nostri tabernacoli…, vive e regna attraverso… e che al di sopra di tutte le ragioni del tempo Egli sta in eterno, trionfatore eterno.

I – Missione redentrice dell’individuo – Il Battesimo . la prima Comunione e i voti battesimali. L’esempio dei santi = esempi di fortezza – esempi di purezza – esempi di abnegazione – esempi di carità = Purificazione dell’amore – Conforto nel dolore = il Tasso . La madre di Corradino = lady Herbert. La redenzione alla colpa = S. Agostino – S Andrea. La luce nelle tenebre = il Manzoni.

La famiglia = gli sposi a piè dell’altare = è nella chiesa che si apprende la santità del talamo nuziale. Che i genitori comprendono la sublime missione che viene loro affidata a riguardo dei loro figliuoli. Che i figliuoli apprendono a riverire nei genitori la persona stessa di Dio = S Giovanni di Chantal.

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Non cambierei con le più raffinate civiltà di Grecia e di Roma la civiltà cristiana.

Il tempio cattolico 1° faro della civiltà in mezzo alle lande ancor barbare. Le prime chiese benedettine. Il primo altare nella terra del fuoco.

Faro d’istruzione – per dare una scienza che eleva sino a Dio – le prime università.

Fuoco di carità – D. Bosco, il Cottolengo.

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Questa missione non si compie più per la colpa nostra. Missione redentrice a nostro riguardo delle nostre famiglie.

La chiesa è la casa di Dio, veniamo ad ascoltar questa voce.

Per ascoltarla – deponiamo i nostri calzari, deponiamo il peccato.

Amiamo la nostra fede o la benedizione della Chiesa d’oggi ne è un nuovo trionfo.

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La Confessione

La confessione (secondo alcuni) è tirannia delle coscienze, negazione dell’umana dignità. Essa invece non ripugna alla ragione né alla natura umana.

Il confessore è consigliere, medico, consolatore, amico, censore.

La confessione ritrae moltissimi dal peccare, offre un grande conforto a quelli che sono caduti.

Un confessore prudente e pio è un grande istrumento per la salvezza delle anime.

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Il Tabernacolo

E’ luce che illumina.

E’ fuoco che riscalda.

E’ banchetto di vita.

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S. Francesco

Christus confixus sum Cruci ut omnia Christo lucrifaciam -.

Il distacco e la povertà – l’umiliazione – la carità.

Nella sua giovinezza abbiamo in germe queste tre cose =

La fedeltà alla grazia nelle piccole cose ci dispone a compiere cose più grandi.

Il distacco dai beni e dal danaro: il distacco dagli affetti di questo mondo, il distacco totale dalle ricchezze, la rinunzia alla presenza del vescovo, il distacco dalla stima e dagli onori.

L’immolazione.

Schema di meditazione per l’ultimo giorno di Esercizi al Clero

Schema di meditazione per l’ultimo giorno di Esercizi al Clero

Scatola VIII (pag. 198) – Archivio della Curia Diocesana di Troia, Scatola: VIII – Scritti inediti, Conferenze, prediche, discorsi.
*Foglio volante, autografo del S.D., scritto su una sola facciata.
Schema di meditazione per l’ultimo giorno di Esercizi al Clero.
(Eboli 12 dicembre 1913).

Eboli – 12 Dicembre 1913 Esercizi al Clero –

Ultimo giorno

Teoria e pratica – non basta credere, bisogna vivere secondo la Fede.

Messa = attenzione alle parole.

Recita del divino ufficio = recitarlo nel luogo più opportuno

– avere una stima altissima di queste due cose – Lamnais

Aiuti per queste due cose 1°= la confessione – considerarla come strumento di santificazione – S. Francesco di Sales – Lacordaire – S. Leonardo da Porto Maurizio.

La meditazione – riflessione – come farla – frutto – i secolari l’hanno tenuta in istima = Contardo Ferrini.

La lettura spirituale – sua necessità – come farla.

Spirito di mortificazione e di sacrificio – buon uso del tempo.

Spirito di umiltà.

Schema di Panegirico su San Francesco di Sales

Schema di Panegirico su San Francesco di Sales

Predicazione A (pagg. 73-74) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 8.
* Foglietto autografo del S. D., scritto su due facciate.
Schema di Panegirico su S. Francesco di Sales ( presso le Suore Salesiane di Salerno).
(29 gennaio 1914 – Salerno).

Schema di Panegirico su San Francesco di Sales,
presso le Suore Salesiane di Salerno: 29 Gennaio 1914.

Dilectus Deo et homnibus, cuius memoria in benedictione erit.

Dilectus Deo.

1°= Propter puritatem- Qui diligit cordis munditiam propter gratiam habebit amicum Regem.

Puritas morum – coniuncta cum poenitentia .

Puritas conscientiae

Puritas intentionum.

Puritas affectuum

In aliis puritatis amorem suo aspectu alebat.

2°= Propter humilitatem – Humilibus autem dat gratiam.

Dulcedo et humilitas sunt pietatis fundamentum: et qui veraciter humilis est, nunquam credere potest se in aliqua iniuram pati.

In omnes reverentiam habebat – omnes imaginem Dei prae se ferunt.

De se humillime sentiebat.

Humilitas fundamentum ordinis visitationis.

A dignitatibus aborruit.

3°= Propter caritatem – Erga Deum – Ego diligentes me diligo –

Amor complacentiae-

Amor conformitatis. Deus vult et ego volo.

Zelus gloriae Dei – Defensor fidei, apostolus infaticabilis, pater animarum.

Doctor amoris –

Erga proximum.

Omnia omnibus factus est unde dilectus fuit hominibus.

Propter sapientiam – Sapiens in verbis se amabile facit.

Propter mansuetudinem – Mansuetis dat gratiam.

Propter dulcem loquelam – Verbum dulce multiplicat amicos.

Cuius memoria in beneditione erit.

Apud Deum, qui eum glorificat dono miraculorum, et erit sepulcrum eius gloriosum.

Apud homines, qui nomini eius indesinenter benedicunt.

Schemi di prediche sulla Passione di Gesù Cristo

Schemi di prediche sulla Passione di Gesù Cristo

Prediche – b) (pag. 1) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Minuta autografa del S.D., scritta su un piccolo foglio avanti e dietro.
Schemi di prediche sulla Passione di Gesù Cristo (Badia di Cava – 31 Marzo – 1° Aprile 1914).

Schemi di prediche sulla Passione di Gesù Cristo.
(Badia di Cava – 31 Marzo – 1 Aprile 1914)

Sera del 31 – martedì di Passione.

Santificare questo giorni meditando la passione di G. Cristo. Da essa apprenderemo 1° a combattere il nostro spirito di orgoglio; 2° a debellare il nostro spirito di sensualità; 3° ad amare d’un amore vero ed operoso N.S.G.

Mattina del 1° Aprile 1914.

Gesù Cristo nella sua passione c’insegna 1° a dover continuamente a combattere e a vincere noi stessi: a porre sempre in atto l’age contra di S. Ignazio; 2° ad attingere nella preghiera la forza che ci è necessaria per questa costante abnegazione di noi stessi. Spirito di abnegazione ottenuto mediante lo spirito di orazione.

Pomeriggio del 1° Aprile 1914.

Noi non ameremo mai veramente G.C. se non saremo umili: la fiamma dell’amor divina si appiglia soltanto ai cuori sinceramente umili. L’umiltà è la base e il fondamento della perfezione: senza umiltà non vi è vera santità.

Gesù prostrato al suolo prega…1° grado: dobbiamo riconoscere il nostro nulla: riconoscere che tutto abbiamo da Dio, e che senza l’aiuto divino cadremmo nei gravi eccessi. Non cercare la stima: essa non ci è dovuta. 2° Gesù è gravato dei peccati di tutto il genere umano… non dimentichiamo mai che siamo peccatori. Amiamo i disprezzi e le umiliazioni meritati e immeritati, Jesus autem tacebat. Amiamo coloro che sono strumento delle nostre umiliazioni. Riteniamoci peccatori e riveliamoci tali al confessionale. Tristi effetti della superbia.

Prima predica delle S.S. Quarantore

Prima predica delle S.S. Quarantore

Predicazione A (pagg. 85 – 87) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 10.
* Foglio autografo del S. D., piegato in due, scritto su 4 facciate.
Prima predica delle SS. Quarant’ore tenuto dal S. D. alla Madonna delle Grazie (Salerno) sulla S. Eucarestia e la Sua influenza nel corso dei secoli.
(28 giugno 1915 Salerno).

Prima predica delle S.S. Quarantore
fatte alla Madonna delle Grazie (a Salerno).

28 Giugno 1915

Nonostante l’indifferenza religiosa da per tutto ormai dominante, una virtù grande e potente come per incanto si sprigiona dal Sacro Tabernacolo per la quale la S. Eucarestia diviene il centro a cui converge l’amore del cuore dei credenti. Essa passa applaudita e venerata in mezzo alle popolazioni… e cresce intorno alla Sacra Mensa la folla dei credenti famelici di questo pane di vita.

La ragione intima di questo quasi miracolo è Gesù Cristo stesso vivo e vero presente sotto i veli eucaristici. Egli vuole assolutamente far sentire al secolo ribelle che è Re; e che malgrado tutte le opposizioni fatte in nome di ciò che costituisce la grandezza e la forza del mondo moderno, Egli, re pacifico e mansueto ha la forza di conquidere i cuori degli uomini e regnare su di essi, ed ottenere il rispetto dovuto ai suoi diritti sovrani.

Gesù dalla S. Eucarestia regna sui cuori. Trascorrerò fugacemente le precipue vicende gloriosissime di questo regno lungo i secoli della Chiesa, perché la fede in Gesù vere realiter ac substantialiter presente in questo sacramento s’affermi in voi e con la Fede si raffermi ancora la riverenza e l’amore.

L’Eucarestia è una fonte sempre attiva di luce alla quale noi andiamo per illuminarci nelle nostre tenebre: una voce arcana ci dice: “Egli è là nel S. Tabernacolo” . Accedite ad eum et illuminamini.

Da quell’ostia egli c’invita: Venite ad me omnes etc. noi crediamo per fede … praestet fides etc.

Si, Tu scendi ancor dal Cielo

Si, Tu vivi ancora fra noi.

La santa Eucarestia esercita la sua influenza non solo sulla vita individuale, ma anche sulla vita sociale e collettiva.

Gesù Cristo è re. Rex regum et Dominus DominantiumRex sum ego. Ed Egli conserva nella S. Eucarestia i suoi dritti di monarca.

Gesù Cristo re del popolo cristiano durante i tre secoli delle persecuzioni. Nolite timere pusillus grex quia complacuit patri vestro dare vobis regnum.

Nell’era antica i templi e le basiliche s’innalzano a Gesù Redentore. I pontefici e i re si fanno precedere dalla S. Eucarestia. Stefano II 735. Christo praevio captum prosequutus est iter.

Così nell’816 Stefano IV. Così S. Gregorio VII così Urbano II proclamatori della Crociata – e così fino a Benedetto XIII.

Pio II designando di salpare da Ancona a capo della flotta che doveva respingere la incalzante potenza ottomana, scrisse nei suoi commentarii ecc.

S. Luigi re di Francia……

Clodoveo che raduna i Franchi nella pianura di Tolbiac…” Viva il Cristo che ama i Franchi. Che il Signore Gesù Cristo diriga nella via della pietà i regni e coloro che li governano!”.

La coronazione di Carlo Magno.

Il Barbarossa a Venezia.

Isabella trionfatrice dei mori in Granata: Cristo regna – la bandiera s’inchina innanzi al Sacramento e il Sacramento passa sulla bandiera nazionale.

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Nell’età moderna il laicismo impera. Non vogliamo nelle cose pubbliche il regno di G. C. Nolumus hunc regnare super nos.

La società la si vuole separata assolutamente da ogni fede religiosa. Il dritto pubblico dei popoli progrediti non può essere se non il laicismo: e il dritto della forza, per chi si sia sostituito alla forza del dritto.

Ma Gesù non si contenta delle condizioni fattegli dall’incredulità moderna. Rex sum ego.

Le processioni eucaristiche nel sec. XIII, con l’istituzione della festa del Corpus Domini. Le Sante Quarantore.

Gli istituti religiosi.

Facciamo che Gesù Cristo regni su di noi.

Predica durante Ora di Adorazione

Predica durante Ora di Adorazione

Predicazione A (pagg. 88 – 93) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 11.
*N. 6 facciate di scritto autografo del S. D.
Predica durante Ora di adorazione nel Duomo di Salerno.
(2 luglio 1915 Salerno).

Predica durante Ora di Adorazione
nel Duomo di Salerno – 2 Luglio 1915

Mentre un soffio purificatore di ansie, di timori e di speranze passa sulle nostre anime noi ubbidienti alla voce del nostro pastore, fattasi eco della voce del Pastore Sommo, il Romano Pontefice, ci siamo qui raccolti nella preghiera ed essa incessante e concorde è ascesa in questo giorno dai nostri cuori al trono di Dio: fu incessante la preghiera ecc.

Colui che vive mondanamente, indifferente ad ogni alito di vita soprannaturale, così come colui che dice di non credere, o peggio ancora che è avvezzo in segreti conciliabili a giurare, come già l’antica sinagoga, odio ed esterminio a Gesù Cristo e ai suoi seguaci, deriderà tutto questo. Per essi la preghiera non ha alcun valore: le loro menti che volontariamente si chiusero alla luce del vero non possono comprendere né le sue sublimi elevazioni né la sua divina efficacia: essi…

Eppure niente di veramente grande si compie che non sia ispirato e preparato dalla preghiera.

Gesù Cristo si prepara alla sua divina missione nel mondo pregando e vegliando le intere notti in orazione.

E’ necessario pregare sempre, Egli ripete ai suoi discepoli; nell’orazione vuole che si preparino a ricevere lo Spirito Santo.

E la Chiesa fedele interprete degli insegnamenti di Gesù Cristo suo Sposo Divino dalla preghiera incessantemente trae alimento e vita. La preghiera è la sua forza interiore, la preghiera il suo conforto nell’ora del cimento, la preghiera il segreto delle sue vittorie. Dopo tre secoli di lotta cruenta essa esce vincitrice dalle catacombe: e il suo trionfo è frutto delle preghiere dei suoi figli; avvalorate dal loro martirio.

Forte dell’usbergo della preghiera S. Leone Magno muove incontro ad Attila e libera la patria nostra dal flagello di Dio.

Qui tra le mura di questo tempio, consacrato dalle sue stesse mani, S. Gregorio VII attinge conforto nella preghiera, e con la preghiera e col suo lungo incruento martirio rivendica alla Chiesa i suoi dritti e la sua libertà più sacrosanti – e vuole l’Italia nostra libera dal giogo straniero.

Nella preghiera i nostri padri trovarono conforto ed aiuto nell’ora della prova, e le volte del nostro massimo tempio risonarono sempre e delle loro supplici voci e dei loro inni di ringraziamento nelle ore tristi come nelle ore liete della nostra Salerno.

Or sono otto giorni e l’eco festante della campana del nostro duomo qui chiamava il popolo: la liturgia della nostra chiesa Salernitana ricordava con santa esultanza uno dei più memorandi trionfi della preghiera del nostro popolo.

Nel secolo XVI quando ristette minacciosa nelle acque del nostro golfo la squadra dell’immane pirato Adriano ed ogni speranza di salvezza fu preclusa per Salerno ed Amalfi le due gemme del nostro golfo, il popolo nostro, pieno di fede, fece ricorso all’arma divina della preghiera. Con a capo il suo Arcivescovo ed il suo clero innalzò al cielo la sua voce, e il nemico fu disperso e Salerno fu salva. Ed oggi dopo quattro secoli, la liturgia della nostra chiesa salernitana ricorda l’evento memorando, e l’eco festante della campana del nostro duomo ricorda ai figli della Salerno di oggi la virtù e la fede della Salerno dei secoli andati.

Né un tal ricordo è sterile ed infecondo perché quello che oggi qui si è compiuto, quello che in questo momento vi si compie con quest’ora solenne di adorazione, fatta insieme e dal clero e dal popolo, ci dice che i figli della Salerno di oggi sono degni continuatori delle tradizioni avite.

Il fuoco desolatore della guerra s’è appigliato anche alla patria nostra, chiamata anch’essa alla prova, e mentre i nostri fratelli si battono sul campo del dovere, mentre non ancora sul fosco cielo di Europa spunta l’iride della pace, il popolo di Salerno qui prostrato ai piedi di G. Cristo ristà nella preghiera.

Sorrida pure l’incredulo ma nella preghiera il popolo d’Italia si preparò sempre a scrivere le pagine più belle della sua storia.

Ascenda adunque dai nostri cuori al trono di Gesù la nostra preghiera, ascenda fervida e ricca di fede e come in altra ora dal petto dei figli d’Italia, tra le mura de la badia di Pontida ascese al suo trono.

E la nostra preghiera sia prima d’ogni altro adorazione: adorazione solenne a Gesù nostro Dio e nostro Redentore, qui realmente presente nel Santissimo Sacramento. Adoremus in aeternum etc. La società civile è convulsa e si dibatte indarno in cerca di pace, perché si è allontanata da Lui, ha creduto di poter far senza di Lui. Deh! che torni, torni, Gesù in mezzo ad essa, vi stabilisca ancora una volta il suo regno e tutte le generazioni presenti si sentiranno ricostituite nella prosperità e nell’amore. Affrettiamo, affrettiamo l’ora avventurata con la nostra preghiera, con la nostra adorazione = Adoremus in aeternum etc.

O Gesù ostia santa di salute, che a noi dischiudi le porte della vera vita. O salutaris ostia etc.

Ecco che da ogni parte le forze avverse tentano di strapparci a te, deh tu ne infondi forza, tu ne appresti aiuto – Da robur, per auxilium. In te e per te la patria nostra compia quella missione che tu le affidi a compiere nei secoli.

Riparazione e Propiziazione

Ma perché la nostra preghiera ascenda sino al trono di Dio e sia esaudita è necessario che parta da un cuore puro. E per ciò in questo secondo punto della nostra adorazione occorre che noi insistiamo per eccitare nel nostro cuore sentimenti di umiltà e di pentimento.

Sentimenti di umiltà. Qui ai piedi di Gesù Cristo dobbiamo riconoscere che siamo tutti peccatori e tutti avemmo la nostra parte nella provocazione dei flagelli dell’ira divina. Dobbiamo in questo momento ai piedi di lui ripetere con vero sentimento di umiltà “Omnes nos erravimus” tutti noi, o Signore abbiamo errato; e concependo vero dolore e propositi serii di vita nuova, dobbiamo ancora pieni di fiducia ripetergli “Sed pasce confitentibus”.

Il Regnante Pontefice ci addita nello spirito di ambizione e di orgoglio, nello spirito di egoismo, nella sensualità e nel piacere nella cupidigia dei beni della terra, la radice di tutti i mali che affliggono la società moderna e provocano l’ira divina.

Esaminiamo qui ai piedi di Gesù, verità eterna, quanta parte avemmo anche noi individualmente a questi mali.

Anche noi forse sacrificammo nel segreto del nostro cuore alle nostre passioni e fummo figli della carne anziché essere figli dello spirito. Anche noi dominati dall’egoismo, anteponemmo i nostri materiali interessi ad ogni altra cosa, ed essi divennero l’unica norma del nostro vivere e del nostro operare. Anche noi forse dominati dall’orgoglio e dall’ambizione lavorammo per la nostra terrena esaltazione e ad essa subordinammo gli interessi sacrosanti del trionfo della causa del bene. E’ scoppiata la guerra ed essa sembra quasi fuoco purificatore mandato da Dio a mondarci da tanta miseria. Erompa, erompa dal nostro cuore il grido: “Peccavi, Domine, miserere mei”.

Ma esso non sia una sterile espressione, ma porti il proposito fermo e generoso d’una vita nuova. Se sino ad oggi sacrificammo al piacere, da oggi innanzi crucifiggeremo in noi la nostra carne, con le sue concupiscenze = immoleremo, toglieremo, sacrificheremo tutto perché sia pura la nostra anima, puro il nostro cuore con gli affetti suoi, puro il nostro corpo coi suoi sentimenti. Se fino ad oggi i beni della terra ci sedussero e l’avidità e l’egoismo fu la norma del nostro operare, da oggi innanzi noi non vivremo che di carità e di amore. Se fummo dominati dall’ambizione e dall’orgoglio da oggi innanzi seguiremo Gesù per la via dell’umiltà, abbracciati alla sacra croce.

Panegirico sulla Madonna

Panegirico sulla Madonna

Predicazione A (pagg. 94 -104) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 12.
*N. 3 fogli, piegati in due, autografi del S. D., scritti su 12 facciate.
Panegirico sula Madonna. Il Ven. le, in una predica ardente e piena di unzione, parla della Vergine Maria, come Regina, Madre e Maestra
(30 agosto 1917 – Santuario di Montevergine).

Panegirico sulla Madonna
Santuario di Montevergine
– 30 Agosto 1917 – giovedì

Oculi eius in pauperem respiciunt et palpebrae eius interrogant filios hominum[1].

Gli accenti di queste parole ancor risuonano per le volte del sacro tempio, ancora echeggiano sotto le sue arcate le mistiche note del canto, che raffigurando il canto degli angeli, le ha ripetute ai fedeli. E noi, noi che mai come in quest’ora angosciosa che la società civile attraversa, noi che mai come in questo momento constatammo la dolorosa realtà della nostra miseria per esserci allontanati da Dio, noi che ci sentiamo quasi sgomenti ed affranti alla vista della indigenza del nostro spirito, della desolante realtà delle anime nostre, al cospetto di Lui, che è l’infinito, noi mai come in quest’ora sentiamo di comprenderne tutto l’arcano significato.

Oculi eius in pauperem respiciunt, han ripetuto le note armoniose dell’organo, il canto dei sacri ministri, e noi poveri per tante nostre intime desolanti miserie noi poveri per tante prove, per tante angustie che d’ogni parte ci costringono, abbiamo levato in alto il nostro sguardo, in alto, in alto verso l’immagine di Maria di questo sacro monte testimone della gloria e della misericordia di Maria in cui sono riposte le nostre speranze, di Maria, da cui con sicurezza aspettiamo l’aiuto, il conforto celeste: levavi oculos meos in montes unde veniet auxilium mihi.

Prostrati ai piedi del suo altare, dopo l’ascesa faticosa del monte, abbiam levato in alto il nostro sguardo verso l’immagine di Lei, verso quell’immagine su cui da nove secoli si posa ansioso, molle di pianto l’occhio di miglia(ia) e miglia(ia) di fedeli venuti da lontano a cercar conforto ed aiuto da Lei, celeste depositaria e dispensiera delle grazie e dei favori divini. Ed oh! Come ci è apparsa bella l’immagine della Madonna nella sua soave maestà: pare ci ridica come in compendio tutta la sua storia sopra di questo sacro monte, storia che è un raggio, un vivido riflesso di quello che Maria è stata, è, e sarà, attraverso i secoli per ciascun anima fedele, e per la Chiesa; sposa immacolata del suo Gesù. Abbiamo levato in alto il nostro sguardo verso l’immagine di Lei, e la maestà del suo sembiante e del suo portamento, l’aureo trono su cui si asside, la corona reale e le gemme che ricingono la sua fronte, gli angeli prostrati a Lei d’intorno in preghiera ce la predicano regina, regina potentissima del cielo e della terra. La dolcezza soave che spira da l’insieme della sua figura, la confidenza che ispira il suo sguardo, nonostante la sua gravità, l’amabilità a cui è improntato il suo sembiante, gl’innumerevoli attestati di riconoscenza che ricoprono le pareti della sua cappella, eloquentemente ce la predicano madre, e madre dolcissima, che in noi fa rifluire con sovrabbondanza la vita soprannaturale della grazia, quella vita che Gesù ci ha ridonato a prezzo del suo sangue, madre oltre ogni dire sollecita del bene di noi, suoi figli di adozione. Il santo Bambino in fine che tiene sulle sue ginocchia e che Essa ci addita, ce la rivela maestra, maestra di verità, di quelle eterne verità che il suo Gesù, il Verbo Eterno, la Sapienza Incarnata, è venuto ad insegnarci, maestra di santità e di perfezione, di quella perfezione altissima che Gesù c’insegna nel suo Vangelo. Regina, Madre e maestra sono i titoli con cui la Chiesa di continuo ci fa invocare Maria, Regina, mater et magistra.

Regina e madre e maestra essa ci si rivela nella sua immagine, in questo suo santuario, nella vita e nella storia di esso. Regina madre e maestra Essa vuol essere a riguardo delle anime nostre, e noi da oggi dovremo esserle sudditi devoti e fedeli, figliuoli teneri e affettuosi, discepoli solenti e diligenti.

Maria è Regina. Madre vera del Verbo Eterno fatto carne, di Gesù il Re dei Re il signore dei dominanti, eterno sovrano dei secoli, è vera e propria regina, regina del cielo e della terra. E regina potentissima la sua potenza non ha limiti, perché è potente della potenza stessa di Dio: essa è l’Onnipotente per grazia, per grazia e per volere di Dio stesso, l’onnipotente per natura. Regina la cui ricchezza e la cui dovizia è inesauribile, perché l’Autore d’ogni bene ha deposto nelle sue mani tutti i tesori delle sue grazie, e Maria le dispensa, al dir di San Bernardo, a chi vuole, quando e come e nella misura che vuole. Regina fortissima ed invitta, al cui nome tremano per terrore gli abissi, terribile a tutto l’inferno più che esercito schierato a battaglia = terribilis ut castrorum acies ordinata. E la sua potenza essa spiega in difesa di ciascun anima in particolare, in difesa della Chiesa ovunque in ogni età, della sua potenza di Regina ci parla la storia del suo culto su questo monte.

Nella storia intima d’ogni anima che trionfa dei suoi nemici interni ed esterni, che sicura s’avanza in mezzo alle tenebre e alle ombre di morte che si addensano lungo il cammino della vita presente, voi troverete sempre Maria strumento sicuro di difesa e di vittoria.

Ogni lotta ed ogni trionfo della Chiesa si ricollega a Maria. Dagli antri silenziosi delle catacombe dopo tre secoli di lotte cruente la Chiesa esce vincitrice: e le rosse immagini della Vergine che rinveniamo dipinte sulle pareti di quegli oscuri meandri ci dicono quanta parte ebbe Maria in quelle sue prime vittorie. Quei rossi affreschi ci dicono come Maria abbia ispirato ai martiri la fortezza che conquise la potenza degli imperatori di Roma, e abbia guidato al trionfo le schiere gloriose delle vergini. Quanta parte ebbe Maria nel cuore di San Benedetto eletto dalla Provvidenza Divina ad essere in occidente per mezzo dei suoi monaci il debellatore degli ultimi avanzi del paganesimo, l’apostolo e il civilizzatore dei barbari che sedevano nelle tenebre del gentilesimo. S. Mauro e S. Placido, S. Gregorio Magno e S. Agostino apostolo degli Angli, S. Patrizio e S. Bonifacio – posero tutti Maria, ebbero tutti Maria nel cuore, la portarono tutti come segnacolo di vittoria sul loro braccio, “pone me ut siganculum super cor tuum, ut signaculum super brachium tuum”. E come segnacolo novello di vittoria, lungo l’ascesa faticosa di questo monte portò un giorno l’immagine di Maria Guglielmo da Vercelli, e Iddio qui volle ergere un nuovo trono a Colei, che la Chiesa da un capo all’altro dell’orbe saluta regina. [E il suo trono è reso bello non tanto da l’oro e dalle gemme, ma dalla natura stessa che con il suo incanto e con la sua poesia qui in maniera assai eloquente ci parla della bellezza infinita del Creatore e di Colei nella quale Egli ha voluto adunata ogni bellezza creata].

Erano quelli; tempi dolorosi in cui l’inferno aveva mosso contro la Chiesa la più terribile lotta, la Chiesa era ristorata dalla prova durissima dei santi dell’età ferrea del papato con la serie dei santi…: le ardue battaglie della purificazione dalla simonia e dal concubinato e della rivendicazione della sua libertà si erano iniziate alcuni decenni innanzi con S. Gregorio VII, le proseguivano i suoi santi successori quando S. Guglielmo ristette qui e sugli avanzi del culto pagano, segno novello di vittoria, pone l’immagine di Maria.

E da quel giorno il culto di Maria rese sacra questa vetta, qua vennero pellegrinando gli umili figliuoli del popolo e qui vennero ancora i grandi e potenti del mondo stanchi dalle lotte e affranti dai dolori e dai disinganni e cercarono riposo ai piedi del suo altare, e qui vollero che fossero composti i loro avanzi mortali.

Passarono secoli, le eresie dei tempi nuovi, le rivoluzioni, gli sconvolgimenti dei popoli segnarono per la Chiesa nuove asprissime lotte, ma Essa fu sempre vincitrice con Maria e per Maria. Contro l’eresia Albigese ecco S. Domenico di Guzman che da Maria riceve il rosario, nuovo scudo di difesa, arma nuova di santificazione e di vittoria, e ispiratrice Maria pone il suo ordine di Predicatori a difesa della verità. Più tardi quando Lutero e la sua riforma protestante strapperà alla Chiesa circa mezza Europa: ecco là nel santuario di Monserrato in Ispagna, la Vergine santa che ai piedi del suo altare trasforma l’Ignazio di Loiola capitano del mondo, in capitano invitto di Gesù Cristo che per mezzo dei suoi primi compagni sarà il martello della novella eresia, e che formerà dei suoi figli l’avanguardia gloriosa, che veglierà sempre a difesa della Chiesa. A ristorarla intanto delle perdite sofferte per l’eresia, ecco il più grande dei suoi figli Francesco Saverio, che apre la via delle missioni estere a pro’ degli infedeli, e dal canto della Salve Regina al pensiero dolce soave di M. trae conforto per le sue forze stremate dalle fatiche, impetra grazie di conversione a quei popoli barbari, e converte alla fede oltre un milione e mezzo d’infedeli. A Lepanto e sui campi di Vienna per mezzo del Sobieschi, è sempre vincitrice Maria. Pio VII, liberato dalla prigionia del Bonaparte, nel 1814 fa il suo ingresso trionfale in Roma, e saluta Maria sua liberatrice. E mentre tutto questo si svolge nel mondo e ci rivela Maria regina potentissima posta da Dio a difesa delle anime e della sua Chiesa, qui su questa sacra vetta Maria nel suo santuario per mezzo della sua immagine e del suo culto si afferma regina.

Si trasformano i regni, cadono le dinastie, passa il soffio desolatore delle rivoluzioni e Maria dal suo sacro monte impera regina, il cozzo delle passioni umane, le ire dei governanti, gli sconvolgimenti dei popoli, non riescon ad abbattere il suo sacro ostello, e quasi dimora reale posta da Lei in questa terra di esilio a conforto lei suoi figli esso perdura. Già nel mondo la lotta infuria, e l’eco di essa neppure turba la pace di queste altezze, e i suoi bianchi monaci prescelti a formare la sua corte di onore e mane e sera chiudono la loro salmodia salutandola Regina. Salve Regina, mater misericordiae.

Mater Misericordiae. Maria non solo è Regina ma è ancora madre. Vera Madre di Dio nel cui seno verginale ha preso carne il figliuolo Divino, il Verbo Eterno, è nostra madre di adozione per volere di Lui, che morendo sulla croce a noi la legò per madre. Nell’ordine naturale Dio non ha fatto nulla di più profondo del cuore di una madre: questa potenza senz’armi e senza minacce, ma che è tanto irresistibile che fa piegare ogni ginocchio. Ora egli ha voluto nell’ordine soprannaturale della grazia trasportare le stesse risorse nell’ordine naturale e ha costituito ministro delle sue misericordie una madre e questa madre è Maria. Maria non solo riunisce in sé le qualità delle nostre madri, ma incarna l’ideale materno. Allarghiamo pure le nostre cognizioni, comprendiamo quanto ci è dato concepire con la mente di perfetto e di grande, essa è di gran lunga inferiore alla realtà. In Maria abbiamo un cuore di madre nella più bella intelligenza, nella più nobile natura, nella più squisita sensibilità. Cuore caldo e tenerissimo, buono sino alla debolezza, una debolezza che ci salva. Cuore forte come la morte, più forte della morte, poiché ci strappa alla morte eterna. Cuore che è per noi un rifugio sempre aperto, che è riposo alla nostra stanchezza. Cuore nel quale deponiamo le nostre lagrime, nel quale rinveniamo un balsamo per ogni dolore, il rimedio per ogni male. Cuore potente nel vincere le grandi e lunghe ostinazioni, nell’ispirare i grandi pensieri, nel sostenere attraverso i grandi dolori. Cuore centro del cuore divino e del cuore umano. Cuore che somministra la vita e la continua sino all’eternità.

E madre soprattutto Maria si rivela per le anime in questo suo santuario: undici secoli di storia non fanno che ripeterci le tenerezze materne di Maria a pro dei suoi figli, che da lontane regioni, pellegrinando a piedi, vennero qui a trovare la madre, a confidare alla madre le loro ansie, le loro pene, e che dalla loro madre celeste furono consolati e furono salvati. Maria è madre in fine perché si conciliano l’anima peccatrice con Dio, la fa rinascere alla vita soprannaturale della grazia. Ora chi potrà ridare le schiere innumerevoli di anime morte per il peccato da Lei riconciliate con Dio, ridonate alla vita. Si potrebbe dire che sia questa la missione particolare di Maria in questo suo santuario. Tutto qui ce la predica madre: i canti dei fedeli, le loro lacrime, i loro sospiri, i loro attestati di riconoscenza, ogni sasso, ogni oggetto può dirsi sia qui un monumento delle materne sollecitudini di Maria.

Maria non solo è madre ma ancora maestra. Maestra di verità, maestra di perfezione. Maestra di verità e del Cenacolo ove Essa apparisce maestra e regina degli apostoli attraverso i secoli nella storia della Chiesa, i Padri e i Dottori la salutarono e la venerano come loro maestra. S. Ambrogio e S. Agostino. S. Basilio e S. Gregorio, S. Bernardo e S. Anselmo, S. Tommaso e S. Bonaventura. S. Francesco di Sales e il nostro S. Alfonso ebbero Maria come maestra. E nei loro scritti si fecero un dovere di decantar le sue glorie, di esaltarla al cospetto degli uomini, di additarla come la fonte delle grazie, come la via più facile, più breve e più sicura per ascendere a Dio.

E’ poi maestra di virtù, e questo ufficio essa compie a riguardo di ogni anima, insieme con quello di madre. L’anima che rinasce a la vita della grazia rinviene prima in Maria la madre, la madre che questa vita conserva ed alimenta, e con la madre rinviene le carezze e le tenerezze materne, ritrova quella dolce bontà e quella longanimità che è proprio d’una madre pel suo figliuolo ancor pargoletto. Ma se quell’anima si avanza nella via della perfezione e comincia a divenire adulta, allora gradualmente si accorgerà di avere ancora in Maria la Maestra. Oh, quanto è alto, quanto è sublime il magistero di perfezione che Maria dona all’anima che si avanza nella via della santità: Dio solo, Essa ripete ad ogni passo, Dio solo! Dio solo sino all’immolazione totale del nostro io, sino al distacco completo da ogni cosa creata, da ogni affetto sensibile e terreno. Dio solo e la sua gloria sino al sacrificio intero di ogni veduta terrena ed umana! E l’attenzione di questo programma in quanta e quale mirabile varietà di modi essa insegna. La sua voce di maestra nei primi secoli ascoltarono le sante vergini ed i martiri: più tardi i solitari della Tebaide: qui in Italia S. Benedetto da Norcia, che trasforma in Roma la sua dimora giovanile in una chiesetta sacra a Maria e si ritira ad ascoltare il suo magistero sublime nell’antro solitario di Subiaco. Maria come maestra si ebbero i santi monaci che lungo il medio evo nuovi rami rigogliosi di vita investirono su l’antico trono benedettino, ci basti per tutti S. Bernardo, e S. Roberto e il nostro B. Bernardo Tolomei. Maria come maestra ha nella grotta di Monresa S. Ignazio di Loiola nel dare alle anime l’ammirabile libro dei suoi esercizi spirituali. Maria come maestra il Saverio nel suo apostolato, Maria come maestra S. Vincenzo dei Paoli nell’esecuzione del suo nuovo apostolato di carità. Maria come maestra nell’età nostra il Beato Giuseppe Cottolengo e il Ven. D. Bosco. E qui sulla vetta di Montevergine anche Maria rinveniamo maestra di virtù e di cristiana perfezione. Maestra l’ebbe il fondatore S. Guglielmo, cui volle sacro questo suo primo cenobio, e lungo i secoli che si succedettero, a formare la sua corte d’onore, ad essere ministri delle divine misericordie, essa volle sempre uomini distaccati dal mondo, che della perfezione evangelica avessero fatta la professione della loro vita.

E come è stata gelosa Maria che non risuonasse qui invano la sua voce di maestra: quando le vicende dei tempi e lo spirito del mondo aveva precluso i cuori ad ascoltare il suo magistero di perfezione, Essa stessa volle compiere l’opera della rinnovazione e della purificazione, e non permise mai che nella sua reggia, intorno al suo trono fossero a corteggiarla figli rilassati e tiepidi.

Maria come maestra ai piedi di questo santo altare ha avuto ogni anima che venne qui anelante al bene, desideroso di compiere in tutto i voleri divini.

Oh Madonna di Montevergine quante cose adunque mi rivela il tuo nome benedetto: Sancta Maria Montis Virginis quante cose mi ridice nel giorno della tua festa l’invocazione del tuo santo nome. Regina potentissima ispiri al mio cuore una fiducia fin qui sconosciuta, tu maestra m’infondi una volontà per il bene che fa trasalire la mia fiacchezza, tu, madre m’accendi nel cuore un vero un sentito desiderio di non addolorarti mai più.

Riprenda adunque l’organo le sue note armoniose e ridica a noi tuoi figli la tua bontà = Oculi eius in pauperem respiciunt – canti la tua misericordia infinita – et misericordia eius a progenie in progenies.

Benedici intanto, o madre il Vicario del tuo Gesù qui in terra e compi i voti del suo cuore di padre. Benedici il nostro pastore, e lui che traesti dalle dolcezze della solitudine del tuo Santuario nella bassa gora del mondo a compiere un’ardua missione, guida ora per mano ed assisti nel difficile arringo. Benedici finalmente alla Chiesa, e tu Regina Potentissima, come nei secoli andati umilia a salute i suoi nemici e a Lei prepara nuovi albori nuovi trionfi.

  1. Traduzione in italiano: I suoi occhi sono rivolti al povero, le sue palpebre interrogano i figli degli uomini (Sal 10, 4).

Meditazione sulla processione eucaristica

Meditazione sulla processione eucaristica

Scatola VIII (pagg. 199 – 200) – Archivio della Curia Diocesana di Troia Scatola: VIII – Scritti inediti, Conferenze, prediche, discorsi.
*Foglio volante, autografo a del S.D., scritto avanti e dietro
Meditazione sulla processione eucaristica (Salerno – Corpus Domini – del 1918). Dopo quattro anni la processione eucaristica: Gesù nell’Eucarestia 1° si fa nostro Salvatore; 2° nostro duce ; 3° nostro pastore.

Meditazione sulla processione eucaristica
Salerno – Corpus Domini del 1918

Erano quattro anni che la festa del Corpus Domini così ricca di santa poesia e di salutari emozioni, passava lasciando nell’animo nostro come un vuoto profondo e un desiderio ardente insoddisfatto. Suonavano a festa le nostre campane, risuonavano sotto le volte dei sacri templi l’invito e la letizia santa. Ma non più per le nostre vie parate a festa, attraverso l’ondeggiar dei nostri stendardi dai molti tra i lumi dei cerei, il profumo dell’incenso, il canto dei sacerdoti, sotto la simbolica pioggia dei fiori, non più era passato come in trionfo, Gesù Sacramentato. Le parole della liturgia… loda, o Sion il tuo Salvatore, il tuo duce, il tuo pastore – pareva non ritrovassero più una corrispondenza piena nel popolo dei fedeli. E le ansie, i dolori, le trepidazioni, le angosce, dell’ora dolorosa che l’Europa attraversa, pareva che divenissero più gravi sul cuore di ognuno, pareva che ai cuori cristiani mancasse un argomento migliore di conforto e di speranza, e che sul cielo fatto oscuro, più alcun raggio di luce risplendesse ad annunziare vicino il sereno e prossimo l’apparire del sospirato iride di pace. Ed oggi dopo quattro anni Gesù è riapparso in mezzo a noi.

1°= Gesù nell’Eucarestia si fa nostro Salvatore rinnovando misticamente e perpetuando il Sacrifizio con cui ci redense e ci salvò. Che sarebbe di noi, che sarebbe del mondo senza la S. Messa?

2°= Gesù nell’Eucarestia si fa nostro duce comunicandoci quella forza sovrumana di cui abbiamo bisogno per combattere contro i nemici della nostra anima visibili e invisibili. Di qua i martiri attinsero la loro fortezza di qua le anime caste e vergini la loro purezza e la forza per vincere e debellare la corruzione dell’umana natura, di qua i confessori la costanza nell’operare.

3°=… si fa nostro pastore. Il buon pastore dà il cibo alle sue pecorelle: le nutre e le difende. Egli in questo sacramento dà loro sé stesso in cibo.

Appunti pel panegirico di S. Ignazio di Loiola

Appunti pel panegirico di S. Ignazio di Loiola

Predicazione A (pagg. 105 – 107) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 13.
* Foglio, piegato in due autografo del S. D., scritto su 4 facciate.
Appunti pel panegirico di S. Ignazio di Loyola, fatto nella chiesa dell’Annunziata.
(31 luglio 1918 Salerno).

Appunti pel panegirico di S. Ignazio di Loiola
fatto nella chiesa dell’Annunziata il 31 Luglio 1918

E’ l’anno 1523 e per le vie di Gerusalemme, la città santa che formò il sospiro del cuore della cristianità, ove Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, aveva compiuto il mistero della redenzione, si avanzava un pellegrino… Prega, Piange… bacia il santo sepolcro di Gesù Redentore. Da una parte il santo fascino di quella terra che ebbe impressa in sé le orme dei suoi piedi divini, che risuonò della sua voce, che fu testimone dei suoi miracoli, della sua passione e della morte, come della sua resurrezione e della gloria, da l’altra il bisogno di tante anime incorse nell’errore e nelle tenebre del gentilesimo e della barbaria musulmana lo vince, lo conquide e consuma di santi ardori il suo cuore. Vorrebbe rimanere… Il P. Custode di Terra Santa gli dice di ripartire… S’imbarca a Cipro per Venezia. Attraverso la Lombardia e la Liguria viene a Genova, donde sempre come povero pellegrino salperà per la Spagna. Voi mi domandate chi egli sia: egli è il Santo che voi siete stati chiamati a venerare in questo tempio, in cui gli è consacrato un altare. Egli è uno dei nobili rampolli d’una delle più illustri famiglie di Spagna, allevato nella corte di Madrid, divenuto poi il più valoroso comandante dell’esercito di Filippo II. Egli ?? Quel povero pellegrino?? Sì egli. Ed io mi accingo ad additarvi in Lui, che più tardi vedrete rivestito dell’umile veste nera del sacerdote cattolico, quale vi si mostra nel quadro esposto alla vostra venerazione = il crociato dei tempi nuovi, il capitano valoroso dell’esercito del suo re, trasformato in capitano invitto dell’avanguardia dell’esercito di Cristo. Che come gigante percorrerà il suo cammino che abbellirà delle più gloriose conquiste, affermandosi grande nell’arringo del(la) santità, grande nel campo dell’azione, come in quello del pensiero. E come gli antichi crociati; egli il crociato dei tempi nuovi, avrà anch’egli il suo emblema, e questo emblema sarà il nome di Gesù, avrà anch’egli (il) suo motto che riassumerà tutto il programma ed il fine delle sue conquiste, e questo motto sarà per la maggior parte gloria di Dio = avrà anch’egli la sua arma, ma sarà un’arma non materiale, tutta spirituale, arma di piccolissima mole, ma che farà alla chiesa le più grandi conquiste, e quest’arma sarà il libro dei suoi Esercizi Spirituali.

Nella santità

Il 1521 – Pamplona – Monserrato e il crociato novello, il novello cavaliere di Cristo. La lotta contro l’amore ai piaceri, agli onori, ai beni della terra. Pellegrinaggio in terra santa. Ritorno in patria. Lo studente di 33 anni in Barcellona, in Alcalà, in Salamanca, in Parigi. Umiliazioni in Roma. Profonda umiltà del santo. Insegna il catechismo ai fanciulli. Non vuole accettare il generalato della Compagnia. La tentazione che meno teme. La purezza delle sue intenzioni. La gloria di Dio. La sola gloria di Dio. La maggior gloria di Dio. Ecco un uomo che ha un volto di Paradiso. Nel campo dell’azione. Le prime conquiste, Alcalà e Salamanca. Parigi e i primi compagni, primo germe della sua Compagnia. Le università. Il Concilio di Trento. Il collegio Germanico. Le missioni estere. S. Francesco Saverio. La riforma dei costumi, l’opera della Compagnia attraverso i secoli. Gigante nel campo del pensiero. Il libro degli Esercizi Spirituali. La santità e la vita interiore, fondamento, e condizione necessaria della vita di azione. Le costituzione del suo Ordine.

Sua santa morte. Quam sordet tellus dum coelum intueor.

La gloria del santo. S. Carlo – S. Teresa – S. Francesco di Sales – S. Alfonso – Il dono dei miracoli. L’acqua benedetta. Il santo e i nostri soldati. La lezione che dona a noi tutti.

Appunti per il Panegirico su S. Fortunato

Appunti per il Panegirico su S. Fortunato

Predicazione A (pagg. 108 -109) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 14.
* Foglio autografo del S. D., scritto avanti e dietro.
Appunti per il Panegirico su S. Fortunato
(28 agosto 1919 Salerno)

24. Appunti per il Panegirico su S. Fortunato
28 Agosto 1919

Il Martirio

Nella persecuzione di Diocleziano,… furono catturati e condotti al cospetto di Leonzio proconsole della Puglia che allora per caso trovavasi in Salerno. Con lusinghe e promesse si cercò indurli a rinnegare la Fede, indi con minacce. S Fortunato confessa con coraggio e fortezza la sua fede in Gesù Cristo vero Dio e vero uomo. Sono flagellati – Sono condotti al tempio di Priapo… quivi S Fortunato parla al popolo. Sono decollati. I loro corpi gettati nei campi come pasto degli avvoltoi.

[Tre Angeli sotto sembianze di aquile li custodiscono. Disprezzano gli onori… le ricchezze, la vita – sacrificio completo e generoso]. (Vedi libello Salernitano al 28 Agosto).

La glorificazione e la vittoria

Tre Angeli ecc.

La fede trionfa in Salerno. La casa del presule sul tempio di Pomona. La chiesa dei santi martiri. Notizia del Baronio.[1] La Traslazione delle reliquie (Vedi libello Salernitano al 15 Maggio).

Il patrocinio loro a pro’ di Salerno

La traslazione nel 954 fu curata dall’Arcivescovo Alfano I. La loro tomba fu gloriosa per miracoli. Le loro ossa trasudano un odore soavissimo. Gli indemoniati sono liberati. Gli spiriti infernali fuggono facendo risuonar nell’aria che ridicono la potenza dell’intercessione dei Santi Martiri.

  1. Il grande Baronio nell’anno 874, narra, che mentre alcuni saraceni, che avevano già preso Salerno, profanavano la Chiesa di S. Fortunato, furono uccisi con una gran trave, la quale quantunque stesse molto lontana, tuttavia tanto si rotolò, che giunse fino ad essi, come se fosse stata agitata da una mano invisibile. (Vedi istruzioni al Popolo sopra il Sacramento della Penitenza di Mons. D. Raffaele Lupoli della Crongregazione del S.S. Redentore. Napoli. Tip. Raimondi= presso Gaetano Migliaccio – Largo delle Pigne 60 – a. 1841.).

Appunti per il panegirico di San Francesco d’Assisi

Appunti per il panegirico di San Francesco d’Assisi

25. Predicazione A (pagg. 110 – 111) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 15.
* Foglietto auotgrafo del S. D., scritto su una sola facciata, più un rigo sul retro
Appunti per il panegirico di S. Francesco d’Assisi, fatto al Convento dei PP. Cappuccini in Salerno.
(4 ottobre 1919 Salerno).

Appunti per il panegirico di San Francesco d’Assisi,
fatto al convento dell’Immacolata dei P. P. Cappuccini in Salerno
4 Ottobre 1919 – sabato –

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Mihi vivere Christus et mori lucrum.

Queste parole ispirate dell’apostolo S. Paolo pare che compendino la vita di S. Francesco, la cui vita fu copia fedele di Gesù Cristo, la cui morte sublimò l’anima sua ai più alti gradi della gloria celeste e aprì per mezzo dei suoi tre Ordini una serie non mai interrotta di opere sante nella chiesa.

San Francesco nasceva nel 1182 – morì nella notte del sabato 3 Ottobre 1226.

Castità – ebbe un’anima per natura riservata e rispettosa.

E’ più tollerabile per un uomo spirituale soffrire supplizi della carne di quello che provare nell’anima una cattiva dilettazione benchè leggiera ed involontaria.

Evita ogni familiarità = parlava a voce alta: di cose edificanti: parlando di cose mondane sollevava il suo sguardo al cielo…

Oh! quanto era bello vederlo, esclama il Celano, nell’innocenza dei suoi costumi, nel candore dell’anima sua, nell’angelica espressione dei suoi sentimenti.

Era su questo punto assai geloso dell’onore del suo Ordine… Condannava la familiarità

perché i deboli vi fanno naufragio e i forti stessi vi perdono qualche cosa.

Vegliate non cedete mai nulla, perché se gli date uno dei vostri capelli, subito ne farà una trave.

Umiltà – mortificazione – povertà.

Panegirico di San Donato

Panegirico di San Donato –

Predicazione A (pagg. 112 – 114) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 16.
* Foglio, piegato in due, autografo del S. D., scritto su 4 facciate.
Panegirico di S. Donato.
(Biccari – sabato – 7 agosto 1920).

Festa di San Donato – Panegirico
Biccari – sabato – 7 Agosto 1920

Per udire la parola di me vostro novello Pastore, avete rinunziato ad ascoltare le lodi d’un oratore di vaglia, e preferite che di lui vi parli, nella semplicità del suo linguaggio apostolico d’un omelia pastorale.

E sul labbro mi viene spontaneo l’invito che la Chiesa Cattolica nostra madre, fa ripetere a noi suoi sacerdoti nell’ufficio del vostro glorioso protettore, del vostro S. Donato.

Donatus pontifex, et Christi martyr triumphet in coelis coronatus, venite adoremus dominum. Donato vescovo e martire di Gesù Cristo, trionfa nei cieli coronato di gloria, venite adoriamo il Signore.

Donato vescovo e martire di Gesù Cristo: ecco in queste parole è compendiato tutto il suo elogio. Fu vescovo secondo il cuore di Dio, dette il suo sangue per la fede, ecco la ragione della sua glorificazione nei cieli e sulla terra al cospetto e degli uomini.

Il vescovo ha la pienezza del sacerdozio di Gesù Cristo, onde se un semplice sacerdote è tenuto in forza della sublime dignità a rendersi per quanto è in Lui immagine vivente di Gesù Cristo in mezzo a popolo: quest’immagine a più forte ragione deve essere riprodotta dal Vescovo, che ha in sé la pienezza del sacerdozio. Onde S. Tommaso dice che il sacerdozio è stato di perfezione, e di perfezione per giunta già acquistata a forza di costante lavoro e di nobili lotte e sante affermazioni sulla nostra debole natura; e che l’episcopato poggia tanto alto nella scala di questa perfezione che egli non esita a chiamarlo stato di santità. E per ciò dire di uno che egli ha tradotto in atto nella sua vita la perfezione ideale che è proprio dell’episcopato, è fare di lui il più grande elogio, ed è questo elogio che la Chiesa ripete del vostro santo =Donatus pontifex.

A l’attuazione di quest’ideale altissimo di perfezione occorre una lotta costante e diuturna che duri quanto la vita. Gesù Cristo l’ha detto nel suo vangelo: è milizia la vita dell’uomo sopra di questa terra. Lotta interna ed esterna, interna contro i funesti germogli delle nostre passioni, contro le nostre umane debolezze, specialmente contro la sensualità e l’orgoglio, l’amore disordinato dei piaceri e degli onori, per rendersi immagine vivente di Gesù Cristo, purezza infinita, di Gesù Cristo che dalla grotta di Betlem al Calvario dona se stesso agli uomini come esempio di umiltà e di dolcezza: imparate da me ecc.

Lotta esterna contro lo spirito del mondo che in opposizione allo spirito del Vangelo che pone il godimento e il piacere o l’utilità e il guadagno come norma della vita individuale, familiare e civile e il fine della vita umana restringe negli angusti confini della vita presente. Lotta contro l’errore, contro ogni falsità, nel campo trascendentale intorno alle verità supreme, rispondono alle domande che sono problemi più ardui e che maggiormente stimolano ed affannano l’uomo: chi noi siamo, donde veniamo, qual è il nostro fine? Che cosa è la vita? Perché il dolore, perché la morte?

E in questa duplice lotta, interna ed esterna, fu eroe il nostro santo: egli figlio di martiri e per ciò figlio di eroi. Con tutta ragione la chiesa canta di Lui: Hic est sacerdos qui pro Dei lege certavit usque ad mortem, et sanguinem suum fudit, ut laudaret Dominum cum sanctis eius.

Da Roma, la città del fasto centro della corruzione pagana, si ritira nella solitudine sotto la guida del finto monarca Flaviano, e diviene ammirabile per la sua mortificazione.

Schema di predica su “Le ore della Desolata”

Schema di predica su “Le ore della Desolata”

Predicazione A (pagg. 123 – 124) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 22.
* Manoscritto autografo del S. D. su tre facciate di pagina di protocollo, piegata in due
Schema di predica su “Le ore della Desolata”. Meditazione sulle ore supreme dell’immolazione dell’Addolorata. (Anni ‘20 in poi)

– Le ore della Desolata –

Introduzione – l’eco delle parole dell’agonia di Gesù. Ecce mater tua. Il cuore della madre. La madre che il Signore ci dona è l’addolorata per antonomasia. Oggi è stato il giorno del suo martirio. Queste sono le ore supreme della sua immolazione. Facciamo compagnia alla madre nostra.

1° = La lanciata – L’oltraggio, la crudeltà, il cuore di Maria trapassato dalla spada del dolore. I sacramenti simboleggiati nel sangue e nell’acqua. Sanguinis eius semper nos. Impetraci, o Madre, grazie di conversione.

2° = la deposizione – Il dolore retaggio universale. Maria ne è ricolma perché nostra corredentrice. Gesù Redentore. Vir Dolorum. Maria la donna dei dolori. Gesù fra le braccia di Maria. L’adorazione delle S. Piaghe. Gemitus Matris. Le lacrime di Maria.

3° = La sepoltura – Senso di solitudine al chiudersi di una tomba. Oltre il dolore naturale la fede di Maria accresce il suo dolore. L’Umiliazione del Redentore. Comporre Gesù nel sepolcro. La tomba = il distacco.

4° = l’Adorazione della Croce. La croce segno di ignominia. La croce la conquide e l’attrae. Compendio dei dolori del Salvatore. La croce tramutata in segno di conforto – Ave spes unica – Maria la bacia. Le glorie future della Croce.

5° = Il Ritorno a Gerusalemme – La città deicida. Il castigo, ammonimento per noi. La preghiera di Maria per la città santa. Imploriamo la sua preghiera per le anime nostre.

6° = Sola in Casa di Giovanni – L’anima di Maria risplende di sovrana virtù in mezzo al dolore. La morte di Giuda. La perdita delle anime causa del supremo dolore di Maria. Anche noi? Salvatori di anime.

7° = Le lagrime di Pietro. La Madre della Misericordia.

8° =Medita la passione del Signore. Il tempo lenisce i dolori, la memoria li rinnova. Non sterile angoscia ma religioso ripensamento. La Madre dei Santi. La meditazione del crocefisso fonte di salute e di perfezione.

Schema di predica sulla Regina dei Martiri

Schema di predica sulla Regina dei Martiri

Dischetto: Predicazione A (pagg. 125 – 126) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 22. –.
*Foglietto autografo del S. D., scritto su una sola facciata.
Schema di predica sulla Madonna, Regina dei Martiri (Anni ‘20 in poi)

+ I. M. I.

(Regina dei Martiri)

Fra i tanti titoli coi quali invochiamo la Madonna ci ha pure quello di Regina dei Martiri. Essa ha meritato questo titolo per acerbissimi dolori da lei sofferti durante il corso della sua vita. E per ciò la Chiesa in questo giorno in cui celebra le glorie dei dolori della Madonna in modo particolare pone sul nostro labbro questa invocazione: “Regina Martyrum” etc. quae iuxta crucem Domini constitisti.

E poiché la Madonna soffrì tanto durante la sua vita per amor nostro, noi per attestarle la nostra gratitudine, questa sera ci fermeremo a considerare l’acerbità delle sue pene, e vedremo come Essa è invocata dalla Chiesa Regina dei Martiri, perché il suo gran martirio superò nel dolore quello di tutti i martiri, essendo esso stato il martirio più grande e il martirio più lungo.

Fu il più grande – cui comparabo te, cui assimilabo te. La Madonna sotto il peso dei suoi dolori non soccombette per miracolo. 1 – la Madonna soffrì nell’anima – Due altari sul calvario. 2 – Gli altri martiri soffrirono sacrificando la vita propria, la Madonna patì sacrificando la vita del Figlio, che essa amava assai più della vita propria. 3 – La Madonna patì senza sollievo: ai martiri l’amore di Gesù rendeva dolce ed amabile i dolori, nella Madonna invece il suo amore per Gesù è la misura dei suoi patimenti. L’amò come suo figlio, l’amò come suo Dio.

L’infanzia di Gesù, la fuga in Egitto. L’esilio, l’odio dei Farisei, la Passione, assistette alla sua morte senza potergli arrecar sollievo.

Il suo dolore durò tutta la vita. Anche dopo la risurrezione di Gesù, come rivelò a S. Brigida. Glorificazione dei suoi dolori.

La Madonna soffrì per noi = noi invece viviamo dimentichi dei suoi dolori. La divozione ai dolori della Madonna è una divozione utilissima. Gesù Cristo alla B. Veronica. Promesse.

Appunti di panegirico sulla Madonna dell’Arco

Appunti di panegirico sulla Madonna dell’Arco

Predicazione A (pag. 128) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 22. – Anni ‘20 in poi.
* Foglietto autografo del S. D., scritto su una sola facciata.
Appunti di panegirico sulla Madonna dell’Arco 22 maggio 1923 – in Troia.- Schema di meditazione su Maria, Regina, Mater et Magistra.

Appunti di panegirico sulla Madonna dell’Arco
– Il 22 Maggio 1923 – in Troia –

Su questa stessa trama Regina, Mater et Magistra, ho tessuto il panegirico della Madonna dell’Arco.

La sua potenza di Regina ci si rivela nei quattro secoli di storia di quel santuario. Tutte le potenze terrene, tutte le dinastie ed i governi che si succedettero sulla terra ove esso sorge (l’antico regno di Napoli) tramontarono e non sono più e il santuario dell’Arco, invece, sta e fiorisce di vita sempre nuova.

L’incoronazione della Madonna per mano di Mons. Passaro l’8 Settembre 1874. La santa morte di lui l’8 Settembre 1890.

Predica nella festa di Maria Ausiliatrice

Predica nella festa di Maria Ausiliatrice

Predicazione A (pagg. 130 – 135) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 22. – Anni ‘20 in poi.
*Foglietto autografo del S. D., scritto avanti e dietro. Vi è allegato una ritaglio del giornale “Il Corriere d’Italia”, intitolato:“L’ora”(firma: t.t.).
Predica nella festa di Maria Ausiliatrice. Domenica IV dopo Pentecoste – Troia – 17 giugno 1923.
Maria compie il suo ufficio di ausiliatrice nostra, apprestandoci un triplice aiuto: 1° aiuto di luce per illuminare la nostra mente; 2° aiuto di fortezza per sorreggere le nostre debolezze e sovvenire alla nostra fragilità; 3° aiuto di conforto al nostro povero cuore negli affanni e nei dolori di questa misera vita.

Festa di Maria Ausiliatrice
Troia – 17 Giugno 1923 – Domenica di Pentecoste

Pio V e Pio VII rendono sacro ai fedeli questo titolo della Vergine “Auxilium Christianorum”. D. Bosco nasce l’anno dopo l’istituzione della festa sotto questo titolo e ne propaga durante tutta la sua vita la divozione. La Vergine S. S. è di fatto l’Aiuto dei Cristiani: nella storia intima di ogni anima noi troveremo Maria che compie il suo ufficio di ausiliatrice nostra = apprestandoci un triplice aiuto = 1°= aiuto di luce per illuminare la nostra mente; 2°= aiuto di fortezza per sorreggere le nostre debolezze e sovvenire alla nostra fragilità; (3°=) aiuto di conforto al nostro povero cuore negli affanni e nei dolori di questa misera vita.

1° = La Madonna dona a noi il Verbo Incarnato che è la luce vera venuta ad illuminare ogni uomo in mezzo alle fitte tenebre dell’errore e dell’ignoranza delle verità rivelate, frutto del peccato e della prevaricazione del nostro primo padre Adamo. E’ questa la sua missione donare al mondo Gesù Cristo, luce divina, eterno sole di giustizia, Sapienza Increata, e attraverso i secoli si può dire che Essa anche nel Cielo, sia intenta a compiere questa sua missione, e lavori incessantemente per donare Gesù a ciascun anima in particolare, e nel donarlo Essa appresta quest’ausilio di luce, per cui le menti umane conoscono ed abbracciano le verità della fede, e se ne fanno banditrici, ripudiano e combattono l’errore. I Pastori a Betlem ritrovano Gesù tra le braccia di Maria, la quale l’ammaestra nelle verità della fede che il Verbo Eterno, fatto uomo, è venuto ad insegnarci; similmente i Magi, divenuti poi apostoli della fede nelle loro contrade: la mistica stella che li guida, simboleggia Maria. La chiesa nella sua liturgia la chiama a ragione stella. Stella matutina; Ave Maris stella (la stella in una notte oscura guida i passi del viandante e del nocchiero, così Maria si fa guida dell’anima nostra, nella notte oscura della vita presente, ci fa comprendere la vanità delle cose terrene, la bellezza e il pregio infinito dei beni eterni). Quasi aurora consurgens – è l’aurora precorritrice di Gesù, Sole Divino, in ogni anima, talchè ogni anima che tributerà onore a Maria, finirà per conoscere, amare e servire fedelmente Gesù Cristo. Maria nel Cenacolo, maestra e regina degli apostoli, banditori della fede, alla luce divina del Santo Vangelo, messi e nunzi di Gesù Cristo al mondo immerso nelle tenebre dell’ignoranza. Essa fuga le tenebre dell’eresia – cunctas haeres interemisti in universo mundo – il Card. Wiseman – la predicazione di Maria e la conversione in Inghilterra, ove viene ricostituita la gerarchia cattolica. I grandi convertiti: Huijysman – il P. Agostino del S. S. Sacramento (Ermanno Cohen), Alfonso Ratisbonne – l’ora del Carducci e del Bovio (vedi testo sotto).

I Padri e i Dottori della Chiesa = S. Ambrogio, S. Agostino, S. Efrem, S. Gregorio, S. Basilio, S. Bernardo, S. Tommaso, S. Bonaventura, S. Benardino, S. Francesco di Sales, S. Alfonso.

Maria infine ci appresta aiuto di luce illuminandoci nelle incertezze e nei dubbi della vita presente. S. Luigi Gonzaga a Madrid (entra nella Compagnia di Gesù), S. Stanislao, S. Alfonso e il suo quadro della Madonna del Buon Consiglio – Mater Boni Consilii. Il Cottolengo che pregando ai piedi dell’altare di Maria conosce la sua vocazione e la sua missione.

Chi di noi non fu illuminato da Maria? …

2° = Aiuto di fortezza: martiri = Maria nelle catacombe. Le sante Vergini e il loro giglio di purezza. Maria ci difende negli assalti dell’infernale nemico, cui è terribile quasi esercito schierato a battaglia = terribilis ut castrorum acies ordinata. Turris davidica. Turris eburnea – Maria ci rialza quando siamo ricaduti e c’infonde forza per non ricadere = il giovane che si confessò a S. Alfonso e che con la pratica delle tre Ave Maria non ricadde più. S. Gabriele dell’Addolorata che da Maria ottiene la forza per seguire con costanza senza più tentennare la voce di Dio, che lo chiama a lasciare il mondo. Invocare Maria e cedere alla tentazione è moralmente impossibile.

3° =Aiuto di conforto nei dolori della vita e nell’ora della morte. Ad (te) clamamus exules filii Hevae, ad te suspiramus gementes et flentes in hac lacrymarium valle. Consolatrix afflictorum. La Madonna ci conforta ricordandoci con il suo esempio la dottrina della fede intorno al dolore: esso è purificazione ed espiazione, esso è elevazione dalle cose caduche di qua giù verso Dio, unica e vera felicità. Esso è espiazione e sorgente di bene soprannaturale non solo a prò di chi soffre ma anche a prò dei suoi stessi fratelli: le anime si salvano partecipando alle divine immolazioni del Crocifisso. E tutto questo la Madonna ce lo ricorda, ce lo insegna maternamente, ce lo persuade la Madonna coi suoi dolori = essa che a ragione è salutata regina dei Martiri, e per antonomasia è chiamata l’Addolorata. Il suo esempio plasma le anime che furono eroiche nei dolori più acerbi dell’umana esistenza = S. Felicita, la madre di uno dei quaranta martiri. S. Anzia, Bianca di Castiglia. S. Liduina.

La Madonna ci conforta nell’ora della morte nostra, essa rende dolce la morte ai suoi divoti. Il Suarez = non putabam tam dulce esse mori. S. Giovanni Berchmans: laetantes ibimus, S. Alfonso – ecc. (Pasqualino Schioppa).

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(Allegato: Corriere d’Italia – Sabato 16 Giugno 1923)

L’ora

Ma è naturale che scocca per tutti l’ora di Dio, l’attimo sublime in cui l’anima prova, trasalendo, il desiderio più alto. Per tutti – anche per coloro che ne appaiono dalle parvenze della vita, lontani per l’oblio e per l’odio, finanche – per tutti: segno di ammonimento, di umiltà, di speranza…

Discorrevamo, giorni fa degli appelli che squillano, d’ora in ora, nel turbine affannoso della giornata mondana – e le voci delle campane, ricordavamo, e la loro poesia dolce e solenne, e la corrispondenza profonda ch’esse segnano con le leggi più vere dell’anima; tanto che la stessa modernità ignara e nemica di Dio – cerca istintivamente d’imporre una tregua alla febbre del clamore quotidiano e di gustare un silenzio e d’invocare una Voce.

Qualche anno fa sul “Roma” di Napoli, il pubblicista De Martino, ricordando le amabili ed acute conversazioni d’arte con Giovanni Bovio, evocava l’impressione incancellabile che il filosofo “decapitatore” di Dio, aveva provato, un giorno, quando ascoltò, per la prima volta, l’ode carducciana della Chiesa di Polenta.

“Bovio, l’ateo – scrive il De Martino – mi ascoltava, impallidiva, si stringeva al mio braccio, a cui comunicava un fremito di vita. I versi si seguivano e tutta la persona del professore divenne un’anima in agitazione… alla strofa:

Una di flauti lenta melodia

Passa invisibil tra la terra e il cielo;

spiriti forse che furo, che sono o che saranno?

Eravamo giunti in piazza della Borsa. Ci coglie il suono stridulo, inconscio di una campanella. Era l’Ave Maria che faceva scoprire i passanti, resi mesti in volto dalle ore del tramonto, e mi tolsi il cappello anch’io, senza interrompere la lettura delle ultime strofe:

un oblio lene de la faticosa

vita, un pensoso sospirar quiete,

una soave volontà di pianto l’anima invade…

Bovio non si scoprì, ma levò lo sguardo in alto, sospirò, forse avrebbe voluto, ma non seppe trattenere le lagrime che gli scorrevano per le gote. Chi sa, l’ora, la profondità della bella poesia… certo la commozione fu schietta, fu impetuosa, e Bovio più si strinse al mio braccio, mentre io esaurivo gli ultimi versi, riconducendolo alla casa vicina:

Taccion le fiere e gli uomini e le cose

Roseo ‘l tranquillo ne l’azzurro sfuma

Mormoran gli alti vertici ondeggianti Ave Maria

E’ l’ora di Maria. E’ l’ora della Madre – che con tutto l’impeto della sua dolcezza infinita, con tutta la pazienza del suo amore indicibile, chiama, ogni giorno, e prega e confida e piange – per raddurre a Dio.

Le lagrime di Giovanni Bovio! Per un capriccio mirabile, il Poeta di Satana chiamava a Dio il Filosofo del Nulla: e Maria adempieva fedelmente il suo mandato di Madre.

In quell’ora – in tutte le ore – ma particolarmente, come vuole la preghiera della Chiesa – “nell’ora della nostra morte”.

E’ l’ultimo appello.

Ed è – tutto c’induce a crederlo – la vittoria suprema della Madre soave e implacabile.

E nella luce di quell’ora e nel nome di Maria – su ogni bara, anche su quella dei più lontani, splende una speranza..

Predica per le feste della Santa Reliquia…

Predica per le feste della Santa Reliquia…

Predicazione B (pagg. 6 – 12)
Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 2
*Scritto autografo del S. D., composto di n. 7 pagine con un foglietto allegato non autografo, scritto avanti e dietro.
Pertransiit benefaciendo. – Predica per le feste della Santa Reliquia del braccio di S. Francesco Saverio. Il S. D. si dichiara testimone dello slancio di fede suscitato in mezzo al popolo dalla Santa Reliquia. (Napoli, 24 giugno 1923).

Predica per le feste della Santa Reliquia
del Braccio di S. Francesco Saverio.
Napoli 24 Giugno 1923

A me che ebbi, per quanto indegno, l’altissimo onore di portare in questa città la santa reliquia del Braccio di San Francesco Saverio, in questa città così ricca di fede, che già tanti svariati segni della sua particolare predilezione e della sua protezione, come vi spiegò giovedì, al primo arrivo di essa uno dei confratelli del nostro Santo; a me adunque, cui per disposizione della Divina Provvidenza toccò così alta ventura (perché il prezioso deposito come ultima sosta, prima di venire alla volta di Napoli, si era fermato nella mia diocesi) tocca ora parlare a voi di sì grande atleta di Gesù Cristo.

E alla vista di quel santo braccio strumento delle meraviglie dell’Altissimo, io che fui testimone dello slancio di Fede, del trasporto irrefrenabile delle masse allorquanto passando attraverso le Puglie, si fermò per breve ora in mezzo al mio popolo: io che fui poi testimone delle trionfali accoglienze con cui lo riceveste voi, ricordando le innumerevoli grazie temporali e più ancora spirituali ottenute per sua intercessione, sento spontanee venirmi sul labbro le parole degli Atti degli Apostoli “pertransiit benefaciendo”.

Il mio cuore di pastore trasalisce di gioia al ricordo, di qualche anima affidata alle mie cure, che pur essendo su le soglie dell’eternità non sapeva indursi a riconciliarsi con Dio, e che poi al solo annunzio della venuta del braccio di San Francesco Saverio, aveva domandato del suo vescovo e aveva ricevuto i sacramenti. Ho ancora presenti le turbe dei contadini, che venivano giù dai monti della mia diocesi, per venerare la santa reliquia; le madri che levavano in alto al suo passaggio i loro figliuoletti, perché fossero benedetti, i giovani coloni che nei loro abiti festivi venivano ad essa incontro a cavallo per farle onore.

E ricollegando questi ricordi con quello delle accoglienze trionfali preparate da voi in questa città che rimane sempre la metropoli del nostro mezzogiorno, da cui si irradia e si propaga nelle terre meridionali il bene che in essa si compie. Alla constatazione di così grande risveglio di fede, dovendo ora parlarvi del grande eroe che lo ha destato al passaggio del suo scarno braccio, che può dirsi ancor misteriosamente vivo ed operoso dopo circa 4 secoli dalla morte: mi viene spontaneo sul labbro l’espressione dell’Apostolo S. Pietro, pertransiit benefaciendo. E’ vero che Egli le attribuisce a N. S. Gesù Cristo, e tra il Divin Maestro e il nostro eroe corre distanza infinita, quanto fra Dio e la Creatura; ma è anche vero che lo stesso maestro Divino ha detto: “Amen, amen dico vobis, qui credit in me, opera quae ego facio et ipse faciet et maiora horum faciet”.

Senza ritegno adunque possiamo ripetere del nostro santo che egli per mezzo della santa reliquia del suo braccio è passato in mezzo alle popolazioni ed ora passa in mezzo a voi, apportatore, per le anime vostre soprattutto, d’infallibili benefici – pertransiit benefaciendo. E questo beneficio singolare che egli viene a largire alle anime nostre, si è il richiamarle ad una Fede viva ed operosa, insegnando ad esse le vie dell’apostolato e predicandone allo stesso tempo il dovere: apostolato soprattutto a prò dei poveri infedeli, a prò di circa un miliardo di uomini che ancora vivono nelle tenebre dell’ignoranza, privi della grazia del santo battesimo, pei quali le porte dell’eterna vita, del santo Paradiso non sono ancora dischiuse.

Voi beati, se un tanto beneficio sapremo valutare ed accogliere: verrà giorno in cui divenuti per esso partecipi dell’eterna beatitudine, benediremo il momento in cui San Francesco Saverio con la santa reliquia, del suo braccio invitto passo in mezzo a noi = pertransiit benefaciendo.

Il passaggio in fatti della reliquia del Saverio in mezzo a noi ci porta alla conoscenza della sua vita, che nella maniera più pratica ed efficace c’insegna le vie e il dovere dell’apostolato specialmente a prò delle masse degli infedeli: e questo è vero e grande beneficio, anzi è supremo beneficio, perché se noi sapremo trar profitto da tale insegnamento ci avremo assicurato la beatitudine eterna: il paradiso. E’ l’esempio della carità, che ci dischiude le porte del Cielo = è a l’uomo caritatevole che Gesù Cristo promette la sentenza di eterna vita e il possesso del suo regno beato. Or bene l’adoperarsi a prò delle anime, lavorare per la salvezza anche di un’anima sola è esercitare la carità nella forma e nella maniera più perfetta – ed è quindi un’assicurare all’anima propria la beatitudine eterna: onde S. Agostino insegna che chi ha salvato un’anima ha posto in salvo l’anima propria.

Il nostro giovane santo assetato di gloria terrena.

Quid hoc ad aeternitatem? Il suo ritiro – Montmartres – Strappare all’inferno e donare al cielo delle anime immortali, ricomprate dal sangue di Gesù Cristo, ecco il suo pane, il suo conforto, la sua vita.

Le vie dell’apostolato – La purezza, l’umiltà, la preghiera – il sacrificio – la costanza.

La purezza – Quanta insistenza mette Gesù Cristo per imprimere nello spirito dei suoi Apostoli il principio fondamentale che Egli solo è la vita, e che in conseguenza, per partecipare a questa vita, e comunicarla agli altri, si deve essere innestati sull’Uomo-Dio. Ego sum vitis vos palmites ecc.

L’apostolo che è compenetrato da questa verità sente che il suo cuore non può per il peccato o per la tiepidezza volontaria essere in disaccordo con quello di Gesù.

L’umiltà – Dio solo. Soltanto la gloria di Dio lo muove. Tutto si ripromette da Dio: credere di poter produrre il più piccolo vestigio di vita soprannaturale, senza attingerla totalmente da Gesù Cristo, svelerebbe in un uomo apostolico un errore teologico madornale.

La Preghiera – per questo stesso ci rivolgiamo a Dio con la preghiera. Le sue ore fisse per l’orazione = il campanile di Goa. Nei viaggi di mare pregava da mezzanotte al levar del sole. Esami, visite al S. S. Sacramento – ritiri – Stava sempre unito a Dio.

Il Sacrificio – Gesù Cristo redense il mondo con l’immolazione del suo corpo reale: ora par (che) ad applicare i frutti della redenzione alle anime reclami il sacrificio e l’immolazione del suo corpo mistico – S. Teresa.

La generosità – e la costanza . Donò tutto – non indietreggiò mai.

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Il dovere dell’Apostolato – chi può venire in aiuto di un’anima e non lo fa è reo al cospetto di Dio. Le trepidazioni di S. Alfonso.

L’obbiezione – abbiamo tante anime da salvare qui.

Non dobbiamo per questo dimenticare le anime degli infedeli anzi dare ad esse la preferenza.

Inducendo i nostri cari a fare qualche cosa pei poveri infedeli, benefichiamo anche le anime loro, che acquisteranno per così dire un dritto alle divine promesse di Gesù Cristo.

Non avere il cuore ristretto. Non ragionò così S. Ignazio.

Noi diamo alla Chiesa dei santi.

Il Papa ha parlato.

Ma quante sono le anime che ancora si perdono, quanto sono quelle per le quali ancora invano è sparso il Sangue del Redentore!

Da questa vedetta apostolica lanciamo il grido di raccolta a tutto il mondo cattolico.

Che anche un’anima sola si perda per la nostra tardanza, per la nostra mancanza di generosità; che anche un solo missionario debba arrestarsi perché gli vengono meno i mezzi che noi potremmo avergli rifiutati è un’altra responsabilità alla quale non abbiamo forse frequentemente pensato nel corso della vita nostra.

Il beato Urbano II e Pietro l’Eremita. Pio XI e San Francesco Saverio che si fa suo Araldo. Iddio lo vuole.

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Il nostro fervore e il nostro zelo non deve estinguersi col passare di queste feste.

Ascriversi alle varie opere Missionarie. La Propagazione della Fede. Favorire le vocazioni , il Seminario di Ducenta. Conoscere e far conoscere l’Opera delle Missioni. Dovere di noi sacerdoti, dovere di tutti – i Primi Cristiani. S. Filippo Neri. A voi, o giovani.

Il più di S. Francesco Saverio = Eco del Sitio del Cuore Divino.

Lo zelo non si può estinguere nel cielo, anzi essendo effetto dell’amore, non può che essere più ardente dove la carità riceve la sua ultima perfezione.

Predica su S. Francesco Saverio

Predica su S. Francesco Saverio

Farina D (pagg. 1 – 13) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione Mons. Farina. Cartella: Predica su S. Francesco Saverio
* Fotocopia di scritto autografo del S. D. su n. 35 mezze pagine di foglio (formato A4), senza data
Predica del S. D. nella chiesa di Gesù Nuovo (a Napoli) in occasione della festa di S. Francesco Saverio. E’ una predica ardente, in cui il S. D. parla della vita del Santo, inculcando negli uditori lo spirito missionario. (cfr Discorso [meno ampio] per le feste della S. Reliquia del braccio di S. Francesco Sav. In Predicazione B, pagg. 5-11, del 24 giugno 1923).

PREDICA DI MONS. FARINA NELLA CHIESA DI GESU’ NUOVO
IN OCCASIONE DELLA FESTA DI S. FRANCESCO SAVERIO.

Pertransit bene faciendo”. È passato in mezzo a noi facendo bene. A me, che è toccato l’alto onore di portare in questa vostra città la Reliquia del braccio di S. Francesco Saverio, in questa città così ricca di fede, che nei secoli andati ha dato prove così vive della protezione del nostro Santo, a me, che è toccata così alta ventura per disposizione della Provvidenza, poiché la Santa Reliquia era passata come in trionfo attraverso la terra di Puglia, si era fermata nella mia piccola Diocesi, a me, che insperatamente ebbi tanta ventura, tocca questa sera di parlare del nostro Santo. E alla vista di quella Santa Reliquia che ho veduto portata come in trionfo nella regione di Puglia, al ricordo di quelle accoglienze, mi viene spontanea sul labbro la parola dell’apostolo: Egli è passato in mezzo alle turbe benefacendo. Sì, il mio cuore di pastore con santa gioia ricorda come anime affidate alle mie cure che già stavano sulla soglia dell’eternità, al solo annunzio che veniva la reliquia del braccio di San Francesco, domandavano del sacerdote. Il ricordo di quelle feste trionfali campestri con cui vidi accolta nella mia diocesi la Santa Reliquia, schiere di contadini che venivano pregando su dai monti, e giovani contadini con abiti di festa, il ricordo di tutto questo che si ricollega a quella accoglienza leale che voi le faceste, fa prorompere dal mio cuore l’esclamazione che questa Santa Reliquia è passata benefacendo.

È vero, o miei cari figliuoli, che queste parole risuonavano sulle labbra dell’Apostolo S. Pietro, parlando di N. Signore Gesù, è vero che tra il Maestro e l’eroe di cui io vi parlo corre una grande differenza, ma è anche vero che sulle labbra del Divin Maestro risuonavano un giorno queste parole: Colui che ha fede viva in me compirà le stesse opere che io ho compiute, le stesse meraviglie, anzi altre maggiori. E quindi senza ritegno noi possiamo dire a lui le stesse parole che diceva l’apostolo al Maestro. Ed è passato, e sta in mezzo a noi per beneficare; sì, Egli è venuto per beneficare.

E quale è questo beneficio che Egli è venuto a compiere? Lo riguardo in ciascuno di noi particolarmente, è quello di essere venuto ad additarci le vie dell’apostolato. Se non sapremo intendere il beneficio vero, beneficando i corpi, noi intenderemo che Egli i prodigi che ha operati li ha opera-ti per un fine superiore, quello di chiamare tutti i cristiani al dovere dell’apostolato. Beati noi, beati noi: se avremo saputo comprendere la sublime lezione che Egli è venuto a darci; e allora l’anima nostra beneficiando in una maniera amorosa, un giorno in virtù di questo beneficio andrà al possesso delle divine beatitudini, per quel Braccio che ancora dopo quattro secoli è sempre vivo, e sempre vivo passò in mezzo a noi beneficando in modo ineffabile.

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S. Francesco Saverio passando con la sua Santa Reliquia si può dire che è venuto a risvegliare ogni cuore a una fede viva e operosa, è venuto a ridestarla, perché la fede senza opere è vuota, e se la fede non è accompagnata dalle opere allora l’animo nostro non avrà conseguito la vita eterna. Ed Egli si può dire per il bene delle anime è venuto e passa in mezzo alle città quasi per chiamare ancora una volta il popolo alla fede vera, operosa al dovere dell’apostolato. E di fatto le feste che si fanno in onore del nostro Eroe, fanno conoscere la sua vita con le prediche, poiché molti, anzi la maggioranza fra voi credo conosceva nell’invitto servo di Cristo solo il nome, ma quale fosse stata la sua vita, in che modo Egli dal mondo si fosse convertito veramente alla causa santa di Cristo, tutto questo era ignorato dalla gran maggioranza dei fedeli. Ecco che Egli è passato in mezzo ai popoli, ha operato prodigi, che hanno avuto lo scopo di far conoscere la vita di Lui, e così insegnare ad ogni anima cristiana quale è il dovere di giovare alle anime dei fratelli. E questo è beneficio, beneficio grande che il nostro apostolo è venuto a compiere in riguardo delle anime nostre, perché Gesù promette il Paradiso a chi ha esercitato la carità, e il giovare alle anime dei propri fratelli è l’esercizio migliore della carità. Quindi lavorare al bene delle anime, cercare di lavorare ad essere in qualche maniera apostolo, significa mettere in salvo la propria anima, come diceva S. Agostino, è beneficiare la massa. Ed Egli per gli infedeli ha consacrato le migliori energie della sua esistenza, per giovare alle anime nostre, giovando alle anime dei poveri infedeli, additando a noi che dobbiamo fare, e allo stesso tempo i doveri che ognuno ha.

Si tratta di cento milioni di uomini che non ancora hanno ricevuto la grazia del battesimo, cento milioni corrono per la via della perdizione, e alla vista di questo spettacolo pare che ancora risuoni la voce del Saverio. E guardate, guardate, ed ecco che Egli infaticabile anche per mezzo del suo braccio percorre tutta quanta la parte meridionale dell’Europa, per chiamare l’uomo latino al dovere dell’apostolato. Quali sono queste vie che noi dobbiamo battere per poter riuscire efficacemente a giovare alle anime dei nostri fratelli?

Queste vie ce le insegna il nostro Eroe: innanzi tutto è necessario purificare l’anima nostra; la dote fondamentale di un’anima che vuol giovare alle anime dei propri fratelli è la purezza. La purezza innanzi tutto, e poi lo spirito di umiltà, di preghiera, orazione, e di sacrificio, spirito di costanza, di generosità. Ecco le vie dell’apostolato che il nostro Santo ci addita con l’esempio della sua vita stessa.

Egli è nato di nobilissima famiglia dai duchi di Navarra, assetato di gloria terrena lascia il suo castello avito, viene a Parigi, e in quella Università sogna un avvenire di gloria tutta terrena e umana. È intento allo studio, ma nello stesso tempo in quel gran centro sente il fascino del mondo in mezzo alla scolaresca scellerata e corrotta. Iddio però che aveva sopra di lui ideato i suoi disegni non impediva che l’anima di lui si temprasse nel vizio. Egli stesso confessava che la vista degli effetti funesti del vizio dei suoi compagni e degli stessi maestri l’avevano tenuto lontano dalla corruzione. Egli amava le compagnie piacevoli e trascorreva le notti divertendosi. Era il mondo che esercitava il suo influsso funesto su quell’animo, e Iddio mandò prima un angelo visibile e fu il Beato Pietro… Questa compagnia d’una vita illibata e pura, tutta pia e santa esercitò un influsso benefico sull’animo del giovane di Navarra. Ma Iddio gli mandò anche un maestro e questo glielo scelse fra gli stessi suoi condiscepoli, ed egli è il Cavaliere di Lojola. Sotto l’influsso dello Spirito Santo, Egli vuol ritirarsi in una casetta solitaria di Parigi e meditare sulla verità eterna, sotto la guida del suo discepolo che è divenuto suo maestro. E in quella meditazione Egli riconosce quanto fallaci erano le vie per cui si era messo, ed Egli si confessa e ai piedi del sacerdote rinasce a vita (pag. 8) nuova, l’anima sua ritorna immacolata, eccola già plasmata per essere l’anima di un apostolo di N. Signore Gesù Cristo, che troppo efficacemente ha insegnato ai suoi apostoli che Egli solo era la vita e gli apostoli i tralci. Io sono la vita, ha detto Gesù, voi siete i tralci, e come il tralcio non può produrre frutti da se stesso, così voi se non sarete stretti con me, non potete produrre alcun frutto. Non vi può essere contraddizione tra il cuore degli apostoli e il cuore divino di N. S. Gesù Cristo. Ed ecco che Egli pone come base della propria vita la purificazione della propria coscienza, e per purificare la propria coscienza eccolo là ai piedi dell’altare, della Vergine, nel giorno dell’Assunzione con altri cinque suoi compagni. Eccoli all’altare, si votano e si consacrano interamente al servizio di Dio e al bene delle anime. Prima condizione dell’apostolato. Ed eccolo ad esercitare quelle virtù che è più che essenziale di un apostolo, la virtù dell’umiltà. Egli depone gli abiti sontuosi e tutto quello che è gradito agli occhi del mondo, ed eccolo vestito in abito da pellegrino a Venezia e poi a Roma, ai piedi del Vicario di Gesù. Ottiene la facoltà di farsi ordinare Sacerdote, ed eccolo Sacerdote di Cristo.

Ma grande è la sua umiltà, e da quel giorno penderà dalle labbra del suo Padre Spirituale, S. Ignazio di Lojola. Una parola sola del mio superiore basterà per farmi dire addio a tutta la mia vita, diceva. Umile sempre, Egli non cercò che Dio, solo Dio è il termine a cui mirava nelle fatiche dell’apostolato; tutto per gloria, anzi per maggior gloria di Dio e per il bene delle anime, niente per sé, per sé solo l’umiliazione. Egli si riveste dello spirito dell’orazione perché sa che tutto deve aspettarsi da Dio e niente da sé, niente dalla scienza, tutto si ripromette unicamente da Dio e riconosce che tutto è nulla se non è vivificato da Dio, e sente il bisogno intimo di comunicare con Dio. La notte entra nel Campanile della Chiesa a vegliare e pregare; nei suoi viaggi per mare, eccolo che Egli dalla mezza notte sino al mattino passa tutte quelle ore in continue preghiere; Egli è in continua comunicazione con Dio, e quando converte i suoi fratelli il suo spirito è unito con Dio. Egli sa di trattare unicamente gli interessi del suo Dio, e perciò ecco che noi vediamo in Lui tanta sovrabbondanza di grazia, perché Egli diviene il perfetto tipo degli Apostoli nei tempi nuovi, Egli diviene il Patriarca dei missionari. E a questo Egli aggiunge uno spirito di costanza in vita, di generosità veramente eroica, Egli ha ben compreso che Gesù Cristo ha compiuto la redenzione di tutto il genere umano immolando tutto se stesso sopra la Croce. Prima di essere mandato in India Egli ha giurato guerra implacabile a se stesso, alla sua natura, la parola del suo P. Ignazio Egli l’ha scolpita nel cuore. E quando da Lisbona è salpato alla volta delle Indie, Egli sente ancora più forza ed ardore per fare il suo viaggio che durò dodici mesi. Quanti travagli, quante angustie non costarono a lui questo viaggio!

E quando ha messo il piede sulla terra della fatica, dell’apostolato, quanti travagli Egli dovette sostenere! Dove passava Egli lasciava la traccia del suo cammino, il suo sudore e il suo sangue, e offriva il suo sacrificio per il bene del numero sterminato di anime che si sedeva dinanzi. Bisogna leggere e sfogliare le sue lettere per vedere come Egli parla delle sue fatiche; ma Egli dice: Io benedico il Signore nelle mie tribolazioni e più tribolazioni ancora vorrei soffrire per il bene di queste anime, per la loro salvezza. E se domanda qualche cosa al suo P. Ignazio, non domanda aiuti, ma operai. Egli scrive: io ho centomila uomini dinanzi che si convertirebbero l’anno venturo ma mi mancano gli operai. Oh, come vorrei che la mia voce si sentisse nell’Università dove io ho vissuto, e venissero qui, venissero qui a lavorare per le anime. Oh, quale ineffabile dolcezza io proverei se sentissi venire qui i giovani della nostra Università, per glorificare Dio!

Ecco così, come Egli si immola e si sacrifica. Egli ci apparisce generoso, eroicamente generoso. Il fatto caratteristico è quello di non indietreggiare dinanzi alle difficoltà che il nemico di ogni bene suscita, colui che aveva sognato di travolgere il genere umano nella rovina. È quindi necessario essere armato di costanza, di fortezza, e tale fu l’animo del nostro santo. Quante difficoltà, quante lotte, quanti ostacoli, dovette trovare in dieci anni d apostolato! Lotte e difficoltà che gli venivano dai suoi stessi figli e fratelli nel cristianesimo, lotte e difficoltà che venivano da coloro che volevano fermare l’autorità civile. Eppure Egli si scoraggisce giammai, e va innanzi, e non indietreggia mai. E così Egli generosamente dona tutto a Dio; ha donato al Signore tutti i sogni della sua gioventù, un avvenire splendido di gloria terrena, tutto quello che avesse potuto vagheggiare l’animo suo, ed eccolo che dà un addio per sempre a tutto e va nelle lontane regioni per non più ritornare. Tutto ha donato, tutto ha sacrificato, e nell’ora della sua morte vedetelo là, solo, nella isoletta di…, ma Egli sta forte, più forte della morte, ma Egli non indietreggia; tutti gli dicono addio, a tutti Egli dà la sua benedizione, finchè il compagno che Egli aveva portato indietreggia e Egli lo congeda, ed è restato solo col povero indiano che gli fa da interprete per portarlo sulle terre della Cina. È il Signore però che ha detto basta; basta, non alle sue fatiche apostoliche, ma ai suoi travagli, alle sue amarezze, e lo chiama al trionfo della pace celeste. E mentre gli si presenta una gloria sì grande, reclina il suo capo elevando in alto il Crocefisso addita la Cina che vuol vedere la luce, e si può (dire) che Egli pronunci il Consumatum est, sono consumati tutti i sacrifici. Ma se Iddio ha detto basta ai suoi sacrifici, non ha detto basta alle sue fatiche apostoliche, anche dal cielo noi lo vediamo oggi percorrere le contrade e dire a tutti: predicate i doveri dell’apostolato; noi lo vediamo ancora oggi percorrere le contrade per interessarvi a pro’ della fede, a pro’ di una purificazione di anime. E io interprete della voce di Lui, oggi, oggi vi parlo a voi, e dopo avervi additato le vie dell’apostolato, in nome di Lui ve ne predico i doveri.

Voi mi dite: ma dunque abbiamo tutti il dovere di farci missionari? Dunque dobbiamo noi lasciare le nostre case a somiglianza di San Francesco Saverio, e farci religiosi; dare l’addio a quanto abbiamo di più caro quaggiù e muovere per lontani lidi, per poter compiere un apostolato a pro’ degli infedeli? E io vi rispondo: vi possono essere anche fra voi che mi ascoltate delle anime che Dio chiami a questo sacrificio, anime giovanili a cui può risuonare in questo momento, per mezzo mio la voce di Dio, e queste anime saranno veramente elette e avventurate se sapranno rispondere alla chiamata di Dio. Comprendo bene però che nella gran maggioranza non vi possono essere delle anime, e me fra voi, a cagione dell’età e degli impegni, è impossibile renderci apostoli in terre infedeli. Però ricordate bene che in quanto Cristiani siamo tutti arruolati nell’esercito di Gesù e ognuno ha il suo dovere da compiere, e questo esercito è stato chiamato a marciare alla conquista del mondo infedele. Ebbene ognuno di noi può rimanere fedele al posto nelle retrovie e fornire ai nostri fratelli che sono innanzi alla prima fila, tutti i mezzi necessari per poter compiere efficacemente le loro conquiste, niuno di noi è escluso dal dovere di lavorare a pro’ degli infedeli. Ai giovani io ripeto con S. Filippo Neri: beati voi, o giovani, beati voi poiché avete ancora del tempo per fare del bene a pro’ di tante anime; ma a chi è progredito negli anni, anche a chi rimane un solo anno di vita, io dico in un’ora sola, tu puoi guadagnare il Paradiso.

Noi dobbiamo lavorare per quanto potremo, per quanto sapremo, farci anche noi apostoli restando qui al posto di combattimento, a quel posto che ci fu assegnato da Dio. Guardate bene, questo è un dovere, perché chi può venire in aiuto di un’anima e non lo fa, pecca contro la carità. Tutti possono fare qualche cosa: vi è chi può pregare, chi può sacrificarsi, chi può immolarsi a pro delle anime dei propri fratelli, e questo lo possono tutti; tutti indistintamente. Chi col danaro, chi non può dare il danaro potrà dare l’opera spirituale, la preghiera fervente anzi, sono queste le prime monete con cui si comprano le anime: preghiera e sacrificio. E noi vediamo che in quel secolo in cui visse S. Francesco in cui si dovette lavorare contro la riforma, Iddio suscita quattro eroi: S. Ignazio di Lojola, con l’anima influente della scienza e accanto a lui pone l’apostolo S. Francesco Saverio, suscita S. Filippo Neri e accanto a questi tre grandi mette una grande anima che aveva sognato il martirio, e a quest’anima dice: tu sarai l’apostolo del sacrificio per essere coadiutrice dei miei apostoli, ed Ella è S. Teresa, che vi dice come tutti possiamo fare qualcosa a pro’ delle anime dei nostri fratelli, mediante la preghiera, il sacrificio, l’abnegazione quotidiana di noi stessi. Nella vita di una giovanetta elevata agli altari, la Beata Teresa del Bambin Gesù, si legge che essa qualche mese prima della sua morte, quando estenuata e affranta delle sue fatiche, era stata condotta nel giardino, e lasciata sola dalle sorelle, si levò e con grande stento passeggiava affaticandosi per uno dei viali del giardino. Sopraggiunse la suora infermiera e le dice: sorella, perché vi siete voi levata? Essa la guardò sorridente e poi disse: Io pensavo che forse in quest’ora un missionario nelle terre infedeli si sente stanco, egli avrà bisogno di nuovo vigore e di nuove forze, e io ho voluto offrire a Dio queste mie forze. Non potendo offrire altro per i fratelli infedeli, non offriva che un piccolo sacrifizio alla vigilia stessa della sua morte. Ed ecco l’azione. Tutti possiamo fare qualche cosa, tutti abbiamo il dovere di farlo, vi è un obbligo. Ci si dice: vi sono tante anime da salvare, noi riserbiamo le energie per queste anime che sono qui in mezzo a noi. Ebbene io vi rispondo: è vero che vi sono anime da salvare qui, ma vi fo notare che noi potremo in misura molto maggiore e sovrabbondante beneficare le anime che sono qui essendo generosi con gli infedeli, perché le benedizioni di Dio scenderanno abbondanti: quanto più noi lavoreremo a pro’ degli infedeli tanto più le benedizioni di Dio saranno abbondanti. Ma quando noi abbiamo dato qualche cosa per le missioni estere, e quando anche abbiamo sacrificato qualcuno dei nostri giovani, non abbiamo fatto tutto, solo perché Gesù disse riceverete il cento per uno. Non ragionava così S. Ignazio di Lojola allorquando gli furono richiesti alcuni dei propri figli: ne erano dieci e ne dà due e dei migliori. Non ragionava così S. Alfonso che spese tutte le sue fatiche apostoliche nel collegio cinese di Napoli, e quando si ricordava: no, no, diceva, io ho il dovere di andare a salvare gli infedeli. Ma una voce gli dice di rimanere ed Egli rimane. Ebbene, vedete dunque come anche noi non dobbiamo farci vincere da questa obiezione.

E finalmente io vi dico che questo dovere lo abbiamo stretto e imprescindibile, perché questo è il volere di Dio. Iddio ha parlato a mezzo del suo Vicario in terra, il Papa. E anche oggi il Papa ha parlato, e la parola del Papa è la parola di Dio. L’anno passato nella solennità della Pentecoste Egli per la prima volta celebrava nel tempio di S. Pietro, e fece annunziare che il sacrificio della Messa veniva offerto per la conversione degli infedeli, da quella Chiesa donde si irradiò la luce della civiltà cristiana. Egli disse che è dovere di noi cristiani di pregare per gli infedeli, poiché è grande il numero delle anime che ancora vivono lontane dalla fede, e ognuno di noi può rimproverarsi forse che qualcuna di quelle anime è andata perduta per nostra indolenza. E il Papa conchiude: da questa vedetta apostolica io levo il grido di ricordo, affinchè tutti i cristiani si arruolino per la conversione degli infedeli. È il Papa, notate bene, è il Papa che ha levato il grido di ricordo da S. Pietro, e si può dire che ubbidiente alla voce del Papa si è ridestato S. Francesco Saverio, quella Santa reliquia, quella mano che aveva benedetto, che aveva stretto il Crocifisso, che aveva benedetto i morti e li aveva risuscitati, ha fatto sentire ancora una volta la sua potenza. Nel secolo 12° un altro papa aveva levato il grido per marciare alla liberazione della sepoltura di Gesù. E al Papa fece eco un eremita, Pietro l’eremita, e dietro la sua predicazione tutti quanti pigliavano la croce dicendo : Iddio lo vuole. E non vi sembri ch’io esageri, poichè vi è stato uno che era il patrono di tutte quante le opere missionarie, egli si è messo a percorrere le contrade. Non sia mistero dell’anima nostra, e per provare l’anima mia, arruoliamoci tutti sotto il vessillo della Croce, e gridiamo anche noi: Iddio lo vuole.

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Ed ora venendo alle conclusioni è necessario questa sera risolvere fermamente, che quanto la santa Reliquia ci avrà lasciato non si spengano in noi i santi propositi; dobbiamo stabilire questa sera il nostro piano di azione a vantaggio delle missioni e poi mantenerci fedeli ad esso fino alla nostra morte, e soltanto allora noi potremo dire che veramente fummo partecipi dei benefici di quella santa Reliquia.

Dunque innanzi tutto ognuno di noi deve proporre che non passerà giorno senza aver ricordato particolarmente nella preghiera i nostri missionari. Per lo meno seguiremo l’esempio di S. Francesco, e lo pregheremo di avere pietà per quel numero sterminato di anime infedeli, pregheremo ogni giorno per la salvezza dei nostri fratelli, per venire in aiuto dei missionari. Quest’opera spirituale tutti la possono dare, e tutti la debbono dare, e poi ecco che dalle lontane missioni ci giunge il grido dei missionari nostri: la messe è molta gli operai sono pochi. Ebbene, che cosa noi dobbiamo fare? Per quanto è in noi aiutiamo le vocazioni ecclesiastiche. Le sante offerte che voi lasciate in questi giorni qui hanno lo scopo di venire in aiuto delle missioni, e soprattutto dei PP. della Compagnia di Gesù. Abbiamo qui nel nostro mezzogiorno di Italia un seminario sorto da poco che si intitola al Sacro nome di Gesù; vi è poi un’opera che il Papa ha voluto fare opera universale sotto il santo patrocinio di S. Francesco, e scrivendo di essa a tutti quanti noi Vescovi Egli diceva: Avete il dovere di cooperarvi per quest’opera. E quest’opera impone appunto questo duplice obbligo: dare l’obolo spirituale e l’obolo materiale. Obolo spirituale, imponendo tutti i giorni una preghiera; l’obolo materiale, dare ogni settimana almeno un soldo: chi non può dare un soldo? Anche il povero, il mendico, l’accattone può dare un soldo. Fra tutti quanti voi che mi ascoltate, chi non si farà un dovere di iscriversi a questa opera voluta e invocata dal Papa, all’opera della propagazione della Fede? Vi è poi l’opera della Santa Infanzia, a cui si iscrivono i fanciulli e gli adolescenti. Voi, o padri e madri, educate i vostri figli alla carità, educateli alla perfezione della carità, fate che essi sappiano risparmiare qualche cosa. Tanti fanciulli sono privi della gloria del Santo Battesimo, rendeteli nei loro primi anni apostoli del Signore e sopra di essi scenderà la benedizione Divina. Ma vi sono molteplici opere missionarie; e così fra le spese della buona stampa, mettere la spesa per l’abbonamento a qualche periodico missionario, e avremo così santificate tante conversazioni inutili e futili, e noi ci saremo fatti apostoli non della cattedra, ma apostoli minuti.

Ricordatevi che facendo questo noi diamo la più grande gloria che possiamo dare al Cuore divino di Gesù.

Quando il seme della fede è annunziato agli infedeli, essi non solo divengono cristiani, ma eroi del Cristo e rinnovano le feste gloriose dei primi secoli della Chiesa.

Tre anni or sono in S. Pietro, Benedetto XV elevava agli onori dell’altare una schiera di giovanetti: erano i beati giovanetti paggi dell’Uganda. I missionari che avevano messo piede in quella terra che lasciarono irrorata di sangue, avevano suscitata una schiera di eroi. Ecco uno di quei giovanetti dopo essere stato trascinato per un giorno intero, egli domanda un po’ d’acqua; gli si appressa del vino, ma quando gli viene porta la tazza egli la guarda e dice: no, voglio offrire il mio supplizio per amore di Gesù Cristo. Vedete quanta eroicità! Il capo di questa schiera è condannato al martirio ancora più straziante, a essere arso a fuoco lento: incominciano a mettere il fuoco ai piedi, e quando i piedi sono consumati egli dice al carnefice di cambiare il posto al fuoco. E chi è che ha cooperato a tanta gloria? Tutti quei fedeli che dettero l’opera spirituale e l’opera materiale. Vedete quindi che venendo a dare noi per le missioni estere, veniamo a dare molto alla causa dei santi. E voi mi domandate: ma quale dovrà essere la misura? Ebbene, ebbene, riconosco di avere abusato forse della vostra pazienza, ma l’argomento mi stava molto a cuore, quale dovrà essere la misura? La misura ce la dice il nostro santo, S. Francesco Saverio. Nella sua vita è raccontato che in una notte, mentre Egli veniva peregrinando nelle regioni infedeli, il compagno fu svegliato all’improvviso dalla voce di lui che ripeteva nel sonno, con veemenza: più, più. Il compagno gli domandò di che si trattasse, ed Egli non volle dire nulla. Ebbene, quando a Lisbona Egli dovette separarsi dal suo compagno, il Saverio fra le altre cose volle confidargli il segreto di quel più, quel misterioso più. Egli disse: io avevo sognato che soffrivo patimenti e stenti, ebbene nel sonno, benchè mi sentissi così oppresso, pure pensando a tante anime che hanno bisogno di essere rigenerate dalla vita, io pregavo il Signore di concedermi ancora più, sempre più sacrifici. Era questo il segreto che il Grande apostolo nel salpare alla volta del teatro del suo apostolato svelava al suo amico. Il suo segreto forma la quantità, la misura. Ebbene il più, il più di S. Francesco Saverio io credo che sia l’eco di quel sitio che Gesù Cristo disse sulla Croce; io ho sete, io ho sete di anime.

Noi vediamo splendere al nostro sguardo l’immagine del Cuore di Gesù Cristo: eccolo là il Cuore Divino, ecco là S. Francesco Saverio che è ai piedi di quell’altare facendo prodigi, elargendo grazie.

Avete fatto molto in questi giorni, ebbene S. Francesco, vi sollecitiamo ancora, e soprattutto vi sollecitiamo per l’avvenire, e noi andremo ripetendo di giorno in giorno, di ora in ora, più, più, ancor più, per il bene delle anime nostre, e nell’ora della nostra morte noi ci vedremo nel Paradiso, e noi benediremo quell’ora e quel momento in cui la Santa Reliquia è passata rinsaldando in noi la fede, richiamandoci alla grazia.

Panegirico sui Santi Protettori di Troia

Panegirico sui Santi Protettori di Troia

Predicazione B (pagg. 13 – 16)
Archivio della Curia Diocesana di Troia
Scatola VI bis. – Cartella n. 2
*Scritto autografo del S. D., su 4 facciate di due foglietti piegati in due.
Panegirico sui Santi Protettori di Troia (Riconoscenza del S. D. al Signore per aver donato i Santi Protettori a presidio e conservazione della fede).
(Troia, 19 luglio 1923).

Panegirico sui Santi Protettori di Troia
19 Luglio 1923

Oh quale nostrae providus est Deus largitus Aecae praesidium et decus.

Eccellenza, figliuoli carissimi è un mese appena e con straordinaria solennità veniva accolto per breve ora nella nostra città il braccio di S. Francesco Saverio. Il ricordo di quelle accoglienze trionfali mi fa risalire col pensiero a otto secoli or sono, quando in questo giorno avventurato in un santo delirio di fede la nostra città accolse l’urna con le reliquie di tre dei suoi cinque santi protettori. Dopo otto secoli ogni anno questo giorno riveste per noi carattere di particolare letizia. Ricordo la profonda commozione del mio animo sin dai primi vespri della festa. Ore concordi modulisque festum. Hanc diem laeti celebremus omnes. Ecce Sanctorum properant ad Aecam Ossa Patronum. Quale la ragione della nostra letizia? – quale il significato della nostra festa. Riconoscenza al Signore per averci dato nei nostri Santi Protettori il nostro presidio e la nostra gloria. Quelle urne formarono sempre e dovranno formare il nostro usbergo di difesa = quelle urne nel loro muto ma eloquente linguaggio ci additano qual è la nostra vera gloria e il dovere e il modo di conservarla ed accrescerla. Oh quale nostrae provvidus est Deus largitus Aecae praesidium et decus.

Sono il nostro presidio. Il tesoro inestimabile della fede, nel 44 dopo Cristo, S. Pietro trasferendosi da Antiochia a Roma passa per Taranto, Siponto, Andria, Arpi, Ecana, vi porta la Fede e vi stabilisce sedi vescovili. S. Eleuterio, nato in Roma da Anzia, mobilissima matrona, moglie d’un senatore romano, a 12 anni è condotto a Ecana per consiglio di S. Cleto (3°Papa) per esservi educato dal vescovo Dinamio. Questi lo assume come suo coadiutore nella predicazione. Lo manda a Roma al papa S. Anacleto per farlo consacrare suo coadiutore. E’ mandato evangelizzatore degli Schiavoni. Dopo la morte di Dinamio è chiamato ad Ecana. Infierendo la persecuzione di Trayano è tradotto a Roma, è sottoposto ai supplizi, rimane illeso per miracolo; è tradotto nel Circo, le fiere rimangono ammansite, è ucciso a colpi di scure dai confutores. S. Anzia ne raccoglie il capo insanguinato, muore uccisa nell’amplesso delle spoglie del figlio morto, le reliquie di entrambi sono raccolte in uno dei cimiteri di Roma. Queste reliquie più tardi insieme con quelle di S. Ponziano papa e di S. Anastasio Diacono furono rinvenute nel 773 nascoste lungo la via Flaminia. Portate a Tivoli, ebbero ivi grande venerazione. Un benedettino di Montecassino e un monaco del monastero di S. Eleuterio dicono al Vescovo Guglielmo II Bigotto, essere volere di Dio che quelle reliquie vengano a Troia. Di notte tempo le trafugano insieme con l’abate di Montecassino. Il 19 luglio 1105, insieme col Vescovo di Troia sono quelli di Bovino e di Tertiveri.

San Secondino combatte l’eresia Ariana in Africa insieme con altri 12 sacerdoti distribuisce le sue sostanze ai poveri e si ritira in solitudine. E’ poi catturato insieme con essi, è flagellato, è abbandonato in mare – a. 430. Approda ai lidi campani. Eclana, retta da Giuliano vescovo eretico (pelagiano), lo reclama per suo vescovo: viene sgomina(ta) l’eresia e regge quella sede dal 439 al 451, anno della sua morte. Ecana fu distrutta da Costantino II nel 630. Le reliquie furono rinvenute nel 1080 essendo vescovo di Troia Gualterio consacrato da S. Gregorio VII.

San Ponziano – resse la Chiesa per poco più di un lustro. Nei primi anni, regnando l’imperatore Alessandro, si ebbe tregua ed egli attese a difendere e propagare la religione cristiana con la predicazione e con le opere di zelo e fu quasi continuatore dell’apostolato compiuto in questo genere da Tertulliano e da Origene. Per opera del prefetto Ulpiano è condannato all’esilio in Sardegna: sua mansuetudine e sua fortezza. E’ martirizzato nell’isoletta detta del tavolato – lungo il viaggio egli ha confermato nella fede i cristiani delle chiese per le quali egli è passato. E’ martirizzato con orribile flagellazione. Le sue reliquie trasportate a Roma, per lungo tempo ristettero nella camera dei pontefici del Cimitero di S. Callisto in Roma.

S. Anastasio Diacono e Confessore.

Praesidium – ci conservarono il patrimonio della fede.

Nelle persecuzioni S. Eleuterio.

Nel periodo delle eresie S. Secondino.

Nell’età di ferro del Papato – Le loro sante reliquie, cui si aggiungono quelle di S. Ponziano e di S. Anastasio.

Nel secolo XVI in cui l’umanesimo preluse all’eresia protestante S. Urbano.

Nel secolo XVII Mons. Cavalieri – il P. Calchi . S. Paolo della Croce.

Nel secolo XVIII S. Alfonso.

Nel secolo XIX Mons. Passero e Mons. De Simone.

Nelle calamità e nelle prove non si ricorse mai ad essi invano.

Decus. La nostra gloria. La fede conservata integra per l’attaccamento al Romano Pontefice, praticata con la santità dalle opere – la monarchia normanna – il Concilio di Trento.

Sopravvive soltanto il nostro maggior tempio testimone delle passate glorie, perché sorretto dalla Fede.

Troia culla e ospizio di santi. S. Marco. Il B. Urbano – S. Pietro Vescovo di Policastro. S. Vittore – i beati martiri d’Otranto – il Ven.le Eustachio – Il Seminario – La vita comune del P. Calchi – i primi compagni di S. Alfonso.

Panegirico su San Giovanni Battista

Panegirico su San Giovanni Battista

Predicazione B (pagg. 18 – 19) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 2
*Scritto autografo del S. D., composto di n. 2 pagine.
Panegirico su S. Giovanni Battista (Il S. D. afferma che in S. Giovanni Battista si preannunciano e risplendono le tre fulgide glorie della Chiesa: Apostolato, Verginità, Martirio).
(Castelluccio Valmaggiore, 24 – 6-1924).

Panegirico su San Giovanni Battista
Castelluccio Valmaggiore – 24 Giugno 1924

Erit magnus coram Domino.

Inter natos mulierum non surrexit maior Joanne Batista.

Grande per la sua missione. Praecursor Domini. L’umanità precipitata nell’abisso del più grande sfascio morale sospira il Riparatore – Cicerone = si è giunti a tal punto che la società umana si trasforma dalle fondamenta o il mondo tutto va in rovina. L’Oriente sospira questo riparatore. Lo sospirano le tribù barbare. Esso viene: Egli è Gesù Cristo. La grande rivoluzione cristiana, che strappa l’umanità dall’abisso in cui era precipitata e la sospinge in alto. In questa ascensione non si arresterà più (Cesare Balbo).

A preparare tutto ciò, a preannunziare il Riparatore, il Redentore Divino, ad aprirgli innanzi la via e a rendere testimonianza di Lui è prescelto San Giovanni Battista. Egli precederà il Messia in spiritu et virtute Eliae. Praeibis enim ante faciem Domini parare vias eius. Missione grande anzi unica per la sua grandezza e per la sua altissima importanza.

Grande per la sua santità. Gesù Cristo al mondo che si è formato tre idoli – la gloria – le ricchezze – il piacere – verrà a contrapporre l’umiltà – la povertà cioè il distacco dai beni terreni – la purezza e l’abnegazione cristiana. Alla legge del piacere sostituirà quella del dovere, del dovere compiuto sino all’eroismo. Ha voluto per ciò che nel grado più perfetto ciò si rinvenisse nel suo Precursore.

L’umiltà di San Giovanni – il suo nascondimento. Ego vox clamantis. Cui non sum dignus solvere calceamenta. Oportet illum crescere me autem minui.

La sua povertà – e il suo distacco – vive lontano da tutto e da tutti = in desertis – veste di pelle di camello – si ciba di locuste e di miele selvaggio – non ha abitazione.

La sua mortificazione e la sua purezza – Digiuna, veste il cilicio, dorme sul nudo suolo. Purezza = purificato fin dal seno materno in virtù dei meriti infiniti del Redentore per mezzo della Regina dei Vergini che viene alla sua casa. Vive nel deserto come giglio olezzante. E’ predicatore invitto di purezza. Muore martire per predicare e sostenere i dritti sacri ed inviolabili di questa virtù.

Le tre fulgide glorie della Chiesa: l’apostolato, la verginità, il martirio sono da lui preannunziati e risplendono in lui. Egli fu apostolo, (additò e annunziò al mondo Gesù Cristo), fu vergine, fu martire.

Grande in ammirabile gara lo predica il cielo e la terra, fattisi entrambi eco della voce del Redentore: non surrexit maior ecc.

Il cielo coi prodigi.

La terra = il culto, i templi in onore di lui, l’opere d’arte, ecc.

Panegirico su S. Alfonso

Panegirico su S. Alfonso

Predicazione B (pagg. 20 – 23) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 2
*Scritto autografo del S. D. su un foglio avanti e dietro.
Panegirico su S. Alfonso (Il S. D. vede in S: Alfonso il più valido baluardo di difesa contro gli errori del secolo XVIII). (Pagani, 2 agosto 1924)

Panegirico su S. Alfonso
Pagani, 2 Agosto 1924

Spiritus Domini super me: propter quod unxit me, evangelizzare pauperibu smisit me, sanare contritos corde.

In diebus peccatorum corroboravit pietatem.

Factus sum infirmis infirmus, ut infirmos lucri facerem – 1Cor.

Posui vos, ut eatis, et fructum afferatis, et fructus vester maneat. – Joan. 15.

Sacerdos magnus, qui in vita sua suffulsit domum, et in diebus suis corroboravit templum, quasi ignis effulgens, et mens ardens in igne. Eccl.50

Simone figliuolo di Onio – Sacerdote grande, che durante la sua vita rassodò la mistica casa e corroborò il tempio, simile a fiamma splendente e incenso che arda e si consumi nel fuoco.

Il 27 Agosto 1723 – il giovane e nobile avvocato ai piedi della Madonna della Mercede – Il giorno della sua conversione.

Ogni anno vi affollate in questa basilica per udir le lodi del vostro S. Alfonso. In quest’anno santo altri di me più degno avrebbe dovuto parlarci di lui, ma la Provvidenza Divina dispose che fossi io, vescovo di due diocesi che particolari memorie legano a sì gran santo. Troia e Foggia. Mons. Cavalieri, la Madonna dei Sette Veli.

Queste parole si verificano in lui pienamente. L’essenza del sacerdozio è riposta nel continuare in mezzo al popolo dei fedeli la divina missione di Gesù Cristo – applicare alle anime i frutti della sua redenzione divina – e S. Alfonso per ciò fu sacerdote grande perché niuno quanto lui, in maniera affatto grande e straordinaria lavorò ad applicare alle anime i frutti della Redenzione compiuta da N. S. Gesù Cristo.

E la Chiesa nel secolo XVIII, la mistica casa del Signore, il tempio augusto delle sue glorie contro l’eresia del Giansenismo, contro il Regalismo che negava al Papa le sue più fulgide prerogative – contro la volgarizzazione e la popolarizzazione dell’errore il più forte baluardo e il più valido scudo di difesa – per opera del Voltaire e degli Enciclopedisti – si ebbe in Lui il più forte baluardo, il più valido scudo di difesa.

Sacerdote grande perché grande fu il suo apostolato. Grande nel porre le condizioni e nell’avvalersi dei mezzi che ad ogni apostolato sono essenziali. Grande per la comprensione di un tale apostolato per cui a tutto quanto potesse giovare alle anime egli pose mano.

Grande per la sua durata che oltrepassando i confini della sua vita terrena, già di per sé straordinariamente lunga, si perpetua e si perenna attraverso i secoli.

E contro l’errore che ottenebra le menti e la corruzione che contamina i cuori Egli apparisce quale faro splendente di luce, quasi mistico incenso che col suo profumo ci solleva con le tre aspirazioni dalla bassa gora di questa terra, verso i puri orizzonti del cielo.

  • Giansenio – Dio quasi tiranno esecrabile.
  • Voltaire – schiacciate l’infame – amate Gesù Cristo

Due contemporanei Alfonso e Voltaire, hanno così traversato il loro secolo lavorando senza tregua, uno per Iddio e l’altro contro Dio. Il Voltaire nacque il 1694, Alfonso nel 1696. Il primo morì nel 1778, Alfonso nel 1787. Ambedue avevano ricevuto dal cielo un ingegno eccezionale: il primo se ne valse per un’opera di odio, il secondo per un’opera tutta d’amore. L’uno si unì al Cristo col legame della più indistruttibile amicizia, l’altro si dichiarò “il nemico personale” di questo medesimo Cristo, figlio di Dio. Alfonso creò una società di redentori per lavorare con lui alla salvezza delle anime: Voltaire creò la setta enciclopedica per corrompere e perdere tutti i redenti da Gesù Cristo.

Il fautore di Satana schernì per 50 anni la Chiesa, i suoi sacramenti, il suo culto; l’uomo di Dio glorificò in questo stesso mezzo secolo tutto quello che l’altro insozzava. Voltaire mescè il veleno; Alfonso amministrò il controveleno. Voltaire, caro alle anime depravate, resterà dottore dell’eterna perdizione; Alfonso prediletto dalle anime pure e dal peccatore che tende a redimersi sarà sempre venerato come dottore della salute, maestro sicuro delle vie che guidano al cielo. E mentre il mondo corrotto innalzerà statue al Voltaire, ministro e cooperatore di Satana, la Chiesa di Dio erigerà altari ad Alfonso, uno dei più potenti ausiliari del Divin Redentore. Vita del Berthe par. 433 Vol.1 pag. 417.

Voltaire e S. Alfonso: Il livore di Satana – la conferma da parte di Dio.

1 – Mezzi – purezza – umiltà ( sacrificio della gloria, ricerca di umiliazione) – ubbidienza – preghiera (orazione, operosità, martirio).

2 – Ampiezza del suo apostolato – il missionario – il dottore del popolo (abbraccia ogni ceto di persone, popolani professionisti, religiosi, clero, vescovo, il Papa, la Chiesa – Voltaire – Perpetuità del suo apostolato – le sue opere – la sua congregazione

Perorazione. Un monito = lavoriamo per le anime – Un segreto = la divozione alla Madonna.

Appunti di predica sulla Passione

Appunti di predica sulla Passione

Predicazione B (pag. 1) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 1
*Scritto autografo del S. D. su un foglietto (su una sola facciata, senza firma del S. D.
Appunti di predica sulla Passione ( E’ uno schema incompleto, in cui il S. D. parla della Passione di Gesù Cristo, citando Eb. 4,11-16; 5, 1-10 e Gal. 2,20). (Troia, 9 aprile 1925).

Predica sulla Passione – Troia 9 Aprile 1925

Nos enim habemus Pontificem, qui non possit compati infirmitatibus nostris = tentatum autem per omnia pro similitudine atque peccato.

S. Paolo agli Ebrei – Cap. IV – 11-16; 5,1,10 – lezioni del terzo notturno del venerdì santo, (Imperrocchè non abbiamo un Pontefice il quale non possa aver compassione delle nostre infermità ma similmente tentato in tutto tolto il peccato).

Dilexit me et tradidit semetipsum pro me – mi amò e diede tutto se stesso per me – vivo autem jam non ego: vivit vero in me Christus – S. Paolo ai Galati. Cap. 2 vers. 20.

La croce segno d’ignominia e di morte, tramandata in segno di gloria e di vittoria, segno di risurrezione e di vita. Da retaggio dei rei sempre maledetto ed esecrato, è divenuto il sospiro e l’ambito ritaggio dei santi, sempre invocato e benedetto.

1° Punto la Passione del cuore

Tentatum autem per omnia. a) Trepidazione dolorosa per l’imminenza della passione; b) annientamento del cuor di Gesù sotto il peso dei peccati del mondo; c) desolazione del Cuor di Gesù.

Schema di predica sulla Madonna del Carmine

Schema di predica sulla Madonna del Carmine

Predicazione A (pagg. 136 – 137) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 22.
* Foglietto autografo del S. D., scritto avanti e dietro
Schema di predica sulla Madonna del Carmine.
Foggia – 16 Luglio 1925

Schema di predica sulla Madonna del Carmine
Foggia – 16 Luglio 1925

A chi viene in Palestina per la via di Smirne, oltrepassato il porto di San Giovanni d’Acri (l’antica Caifa) apparisce, sulla sponda sinistra il monte Carmelo. Monte Sacro, santificato da Elia – la nuvoletta apparsa a Lui simbolo di Maria.

Monte santificato dalla Madonna, secondo la pia tradizione ebraica.

I primi fedeli, che avevano avuto la sorte di conoscere personalmente Maria, le consacrarono ivi un’altare.

I Carmelitani –

L’apparizione della Vergine a S. Simone Stock, nell’anno 1251. “Prendi lo scapolare del tuo ordine, chi morrà rivestito di quest’abito sarà preservato dal fuoco eterno.”

Apparizione al Papa Giovanni XXII –

I carmelitani elessero questo giorno per tributare a Maria l’omaggio della loro servitù in riguardo degli innumerevoli benefici di cui gli andavano debitori.(Sisto V°).

Benedetto XIII – la estese a tutto l’Orbe 1725.

Leone XIII – nel 1892, concesse la Porziuncola del Carmelo.

L’abitino = segno di figliolanza, pegno di benedizione e di favori spirituali.

Condizioni per portarlo con frutto.

I falsi divoti di Maria = i divoti esteriori, i divoti ipocriti.

Lo scapolare simbolo di purezza e di mortificazione.

Solo a questa condizione si verificherà a nostro riguardo la verità.

Un figlio di Maria non perirà giammai.

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Vedi Wermesch – Le feste di Maria.

Schema di predica sulle Ore di Maria Desolata

Schema di predica sulle Ore di Maria Desolata

Predicazione A (pag. 127) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 22. – Anni ‘20 in poi.
* Foglietto autografo del S. D., scritto su una sola facciata.
Schema di predica sulle Ore di Maria Desolata. (Parrocchia di S.Giovanni B. – 2 Aprile 1926).

– Ore di Maria Desolata –
Foggia – Parrocchia di S. Giovanni Battista – 2 Aprile 1926

1 – Introduzione

2 – La lanciata di Gesù – la spada del dolore passerà da parte a parte nell’anima tua.

3 – La deposizione dalla Croce – l’adorazione delle S. Piaghe.

4 – la sepoltura di Gesù – il distacco dal suo figlio amatissimo – nostra indifferenza nel vivere lontani da Gesù – frequenza alla santa Comunione – il tabernacolo.

4 – L’Adorazione della S. Croce.

6 – Il ritorno in Gerusalemme – Medita nella solitudine della sua casetta la Passione e la Morte del suo Figliuolo.

7 – Il Perdono di S. Pietro – Maria Addolorata Madre e Regina di Misericordia.

Discorsetto in onore di S. Geltrude

Discorsetto in onore di S. Geltrude

Predicazione B (pagg. 24 – 27)
Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis – Cartella n. 2
*Scritto autografo del S. D. su un foglio piegato in due, scritto su tre facciate.
Discorsetto in onore di S. Geltrude (Il S. D. oltre che parlare della vita di Santa Geltrude, mette in evidenza i suoi ammaestramenti). (Napoli, 16 giugno 1927)

Discorsetto in onore di S. Geltrude
Napoli 16 Giugno 1927

Nacque in Mansfeld città della Germania nel 1263 – il 6 gennaio, che in tale anno capitò di venerdì. Battezzata lo stesso giorno, tenne durante il sacro rito gli occhi sempre rivolti a un crocefisso. A tre anni mostrava che già avesse l’uso della ragione. A cinque ottenne di entrare nel monastero benedettino di Rodarde – più tardi vestì le sacre lane di San Benedetto e si legò a Gesù con voto perpetuo di verginità.

Gesù le disse:“ Io ti ho scelto per abitare in te e per trovare in te le mie delizie”. Altra volta “io voglio rivestirmi di te, acciocchè la mia mano potrà ripigliare il peccatore e fargli del bene”.

Attese con ardore allo studio delle lettere e delle scienze sacre e profane. Ebbe allora vanità puerili, amore disordinato allo studio, si distrasse alquanto nella via della perfezione. Gesù la richiama con una prova – un mese intero di pene interiori e di malinconia che le tolgono pace e riposo.

Al suo 25° anno di età si convertì a vita di alta perfezione = la sera del 2 febbraio Gesù le apparve; la confortò; le si esibì per consigliere e maestro: “Tu hai, coi miei nemici leccata la terra, succhiato il miele in mezzo alle spine, ma ritorna a me, ti riceverò e ti inebrierò col torrente dei miei piaceri divini”. Una siepe la separa da Gesù – Gesù le porge la destra – vedendo che si sforzava invano di superarla – ed essa allora vi sale sopra e la scavalca con facilità.

Gesù diviene suo maestro: per nove anni continui le si fece vedere sempre, tranne appena per undici giorni, trascorsi in affari temporali del Monastero.

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Ammaestramenti

Il grande ammaestramento – Prepararsi alla morte

  1. – Sforzarci per andare a Gesù Cristo ed Egli ci verrà in aiuto – sforzarci di sormontare la nostra siepe, il nostro difetto o vizio predominante.
  2. Essere docile all’insegnamento di Gesù – ispirazioni, buoni consigli, esortazioni, prediche, buone letture, incidenti della vita. Seguire i suoi insegnamenti con prontezza, con generosità, e combattere. Il regno dei cieli patisce violenza.

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1° = Fondarci nell’umiltà, umiltà di San Geltrude. Chiama i primi 25 anni della sua vita anni di perdizione.

Non sa comprendere come per mezzo di Lei il Signore potrà tirare a Sé molte anime. Non possiamo fare alcun frutto senza la virtù di Dio.

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Purità

Dio e il peccato sono termini inconciliabili. Purezza di San Geltrude. S. Matilde la vide nella gloria dei cieli, che stringeva nella destra un purissimo giglio.

Girava intorno a Gesù con lo sguardo sempre fisso in Lui, pure attendendo al disbrigo delle varie faccende.

Tutto per Dio. Anche le azioni minime compiute per amore di Dio e per piacere a Lui solo, hanno inestimabile valore per la vita eterna.

Non tollerava negli altri le più piccole colpe – infaticabile e intransigente nel correggere.

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Carità

La carità verso Dio = uniformità al divino volere – la giaculatoria prediletta = “Non la mia, ma la tua volontà si faccia, o Gesù amatissimo”. Uniformità nella tribolazione – malattia e sofferenze di San Geltrude.

La carità verso il prossimo – Charitas operit multitudinem peccatorum.

Gesù le accorda piena remissione dei suoi peccati e mancamenti e domanda in ricambio un’opera buona ogni giorno. Offrire per lui un passo, un gesto, una parola affettuosa al prossimo, un accento caritatevole a un peccatore o ad un giusto –

“Non potrai tu una volta al giorno alzare da terra una paglia, o dire un Requiem per i defunti, Ora, d’un solo di questi atti sarà contenuta la mia bontà”. Gesù accordò la medesima remissione, a chi farebbe tal penitenza. San Geltrude inferma, va a visitare la sua consorella gravemente ammalata”. Sua beata morte. La sua divozione alla Madonna.

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Protezione di San Geltrude

“In considerazione dei tuoi meriti, concederò a tutti qualche favore spirituale”. Molti peccatori si sarebbero convertiti. Quanto da alcuno si chiederà in nome di Lei a Dio, verrà concesso infallibilmente, purché sia conforme alla salute dell’anima sua.

Protezione su Napoli.

Schema di predica su S. Francesco d’Assisi

Schema di predica su S. Francesco d’Assisi

Predicazione B (pagg. 28 – 30) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 2
*Scritto autografo del S. D., su un foglio piegato in due, scritto su tre facciate, tranne la parte finale in latino, che è scritta da altra mano.
Schema di predica su S. Francesco d’Assisi (S. Francesco, umile araldo del Gran Re, che predica il Vangelo, dottrina d’amore). (Salerno, 2 ottobre 1927).

Schema di predica su S. Francesco d’Assisi
Salerno – 2 Ottobre 1927
Praeco sum magni Regis –
Io sono l’araldo del Gran Re.

San Francesco D’Assisi

Io sono l’araldo del Gran Re = il 16 Aprile 1206. Francesco Araldo di Cristo al chiudersi della società medioevale e all’aprirsi dell’età nuova dei Comuni. Gli Apostoli Araldi di Cristo al cospetto del mondo pagano. Benedetto da Norcia al cospetto della società medioevale. Francesco Araldo di Cristo nell’età nuova dei Comuni.

Il vero araldo, deve ricevere il mandato, compierlo con fedeltà e perfezione.

1° =Francesco riceve il suo mandato = il crocefisso di San Damiano – Francesco introdotto ai piedi d’Innocenzo III dal Cardinale Giovanni Colonna.

2° = Compire con perfezione il suo mandato, annunziare il Vangelo, vivere il Vangelo.

Il Vangelo dottrina di Amore

La nostra natura traviata per il peccato si chiude in se stessa e nulla riconosce e nulla amò all’infuori di sé. Quest’amore disordinato del proprio io che sospinge l’uomo sino (all’) auto-adorazione – a divinizzare se stesso, e a tutto sacrificare all’appagamento del proprio io – onde l’ambizione e l’… appagamento delle voglie disordinate del suo spirito.

La concupiscenza appagamento dei piaceri del senso.

La cupidigia – l’amore disordinato dei beni della terra come mezzo per conseguire e la propria esaltazione e le proprie voglie.

In ogni età noi vediamo questa triplice manifestazione dell’amore del proprio io.

L’umile araldo del Gran Re predica il Vangelo dottrina d’amore, dilige Dominum Deum Tuum et proximum tuum sicut teipsum.

L’ostacolo – l’attacco ai beni della terra, la povertà come base e come fondamento.

La ricerca del piacere sensibile – la castità e la purezza – la mortificazione e la penitenza.

Il proprio io = l’umiltà = spernere – se sperni – la libertà dei figliuoli di Dio.

L’autenticità del mandato.

La sublimità del mandato.

L’ampiezza del mandato – l’individuo , la famiglia, la società.

Il popolo cristiano e il popolo pagano – Fedele da … Antonio di Padova, Bernardino.

L’uomo peccatore – l’uomo anelante alla perfezione – Bonaventura e Francesco di Sales.

La società dei dotti – Lorenzo da Brindisi, Dante, Manzoni, il Volta.

L’umanità sofferente – la peste, Cottolengo, P. Ludovico.

Il Secolo XIX – Cottolengo, P. Ludovico, il Massaia – Leone XIII – il patto di Assisi, l’unione delle chiese dissidenti.

(scritta da altra mano):

Quasi stella matutina in medio nebulae et quasi luna plena in diebus suis lucet. Et quasi sol rifulgens sic illa effulsit in templo Dei.

O Patriarcha pauperum, Francisce, tuis precibus ange tuorum numerum in caritate Christi, quos cancellatis minibus coecutiens, ut moriens Jacob benediscisti. Alleluia

Meditazione sullo spirito di sacrificio

Meditazione sullo spirito di sacrificio

Fiorita d’anime (pagg. 1-3)
FIORITA D’ANIME. Foggia, Agosto 1929 – Anno VI N. 8
Al secondo Convegno di Foggia: fremiti di vita = amore di sacrificio. Meditazione del S.D. sullo spirito di sacrificio.

Meditazione sullo spirito di sacrificio
Al secondo Convegno di Foggia:

fremiti di vita = amore di sacrificio

Festosa accoglienza
al V. Delegato Regionale della G. C. dell’Alta Puglia

 

… (omissis).

La Meditazione

… (omissis).

Lo spirito di sacrifizio può dirsi uno dei fondamenti del Cristianesimo, Gesù Cristo non volle redimere l’umanità che mediante il sacrifizio, insegnando così la divina fecondità dell’immolazione, la quale – per la nostra unione con Lui, capo del mistico corpo della Chiesa, di cui noi siamo membra – è diventata uno dei mezzi più potenti per concorrere alla santificazione delle anime.

Tutto l’insegnamento di Gesù Cristo abbonda di esortazioni di sacrifizio. «Chi vuol venire dietro di me rinunzi a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua». «Se il grano di frumento caduto nella terra non marcisce, esso resta solo». «Quando sarò levato in croce, allora trarrò tutto il mondo a me».

È così evidente questa verità, che i secoli cristiani non seppero trovare simbolo più adatto alla loro fede che quello della croce.

Ma come praticheremo noi, giovani cattolici, questo spirito di sacrifizio?

  1. Coll’abbracciare generosamente tutte le piccole, ma costose rinunzie che c’impone l’osservanza della legge di Dio, il proposito di mantenerci lontani dal peccato e di conservare, splendido e profumato, il mistico giglio della nostra purezza.
  2. Col soggiogare le nostre passioni in uno sforzo costante di perfezionare giorno per giorno le anime nostre. Conculcare l’amore proprio, l’amor della comodità, la pigrizia, per sostituirvi l’umiltà, l’operosità, l’abnegazione, e conquistare l’impero della volontà sulle facoltà inferiori delle nostre anime.
  3. Con l’osservanza puntuale, scrupolosa dei doveri del proprio stato, sicché in qualunque tronco di attività, nell’officina, nella scuola, sui campi, i giovani cattolici abbiano sempre ad occupare il primo posto, ed i nostri avversari abbiano a dover confessare che quando vogliono trovare un giovane davvero valente, devono ricercarlo nelle file dei cattolici. È questa la più bella apologia della nostra fede.
  4. Col dedicarci a disimpegnare puntualmente, entusiasticamente i doveri che ci impone la nostra organizzazione.

È necessario convincersi che la gioventù cattolica è associazione di anime generose. Chi cercasse tra noi soltanto divertimenti e sollazzi, sbaglierebbe; altre associazioni esistono che possono meglio di noi far questo.

I martiri compresero bene che il cristianesimo è sacrifizio, per la loro fede donarono anche la vita. Né bisogna credere che al presente sia finita la generazione delle anime generose, che abbracciano con animo lieto l’immolazione e il sacrifizio.

Pasqualino Pirro fu una di queste anime, vissuta in mezzo a noi, rapitaci ora, è soltanto qualche mese.

Egli sofferse lungamente; vide sfiorire la sua giovinezza, ma non ebbe che parole di ringraziamento al Signore che lo rendeva degno di immolarsi per amor suo. Pur in mezzo alle sofferenze della malattia egli pensava a mortificarsi, rinunziando a tutti i piccoli sollievi che i suoi gli offrivano, unicamente inteso a imitare più da vicino Gesù Cristo.

Mons. Farina terminò esortando i giovani a far tesoro di un così bello esempio che il Signore ha voluto porre sotto i nostri occhi, ed a domandare lo spirito di sacrifizio durante la Santa Messa, nella quale si rinnova misticamente il Divin Sacrifizio della Croce ed è simboleggiata mirabilmente l’unione dei nostri sacrifizi con quelli della Vittima Divina, allorché l’Ostia Santa, posata sulle Reliquie dei Martiri che sono al centro dell’Altare viene offerta a Dio Padre dal Sacerdote, che – chino su di essa – offre insieme con Gesù Cristo sé stesso e il popolo.

Per la consacrazione del Santuario di Materdomini

Per la consacrazione del Santuario di Materdomini

Predicazione B (pagg. 31 – 33) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 2
*Scritto autografo del S. D., su un foglietto piegato in due, scritto su 3 facciate.
Discorso per la consacrazione del Santuario di Materdomini, ove riposano le ossa di S. Gerardo Maiella (Il S. D. proclama la santità di S. Gerardo, grande innamorato di Maria, pieno di carità per i poveri e sempre pronto a fare la volontà di Dio). (31 agosto 1929).

Discorso per la consacrazione del Santuario di Materdomini
ove riposano le ossa di San Gerardo Maiella.
31 Agosto 1929

San Gerardo giovanetto visita il Santuario e vi è rapito in estasi.

La Madonna mi ha rubato il cuore ed io glielo ho donato.

San Gerardo, già religioso, da Castelgrande viene a Materdomini (la seconda volta) per conferire col P. Paolo Cataro e condurgli 15 giovani da lui convertiti.

In Melfi va in estasi cantando:

Se Iddio veder tu vuoi,

Miralo in ogni oggetto,

cercalo nel tuo petto,

Lo troverai con te.

La volontà del nostro caro Dio è l’unica sostanza delle anime nostre.

E qual altra cosa maggiore può trovarsi per dar gusto a Dio, quanto il far sempre e in tutto la sua divina volontà. Si faccia sempre perfettamente come vuole, dove vuole, quanto vuole, con lo star sempre pronti ad ogni suo minimo cenno. Stiamo adunque indifferentissimi in tutto, acciò sempre in tutto possiamo fare la volontà divina con quella somma purità d’intenzione, che Dio vuole da noi.

Viene la terza volta a Materdomini sotto l’incubo della calunnia – Giugno 1754 – Scrive i suoi propositi di perfezione per comando del P. Giovenale suo Superiore. Il 20 Luglio va a Napoli.

Dal Novembre 1754 al Marzo 1755, dimora di nuovo in Materdomini, perché si sedassero i rumori sulla sua santità destatasi in Napoli – è allora Rettore il P. Caione nato in Troia il 4 Agosto 1722. Certi hanno l’impegno di far questo e quello; ma io ho solo l’impegno di fare la volontà di Dio. Vi assiste il pio e fervente novizio Pietro Picone.

I poveri ammalati sono Gesù Cristo visibile, come il S. S. Sacramento è Gesù Cristo invisibile.

I poveri sino a duecento durante quel inverno. P. Caione dice a San Gerardo “Io non vi limito, ma vi dò tutta l’autorità per tutto quello che vi è in casa”.

Oh! medico mio, io arrossisco in faccia alla prodigiosa virtù e santità di questo fratello. (Moltiplicazione del grano, moltiplicazione del pane).

Estasi = il tuo gusto e non il mio, voglio solo in te, mio Dio.

Il Tuo gusto e non il mio

Voglio solo in te mio Dio

Quanto degna sei d’amore

O divina volontà.

Va in Napoli nel Marzo – ritorna nel giugno 1755.

Parte per la questua, tornò definitivamente il 31 Agosto 1755. La Madonna mi ha rubato il cuore e io gliel’ho donato. Rapitrix cordium.

Tu, mia unica gioia, Immacolata Vergine Maria, tu mi sii protettrice e consolazione in tutto ciò che mi accade; e sii sempre l’unica mia avvocata presso Dio per questi miei propositi.

Voi avete a portare il S. S. Nome di Gesù e lo stendardo della Croce fra le genti ed i popoli e i regni. Parole del Falcoia a S. Alfonso.

La Madonna = colei che sola stermina le eresie nel mondo intero.

Appunti per Discorso sul Beato D. Bosco

Appunti per Discorso sul Beato D. Bosco

Predicazione A (pagg. 139 – 140)
Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI A N° 23.
* Foglietto autografo del S. D. su carta intestata (“Istituto Salesiano – B. V. del Soccorso – S. Severo),scritto su una sola facciata.
Appunti per Discorso sul “Beato Don Bosco”. Sinite parvulos venire ad me.
(S. Severo – sabato – 26 aprile 1930).

(Appunti per) Discorso sul Beato D. Bosco
Sinite parvulos venire ad me
San Severo – sabato – 26 Aprile 1930

Sinite parvulos venire ad me.

Ieri sera salutaste il nostro Beato quale apostolo. La salvezza e la santificazione delle anime fu il palpito ardente de suo cuore, che battette sempre instancabile e sempre più forte. Quest’apostolato però egli l’esplicò attraverso la gioventù: mentre mirava a tutte le anime, ebbe come oggetto immediato e proprio la gioventù, e attraverso la gioventù esso divenne un apostolato nuovo completo e universale. eco meraviglioso e fecondo della voce del Maestro Divino. Nuovo = l’Amore – Sinite parvulos.

– D. Bosco nella sua vita fu immagine vivente ed operante del Salvatore divino –

– Formare buoni cittadini su questa terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del ciel (parole di D. Bosco)

– Bartolomeo Garelli – Nuovo nella forma – la bontà e l’amore – così si inizia – così progredisce – così giganteggia – il metodo preventivo.

– S. Francesco di Sales – il dottore della carità – patrono delle sue opere.

I giovani sono avvinti a lui. (D. Michele Rua 1845- con Don Bosco farai sempre a metà). L’amore posto a base del suo metodo non snerva e illanguidisce, esso ha come termine la rinunzia e la generosità. D. Cagliero – due ultimi martiri in Cina.

Completo quanto a l’oggetto – abbracciò tutto l’uomo = l’intelligenza, la volontà (il cuore) – D. Bosco alle carceri – D. Bosco al capezzale dei giovani infermi.

La volontà – opere di cultura promosse da D. Bosco.

La volontà – la preservazione morale del giovane.

L’operosità – le scuole di arte e mestieri – i collegi – (duplice lavoro intellettuale e materiale).

Universale:

  • abbraccia tutti i ceti – con preferenza a quei figliuoli del popolo a somiglianza del maestro Divino. Si estende anche al sesso femminile.
  • si estende a tutte le parti del mondo – il suo monumento.
  • Perdura attraverso i secoli per mezzo dei suoi figli. D. Bosco padre e formatore di apostoli.

La sua apoteosi – lo Stato e la Chiesa lo onorano – la beatificazione in Roma, il trasporto delle sue reliquie a Valsalice.

Appunti per un corso di esercizi spirituali…

Appunti per un corso di esercizi spirituali…

Predicazione A (pagg. 143 – 149) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI N° 26.
*n. 2 Fogli, piegati in due, autografi del S. D., scritti su 8 facciate.
Appunti per un corso di esercizi spirituali ai sacerdoti.
(Bisceglie a. 1934 29 agosto – 6 settembre)

Appunti per un corso di esercizi spirituali ai sacerdoti.
Bisceglie 1934

29 Agosto – 6 Settembre

Placuit Deo per stultitiam praedicationis salvos facere credentes.

1 = Placuit Deo – grande grazia che Iddio ci fa concedendoci col ritiro di poterci trattenere più intimamente con Lui e ritrovare noi stessi illuminati dalla sua luce divina.

2 = per stultitiam – Non vi si diranno cose nuove né in forma peregrina e brillante.

3 = Credentes – Dobbiamo attendere al ritiro con profondo spirito di fede: e trarre tutte le conseguenze logiche dalle verità che ci si espongono e ci propongono a meditare.

La Parabola del pellegrino che da Gerusalemme discende verso Gerico ed è sorpreso dai ladroni: nella colluttazione è sopraffatto, è depredato e lasciato semivivo lungo la via. Gesù è il buon Samaritano – egli vuole medicarci e guarirci.

Nostro fine è vivere nella grazia durante la vita presente per poi vivere nella gioia durante la vita futura, cioè per l’eternità.

Questa vita della grazia la ricevemmo nel battesimo e divenimmo figli adottivi di Dio. Oh! La dignità altissima del Cristiano. Dignità di cui dovremmo essere fieri come i primi cristiani = Christianus sum. Dignità del sacerdote: alter Christus

Suo potere sul corpo mistico… quis est hic qui remittit peccata. Sul corpo reale= hoc facite in meam commemorationem.

2° g.

Peccato – Il crollo di una casa che fa molte vittime, un terremoto che abbatte una città, un cataclisma universale: la terra che s’incontri con un altro pianeta o corpo celeste. Sono poca cosa in confronto a un peccato mortale: come la morte di due miliardi di formiche in confronto della morte di un uomo. Due miliardi di vite umane che cosa sono in confronto della vita divina che si spegne in un’anima.

Pensiero eucaristico – Il 1 Gennaio la terra nel suo giro intorno al sole è più vicina a questo astro irradiatore del calore (periferio) . il 1° Luglio è più lontana siamo nell’(afelio) eppure a Gennaio abbiamo forti freddi a Luglio intensi calori – ciò dipende dalla diversa inclinazione del globo terracqueo rispetto al sole in questi due tempi.

Così noi sacerdoti siamo i più vicini al sole Eucaristico e sovente siamo freddi e gelidi verso Gesù vivente in questo mistero di amore. Come ciò? Cerchiamone la spiegazione nelle cattive disposizioni del nostro animo, inclinato verso il fango delle creature terrene e non verso Gesù.

Peccato veniale e tiepidezza – il peccato veniale deliberato, commesso abitualmente, ci conduce indubbiamente al peccato mortale.

Nel sacerdote si richiede santità, scienza = la pietà e lo studio generatori dell’uno e dell’altro. Lo studio dei santi: diligenza con cui vi attendevano i santi.

3° g.

La morte – Tutto ci parla della morte. Siamo vestiti di spoglie di esseri morti alla vita, egualmente ci cibiamo di esseri che hanno perduta la vita. Tutto ci parla della morte dentro e fuori di noi, quotidie morior. La consideriamo come una cosa per noi sempre remota. D’ordinario è più vicina di quanto non pensiamo.

Vigilate – estote parati.

Distacchiamoci fin d’ora dalle creature, facciamo ora il bene, che vorremmo aver fatto all’ora della morte e di cui vorremmo legare ad altri l’incarico. Domandiamo ogni giorno la grazia di una santa morte. Facciamo sovente l’esercizio dell’apparecchio alla buona morte.

Istruzione – La Purezza –

Pensiero Eucaristico – Ille erat Lux, lux vera quae illuminat omnem hominem venientem in hunc mundum. Gesù luce vera, dobbiamo venire a Lui, vivente nei nostri tabernacoli per essere illuminati. Luce che rischiara il cammino di questa vita, che ci fa comprendere il nulla delle cose create e il giusto valore di ciascuna. Quanto poco, per lo passato, attingemmo da questa fonte di luce.

La misericordia di Dio. Meditiamo la misericordia di Gesù nelle opere, nelle parole, nelle parabole.

Nelle opere – Quante volte nel Vangelo leggiamo che Egli misericordia motus operò miracoli, risanò infermi ecc.

La Maddalena – l’adultera, la Samaritana – Pietro – et conversus Dominus respexit Petrum. I crocefissori – Longino – Giuda.

Nelle Parole – Non veni vocare justos sed peccatores. Non egent qui sani sunt medico. Non spegnerà il lucignolo fumigante, né la canna sconquassata dal vento finirà di abbattere.

Il precetto fatto a Pietro di rimettere indefinitamente i peccati.

Le parabole – la pecorella smarrita e il buon pastore. Il fugliuol prodigo. La dracma perduta.

Pensiero Eucaristico – Le nozze di Cana. Come i servi, compiamo con perfezione e interamente tutto quello che Gesù ci comanda – impleverunt idria usque ad summum.

Meditazione – Lo spirito di Fede –

Sua necessità – In che consiste = giudicare, parlare , operare – secondo le deduzioni logiche, che scaturiscono dalle grandi verità della fede, che noi professiamo, e degli insegnamenti del Vangelo di cui siamo i banditori. Dobbiamo essere coerenti a quello che insegniamo.

4° Giorno

L’amore di Dio – dobbiamo amarlo di un amore pratico che consiste nel fuggire ciò che a Lui dispiace e nel lavorare, operare e soffrire per la sua gloria.

Istruzione – PREDICAZIONE = – predicare per istruire, insegnare, convertire – non per fare vana mostra di noi stessi.

Confessare – avendo di mira unicamente le anime (distacco dai penitenti). Cercare di migliorare le anime rassodando la vera vita cristiana, sospingendole all’acquisto della perfezione – inculcare loro la preghiera. Pregare anche noi pei nostri figliuoli spirituali.

Pensiero eucaristico – una palude in terreno acquitrinoso = dopo la bonifica la palude è trasformata in un frutteto e in un giardino con molte aiuole di fiori. Noi siamo chiamati a compiere questo lavoro di bonifica: quante anime somigliano per le cattive passioni e per i vizi a una palude = bonificate, coltivate spiritualmente diverranno anime di piccoli e anche grandi apostoli. Lavoro arduo, ma se andremo a Gesù nella Divina Eucarestia, egli ce lo renderà agevole. Presentiamo a lui l’anima nostra e quelle povere e care anime, che Egli ci chiama a bonificare.

Istruzione – Amiamo la Chiesa. 1° = nella sua dottrina (sentire cum Ecclesia) . 2° = nei suoi membri (ubbidienza – gerarchia – superiori) i nostri confratelli; i fedeli – gli umili, i poveri; 3° = nel suo culto – vita liturgica, splendore del culto.

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Ora di Adorazione – Apparizione di Gesù ai discepoli sul lago di Tiberiade, dopo la risurrezione.

1° = quanto è buono Gesù, venite et videte – et mansuerunt apud illum – adoriamolo e consacriamoci a Lui.

2° = Nelle ore dello sconforto Gesù ci è vicino e non ci abbandona (gli Apostoli avevano pescato invano tutta la notte): la foschia, la nebbia, della nostra vita languida, tiepida, delle nostre passioncelle – non ce lo fa riconoscere. Ringraziamo della sua bontà, della sua longanimità, della sua pazienza.

3° = Numquid pulmentarium habetis – responderunt non . Riposta rude, secca, poco amorevole, potremmo dire, sgarbata. Quante volte Gesù ci ha domandato un atto di virtù, di generosità, una vita più fervente ecc. e noi rispondemmo Non – Domandiamo perdono e proponiamo.

Meditazione di Chiusa

Vita interiore – vivere col Signore. Il peccato la sopprime – le passioni e la tiepidezza l’illanguidiscono. Il sacerdote senza vita interiore si rassomiglia alla madre scarna, priva di latte al cui petto indarno domanda nutrimento il suo pargolo. Sua necessità – le opere del prete senza questa vita devono rimanere necessariamente sterili. Gesù non può coi fatti mettersi in contraddizione con quanto ha detto nel suo vangelo = ego sum vitis vos palmites … sine me nihil potestis facere.

Mezzi per possederla ed accrescerla.

1° = Preghiera – spirito di orazione – vita di orazione – Preghiera che sgorga dal cuore non già preghiera meccanica.

2° = Meditazione – noi operiamo per convinzione e nella mediazione che ci convinciamo di quel che dobbiamo fare e risolviamo. Altro è vedere un leone sulla carta, altro è trovarci di fronte a questa belva feroce realmente.

3° = Lettura Spirituale – la Sacra Scrittura – La vita dei santi.

4° = Pietà e vita liturgica – la S. Messa – l’Ufficio sacrificium laudis – Meditare le lezioni che ci dona l’ostia santa del Divin Sacrificio = imitanimi quod tractatis – vita di mortificazione e d’immolazione S. Paolo crea nuovi vocaboli per indicare la nostra vita con Gesù Cristo – configurati – ecc.– Umiltà del Verbo Emanate nell’Eucarestia. Purezza il candore dell’ostia.

5° = Regolamento di vita.

Propositi

1° = Attenersi al regolamento – levarmi con prontezza e fare con prontezza tutte le mie pratiche spirituali del mattino come S. Vincenzo dei Paoli.

2° = Attendere seriamente alla pratica della dolcezza e della mansuetudine – mediante la carità e l’unione con Dio.

3° = Preparare con tutta la cura possibile le mie prediche e le mie istruzioni e esortazioni.

Appunti per ritiro spirituale predicato ai Vescovi

Appunti per ritiro spirituale predicato ai Vescovi

Predicazione B (pagg. 119 – 127) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 6
*Scritto autografo del S. D., su 11 facciate di 6 fogli di quaderno a righi.
Appunti per ritiro spirituale predicato ai Vescovi (Il S. D. parla della provvida abitudine dei Vescovi di riunirsi in ritiro prima della Conferenza Episcopale, e dell’impegno di ogni Vescovo per la propria santificazione, così da essere di esempio per le anime loro affidate).
(Molfetta, 20 – 21 aprile 1936)

Ritiro dato a Molfetta nei due giorni 20 e 21 Aprile 1936
in preparazione alle conferenze Episcopali.

Assai provvida e saggia è la consuetudine da noi introdotta di aprire le conferenze episcopali raccogliendoci per qualche giorno in sacro ritiro. Prima di volgere il nostro sguardo ai bisogni del nostro gregge è giusto ed è doveroso ripiegarlo su noi stessi.

Posti a reggere da Dio quella porzione anche minima della sua Chiesa che Egli ci affidò assumendoci al ministero episcopale che è il ministero pastorale per eccellenza, fummo impegnati alla perfezione nella maniera più solenne e più stretta, alla santità.

Il primo bisogno cui dobbiamo provvedere per il vero bene di quella parte del mistico gregge cui fummo preposti è di dare ad esso nella nostra persona un pastore santo.

Attendere con tutto l’impegno alla nostra santificazione è la base e il fondamento di tutto il lavoro cui siamo tenuti quali pastori di anime.

Se manca questo fondamento tutto il resto sarà vano e le nostre fatiche a pro’ del nostro gregge saranno come perdute.

E’ giusto quindi ed è doveroso che riunendoci insieme nelle conferenze annuali per deliberare per il bene delle anime confidateci ci raccogliamo in silenzio quasi solitudine, ai piedi di Gesù nostro Maestro Divino e Pastore Eterno delle anime, per trattare di ciò che è il fondamento e il presupposto necessario di quanto si dovrà poi deliberare e stabilire per il bene delle anime confidateci, per trattare del grande affare della nostra santificazione.

Santificarci: ecco la nostra precipua, anzi la nostra unica e costante occupazione. Ad essa siamo strettamente vincolati: e se ad essa non attendiamo noi veniamo meno al nostro mandato.

Nella nostra vita avemmo tre momenti solenni – Il battesimo – l’ordinazione sacerdotale – la consacrazione episcopale.

Per battesimo divenimmo cristiani, – cioè discepoli di Gesù Cristo e per questo stesso figli adottivi di Dio eredi del suo Regno. A tutti i suoi discepoli Gesù ripete “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Il grande comandamento della carità, che costituisce l’essenza della perfezione, ci fu allora solennemente ripetuto e noi vi fummo impegnati. (S. Francesco di Sales -. S. Tommaso d’Aquino – c’insegnano che nella carità è riposta l’essenza della perfezione).

Per un tratto d’infinita degnazione e di particolare predilezione da parte di Dio fummo un giorno eletti fra tanti, nonostante la nostra indegnità ad essere cooperatori del nostro Prelato, del nostro Vescovo di un tempo (cooperatores ordinis nostri), fummo da lui ordinati sacerdoti.

Divenimmo allora mediatamente ministri di Gesù Cristo. Il nostro Vescovo, c’impose, tacendo, le mani sul capo e ci costituì suoi cooperatori nell’insegnare la via della salute e della santità, nell’apprestare i mezzi di salute e di santificazione, divenimmo sacerdoti. Da discepoli divenimmo maestri, fummo costituiti ministri. Se prima come semplici fedeli dovevamo aspirare alla perfezione, ora dobbiamo possedere già in grado da poterla insegnare e trarre altri dietro a noi.

La consacrazione episcopale. Accipe Spiritum Sanctum. Essa ci costituisce generatori di sacerdoti, formatori di sacerdoti di quel coetus sanctorum – genus electum per eccellenza che dovrà con noi lavorare per la salvezza e la santificazione delle anime confidateci. Siamo stati costituiti formatori dei maestri, maestri dei maestri. Ecco l’impegno massimo alla santità.

L’interrogatorio fatto al novello vescovo a piè dell’altare – la purezza e l’integrità della dottrina – la santità della vita.

Insegnare ai nostri sacerdoti e al nostro popolo la perfezione – insegnarla prima d’ogni altro con l’esempio. Senza di esso l’insegnamento orale è destituito di ogni efficacia – vita bona, syllogismus bonus (San Giovanni Crisostomo).

L’impegno alla santità deriva da quanto si compie in noi nel giorno della nostra consacrazione. Noi allora divenimmo per eccellenza l’uomo di Dio: l’uomo della sua gloria, l’uomo della sua volontà, il suo agente, il cooperatore dei suoi grandi disegni, il dispensatore delle sue grazie. In fatti in noi e per mezzo di noi vuol compiere tutto nella sua Chiesa, nel governo e nella santificazione delle anime = San Giovanni scrive del Verbo: “Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil quod factum est”. Altrettanto si può dire del Vescovo, o meglio di Gesù Cristo nel Vescovo, riguardo al bene, che si opera nella Chiesa, essendone stato costituito da Dio strumento, mezzo necessario.

Separati spiritualmente e totalmente dal mondo – pur costretti a rimanerci materialmente – dobbiamo vivere in perfetta antitesi col mondo, disprezzare e tenere in nessun conto, quello che esso ama ed apprezza. Stimare ed apprezzare.

L’uomo di Dio per eccellenza – cooperatori della S. S. Trinità – con la quale partecipano all’unità e all’identità della potenza dell’operazione. Noi produciamo il Verbo col Padre, disponiamo di tutte le grazie della Redenzione col Figlio – santifichiamo le anime con lo Spirito Santo – “L’homme de Dieu”.

Il Vescovo – immagine vivente di Gesù in mezzo al popolo.

Voi lo ripeteste nella vostra lettera ai sacerdoti. Riprodurre Gesù col suo zelo, con la sua umiltà, con la sua dolcezza e mitezza, con la sua carità, con la sua pazienza, con la sua sete di patimenti, con il suo perfetto distacco e col suo spirito di povertà assoluta, con la sua totale dipendenza dal volere del Padre = (Solo movendosi intimamente così, l’anima sacerdotale non ristagna nei miasmi e nelle esalazioni mortifere della propria natura, delle proprie inclinazioni, solo così evita di farsi palude).

II – Dovere che abbiamo di sempre più approfondite questa verità: “l’apostolato è stato di santità” – Il dovere cresce col decorrere degli anni.

III – Guardarci dallo scoramento – la nostra santificazione non ha nemico più terribile che questa pusillanimità. Ci toglie il gusto della preghiera, non può farsi di cuore, ciò che si fa senza speranza = ci toglie la confidenza, che essendo il frutto della fede, è la sola esaudita dal Signore = Videns Jesus fidem illorum, dixit paralytico – Si potes credere, omnia possibilia sunt credenti – Fides tua te salvum fecit.

Guardarci dal quod scripsi, scripi – S. Alfonso vecchio e acciaccato non desiste dal lavoro della propria santificaz.

Il demonio vuol toglierci la speranza, nella quale consiste tutta la nostra forza. In spe erit Fortitudo vestra. Isaia.

L’amor proprio è sovente causa di scoramento.

La dimenticanza dei benefici ricevuti – (ingratitudine) è un’altra causa di scoramento.

Talvolta lo scoramento è un velo, col quale vorremmo nascondere a noi stessi la nostra rilassatezza = virtus in arduo (Chaignon).

Soccombere per il dovere della nostra santificazione. Sacerdos Dei Evangelium tenens et Christi praecepta custodiens = occidi potest, non potest vinci.

Il Cuore di Gesù. La Madonna = mater sanctitatis.

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Riassunto – Il primo bisogno cui provvedere per il bene del nostro gregge. La nostra santificazione base e fondamento del nostro ministero pastorale. Triplice impegno a santificarci = battesimo – ordinazione – consacrazione. Il vescovo generatore e formatore di maestri di perfezione = costituito maestro dei maestri. L’insegnamento dell’esempio = vita bona syllogysumus bonus. Il Vescovo l’uomo di Dio per eccellenza. L’uomo che deve vivere in perfetta antitesi col mondo. Partecipa all’unità e all’identità della potenza e dell’operazione della S. S. Trinità. Riproduce l’immagine vivente di Gesù in mezzo al popolo. L’episcopato è stato di santità, dovere di avere sempre presente e di approfondire una tale verità. Il dovere cresce col decorrere degli anni.

Introduzione

Ho fatto l’introduzione parlando della necessità del ritiro – specie prima di attendere a cose importanti o di prendere decisioni, che riguardano il bene delle nostre diocesi. Ho citato l’esempio di N. S. Gesù Cristo – che nei momenti più solenni della sua vita pubblica innalza gli occhi al Cielo, elevatis oculis.

2a Meditazione

Lavorare sempre alla nostra santificazione. Non lavoriamo mai così efficacemente, a pro’ del nostro popolo come quando lavoriamo alla nostra santificazione. S. Ambrogio e S. Carlo. Ego pro eis santifico meipsum. Lavorare non ostante gli anni come S. Alfonso.

Concetto della santità voluta da noi. Compiere bene il nostro dovere, compierlo per amore, il che importa compierlo con purezza d’intenzione e compierlo con diligenza…

Santi nella via ordinaria, non tutti sono chiamati a compiere opere che escano dalla via ordinaria. Il B. Antonio Giannelli, il Beato Vincenzo Strambi.

Il nostro dovere Gesù lo riassume nel vigilate et orate.

Il ministero pastorale è un governo – est opus regiminis governare, anche secondo i sapienti del paganesimo, vuol dire votarsi al bene dei sudditi. Noi siamo chiamati a qualche cosa di più, a considerare in coloro che ci sono confidati non dei sudditi ma dei figli. La Chiesa ci dà il nome di Padri.

Istruirli – educarli – difenderli dal mondo e dal demonio, non habetur colluctatio contra caro et sanguinem sed contra principatus tenebra rum harum.

Per il bene però dei nostri figli la nostra vigilanza deve cominciare da noi stessi e avere un triplice oggetto: te quae circa te, quae infra te – Noi stessi, la nostra casa, il nostro popolo, Voi stessi la nostra diocesi e la Chiesa, le anime ancora fuori di quest’area di salvezza.

3a meditazione – (Il nostro clero)

Quae circa te – della nostra famiglia fanno parte in senso più largo i nostri sacerdoti – a pro’ del nostro gregge noi lavoriamo per mezzo di essi – a pro’ di essi poi dobbiamo lavorare direttamente.

Triplice categoria. I sacerdoti ordinati ieri – quelli ordinati oggi – quelli che dovremo ordinare domani. (per tutti dobbiamo essere padri – e buon padre, padre che ama senza debolezza, padre che corregge, che richiama, e che punisce anche, ma che fa tutto questo per amore: nutrire per essi amore, compassione, non mai disprezzo. Vigilare sul nostro clero, fare osservare quello che i S. Canoni prescrivono, non lasciare intentato nessun mezzo di santificazione a loro riguardo.

1°= categoria – diano quel tanto che possono dare

2°= categoria – salvaguardarli e fare che non perdano ciò che acquistarono in Seminario.

3°= Il Seminario – oggetto precipuo della cura di un vescovo. Il Seminario Diocesano – Il Regionale ciò che ha detto il S. Padre – Cultura delle Vocazioni – opere delle vocazioni.

La preghiera del popolo – Santificare le Quattro Tempora.

4a Meditazione – (la preghiera)

S. Bernardo = Verbum – Exemplum – Oratio (precipui doveri del Vescovo – major horum oratio.

Stato di orazione e preghiera in atto. Purezza d’intenzione e diligenza nell’operare. Necessità della Meditaz. La preghiera liturgica. Il sign. della S. Messa. Il Tabernacolo. Il richiamo frequente della nostra mente a rivolgersi per qualche momento a Dio; orazioni giaculatorie. (Vedi Plus – In continua preghiera).

C.134 Consuetudo vitae communis inter clericos laudanda atque suadenda est, eaque, ubi viget, quantum fieri potest servanda.

5a meditazione e chiusura – Vita di Sacrificio

La preghiera del martirio. Preghiera efficacissima, preghiera necessaria. A tutti Gesù ha ripetuto l’abneget semetipsum; ma in modo particolare a noi Vescovi. La vita del buon sacerdote e molto più del buon vescovo non può essere se non vita di sacrificio. Dobbiamo essere i servi delle anime a noi confidate = non veni ministrari sed ministrare. Il Vicario di Gesù C. in terra si dichiara Servus servorum Dei. Gesù Cristo tutto ha immolato nella sua Passione. Per mezzo della S. S. Eucarestia perenna la sua immolazione sui nostri altari.

La Madonna nostro conforto nel nostro quotidiano sacrificio. (Vedi ultimo paragrafo della pastorale dei Vescovi della Regione Puglia al clero delle loro Diocesi).

Nisi mors mortis morti morte daret mortem, Coelorum janua adhuc clausa foret[1].

  1. N. d. r.: E’ un epigramma latino, che si può tradurre così: “Se la morte per la morte non avesse portato alla morte la morte della Morte, la porta dei Cieli sarebbe stata ancora chiusa”.

Schemi di meditazioni per il ritiro spirituale ai Vescovi

Schemi di meditazioni per il ritiro spirituale ai Vescovi

Predicazione B (pagg. 79 – 83 – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 4
*Scritto autografo del S. D., su 1 foglietto piegato in due, scritto su 4 facciate, più un foglietto scritto avanti e dietro.
Schemi di meditazioni per il ritiro spirituale ai Vescovi in Molfetta ( sul dovere della propria mortificazione, sullo spirito di fede, sulla preghiera e sulla conformità al volere divino).
(Molfetta, 13 – 14 maggio1946)

(Schemi di meditazioni per il ritiro spirituale ai Vescovi)
Molfetta 13 – 14 maggio 1946 -Giorni di ritiro
1a Meditazione

Dovere di attendere alla nostra santificazione.

La chiamata del Signore. Sant’Alfonso dei Liguori.

Tre momenti decisivi della sua vita. Inizia la sua professione; è ordinato sacerdote: è consacrato Vescovo. Obbligo del sacerdote di attendere alla propria santificazione. Obbligo del Vescovo.

Il giorno della nostra consacrazione episcopale ricevemmo in pieno lo stesso mandato che gli Apostoli avevano ricevuti da Gesù Cristo Signor Nostro – Maestri – Padri – Pastori

Dat est mihi omnis potestat in coelo et in terra. Euntes docete omnes gentes, baptizantes eos in nomine Patris e Filii et Spiritus Sancti: docentes eos servare omnia quaecumque mandavi vobis. Et me ego vobiscum sum omnibus diebus, usque ad consummationem saeculi.

Ministri di verità, ministri di vita – maestro e padre e quindi pastore – per difendere dagli errori e dalla corruzione del mondo il suo mistico gregge. La santità reclamata dalla natura stessa del nostro ministero – Rappresentanti di Gesù investiti della stessa missione che ha avuto dal Padre.

È potente l’attrazione che i santi esercitano quando giungono con la sublimità delle virtù a rappresentare la bellezza soprannaturale dell’Uomo-Dio.

Ecclesiarum Principes

Belli triunphales duces

Coelestis aulae milites

Et vera mundi lumina

Devota sanctorum fides

Invicta spes credientium

Perfecta Christi caritas

Mundi tyrannum conterit.

1° = Riferire tutto a Dio come a proprio fine. “Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualunque altra cosa, fate tutto a gloria di Dio” (1° Cor. X-31)

2° = Deve l’uomo sottomettere a Dio il proprio intelletto credendo le cose divinamente rivelate “facendo schiava ogni intelligenza all’obbedienza di Cristo” (2aCor. X-5).

3° = Deve l’uomo amare in Dio tutto ciò che ama e ordinare ogni suo affetto all’amore di Dio. “Se siamo fuori di noi lo siamo per Iddio, se siamo di mente sana lo siamo per voi; imperocchè la carità di Cristo ci spinge.

4° = Bisogna che tutte le nostre cose esteriori siano fondate nella carità. Tutte le cose vostre siano fatte nella carità (1aCor. XVI – 14)

G. Toniolo – (Indirizzi e concetti sociali). La pietà, ecco il balsamo che ci preserva dalla corruzione ed insieme ci avvalora di intima fortezza nel compito formidabile, immenso, di preparare un rinnovamento di Civiltà, nel prossimo avvenire. Può ridere a questo richiamo alla pietà in compito sì ardito e poderoso chi non sa quale insublimazione di tutte le facoltà umane si effettua nella conversazione con Dio e dimentica che l’incivilimento non è che la storia del congiungimento dell’umano col divino.

Chi definitivamente recherà a salvamento la società presente non sarà un diplomatico, un eroe, un dotto, bensì un santo, anzi una società di santi.

Il P. Saint – Jure – 1°= Non avviene sempre che all’atto della visita al S. S. Sacramento o immediatamente dopo ne raccogliamo i frutti – Ciò accade in seguito quando o superiamo una tentazione ecc. 2°= Anche quando dinanzi al S. S. Sacramento non riuscissimo a fare alcun atto interiore a causa della nostra aridità ecc.-Il Cardinale Menning

2a Meditazione

Lo spirito di fede. In che consiste = vivere e regolarmi in tutto e sempre secondo l’insegnamento della Fede, che d’ordinario è in antitesi con i giudizi e gli insegnamenti del mondo.

E’ insegnamento della Fede circa le opere soprannaturali: sine me nihil potestis … la necessità della grazia. La necessità e il valore della preghiera.

Il P. Giuseppe Manni S. J., Filosofo di esimio valore, morto in concetto di santità nel 1923: ha scritto: “L’unica differenza che passa fra i santi e noi è questa: i santi hanno pregato di più, se pregassimo quanto loro diverremmo santi come loro; se pregassimo più di loro li supereremmo nella santità”.

Il P. Riccardo Frield S. J. ai religiosi che dopo un corso di Esercizi Spirituali dovevano mettere mano ai lavori apostolici lasciava come ricordo = “Dimenticatevi di quanto vi ho detto e di quanto vi fu insinuato nei lunghi anni della vostra formazione ma ricordate una cosa sola, di pregare e diverrete santi e sarete grandi apostoli. Che se ricordaste tutto il resto ma dimenticaste questa cosa soltanto che occorre pregare, perdereste le vostre anime e sareste la rovina delle altre”.

Newman – “Tu desideri che io ti domandi; tu sei pronto ad ascoltar la mia voce; non c’è nulla che io non possa ottenere da te! – Confesso di avere trascurato questo gran privilegio – Sono veramente colpevole! Ho scherzato col più elevato dei doni, qual è la potenza di muovere l’Onnipotente”.

Molfetta 13 – 14 Maggio 1946 – 3a Meditazione

Preghiera attuale – Preghiera abituale – Preghiera del martirio.

Sacrificio – quotidiano del nostro tempo, della nostra libertà del nostro riposo = vita di lavoro.

Sacrificio degli agi = povertà, della salute, acciacchi, infermità.

Contrarietà da parte degli avversari, lotte calunnie ecc. da parte degli amici, malignazioni cattive interpretazioni.

In corrispondenza, ingratitudine, da parte dei sacerdoti indegni.

Abbracciare con generosità le umiliazioni.

La messa pro-populo – vissuta nel sacrificio dell’intera settimana.

L’insegnamento del credo.

Il tabernacolo nostro conforto.

4a Meditazione

Amore di conformità alla Volontà di Dio. Amore al gregge che ci fu assegnato da Dio. Amore ai tempi in cui viviamo – sono essi il campo della Provvidenza di Dio assegnatoci per dargli gloria servendo con fedeltà la sua Chiesa: tributargli così il nostro amore nel tempo, per meritare la felicità di amarlo coi beati comprensori nell’eternità. Nella conformità alla Volontà di Dio l’anima ritrova la santità più perfetta, la felicità più completa.

Vigilate et orate.

Vigilanza = doverosa – siamo pastori nella Chiesa militante. Suo oggetto Te quae circa te – quae infra te.

Vigilanza sui nostri cooperatori = su la loro scelta e formazione – sul loro avanzamento nella virtù – lavorare per la loro santificazione.

Vigilanza sui chierici – sui sacerdoti giovani e sugli anziani. Renderli buoni ministri del sacramento della penitenza. Non lanciare subito i giovani nelle opere e nei ministeri femminili.

Preghiera pei chierici e pei sacerdoti. Caldeggiare le opere che hanno per oggetto la loro santificazione. Apostolica vivendi forma.

Necessità assoluta di un buon padre spirituale non solo nei Seminari Regionali ma anche in ogni Seminario Ginnasiale.

Gli Esercizi Spirituali Annuali

Gli Esercizi Spirituali Annuali.

Prediche – Esercizi spirituali (pagg. 1-5)
Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. Farina – Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Appunti autografi del S.D., scritti su fogli quadrettati: complessivamente 7 facciate.
Gli Esercizi Spirituali Annuali.
Loro necessità. Modo come compierli con profitto (senza data)

Gli Esercizi Spirituali Annuali.
Loro necessità. Modo come compierli con profitto.

(p. 1) Gli Esercizi Spirituali Annuali si compiono da noi regolarmente quasi ogni anno, ci vengono imposti talvolta dai nostri superiori e noi subito ottemperiamo ai loro voleri: eppure non si può dire che da noi sono considerati come cosa moralmente necessaria per mantenere vivo in noi il fervore della vita sacerdotale, avanzarci nel cammino della perfezione e rendere così fecondo il nostro apostolato. D’ordinario da noi si opera in modo come se essi fossero una pratica meramente supererogatoria, utile sì, ma non necessaria, alla quale è buono attendere quando si ha tempo libero, ma quando si è occupati nella cura delle anime, ingolfati nelle opere del ministero e di azione cattolica., o in altre occupazioni come dar lezione ecc., ne possiamo far senza. E basta a tranquillizzare la voce della nostra coscienza, il ripetere a noi stessi ci manca assolutamente il tempo. Eppure se dal medico ci si ordinasse una cura balneare di quindici giorni, un mese di assoluto riposo, sotto pena di soccombere se non ottemperassimo a tale prescrizione, troveremmo allora il tempo. E la ragione è perché tale prescrizione riveste allora per noi la forma d’una necessità assoluta. Questa forma di necessità è necessario che ancora rivestano per noi gli esercizi spirituali annuali per ciò che riguarda la vita e il bene della nostra anima, la fecondità delle opere del ministero da noi abbracciate.

Essi sono necessarii al bene della nostra anima. Continuamente distolti da affari, da occupazioni d’ogni genere, in continuo contatto col mondo, s’illanguidisce in noi il ricordo delle verità eterne, che devono essere l’unica norma del nostro operare. Se ogni cristiano è tenuto alla luce di esse regolare le proprie azioni, molto più un sacerdote. Ora questo ricordo soltanto negli Esercizi Spir. Si ridesta vivo ed efficace nelle nostre anime, e salutarmente ci scuote, e ci sprona a riformare la nostra condotta, o la norma del nostro operare, o il fine per cui operiamo. (p. 2) Il nostro amore proprio ci accompagna sempre, e tenta ad avvelenare tutte le nostre opere. Senza che ce ne avvediamo piano piano distrugge la purità d’intenzione del nostro operare: tende a far sostituire a vedute puramente soprannaturali, vedute umane e naturali. Non sono vedute per sé cattive, ma certo umane e assai diffuse: saranno l’essere stimato dai superiori e dai propri paesani, l’ottenere un posto, una promozione ecc. forse l’essere soddisfatti e il compiacersi d’essere riuscito in un’opera buona = eppure essere o come ci allontanano dalla perfezione, oh come ci rendono uomini di questo mondo, laddove come sacerdoti si potrebbe poter dire di noi, che benché siamo nel mondo, non viviamo e non operiamo che avendo di mira il Cielo, cioè unicamente Dio e la sua maggior gloria: Dio solo in somma. Or bene nei santi Esercizii la meditaz. dell’eterne verità ci scuote e ci fa comprendere appieno il nulla del nostro operare se non è animato dalla più alta purità d’intenzione – e ci fa prendere in proposito le più salutari risoluzioni, e ci fa riprendere quelle già formulate, se avevamo cominciate a trascurarle. Quel giovane che aveva fatto la meditaz. della morte. Al lume dei salutari esempii di G.C. oh! come si apparisce difettosa la nostra vita: quante cose da emendare! Quanti piccoli mancamenti da correggere! Quante cose da compiere per sé e per gli altri che con tanta facilità si omettono e non si curano. Quanti piccoli segreti attacchi alle creature, alle comodità della vita, agli onori, alla stima degli uomini, noi scorgiamo, ai quali non facevamo caso, e sui quali volentieri chiudevamo un occhio. E le nostre stesse confessioni fatte spesso con tanta leggerezza, per abitudine, con sé languido proposito d’emendamento, non reclamano forse anch’esse per il nostro bene, il po’ di solitudine e di quiete degli Esercizi, in cui lontani da ogni cura, possiamo a nostro agio pensare a far rinascere ad una vita nuova la nostra povera anima mediante una buona confessione annuale e se occorre anche generale?

Gli Esercizi Sp. ann. ci sono inoltre necessarii, e di necessità assoluta, per perseverare nella via del bene e avanzarci in essa. Noi siamo tenuti ad avanzarci. In questa via chi non si avanza (p. 3) per questo stesso indietreggia. Iddio ci vuole santi = Sancti estate. Haec est voluntas Dei sanctificatiovestra. Or bene quando vede che noi vogliamo contentarci d’una bontà ordinaria, che consiste solo nel non commettere gravi disordini, Egli che ci chiama ad essere molto più perfetti, vedendoci così riottosi ai suoi amorevoli inviti di perfezione, ci abbandona a noi stessi, e si ritira con la grazia sua, ed allora noi cominciamo a scendere e poi a precipitare lungo la china dell’abisso. Quanti e quanti su la cui rovina oggi piangiamo, l’iniziarono questa rovina nel segreto del loro cuore, con segrete resistenze alla grazia, che li invitava ad avanzarsi nel cammino della perfezione, recitando questo o quel germoglio d’amor proprio, vincendo questo o quel attacco, usando un po’ più di diligenza per l’orazione mentale (il sac. te che non è uomo d’orazione indubbiamente perirà, dice S. Alfonso) o per la lettura spirituale ecc. se siamo tenuti adunque ad avanzarci nella perfez. Gli Esercizi Sp. A. sono di assoluta necessità. In uno dei corsi di Esercizi Sp. fatti bene, durante la nostra vita, noi risolvemmo con generosità di essere veramente sacerdoti santi, secondo il cuore di Dio – purificammo la nostra anima con una confessione straordinaria fatta con straordinario fervore, indi sotto l’impulso della grazia formulammo i più bei propositi, e li scrivemmo anche. Poi tornati alle cure del nostro ministero, in mezzo al turbinio delle cure svariatissime della nostra vita ordinaria, l’impressione salutare delle verità, delle massime, che durante il ritiro ci scossero salutarmente, che così generosamente recitarono la nostra volontà, s’affievolisce e mano a mano s’illanguidisce del tutto, ed anche i nostri propositi s’illanguidiscono e a lungo andare finiscono per rimaner soltanto tracciati sul libretto o sul taccuino delle nostre cose spirituali. È la nostra natura che è fatta così, e per ciò è necessario di anno in anno ridestare in noi quei salutari ricordi, scuoterci dal torpore che s’impossessa del nostro spirito circa le cose della vita interiore, e questo si fa mediante gli E.S.A., anzi per un sacerdote che sta sulla retta via è questo il fine precipuo ed immediato degli E.S.A.

Egli in essi , nel silenzio e raccoglimento, ai piedi del Sacramento, toglie in mano il libretto dei suoi propositi, e si esamina. Esamina tutta la sua vita decorsa dall’ultimo ritiro: vede se ha osservato ciò che Dio gl’ispirò, e che il suo dir. Sp. rappresenta di lui, approvò – osserva se nulla v’ha da modificare o da aggiungere. Se fu infedele, indaga, scruta, le segrete origini delle sue fedeltà e cerca porvi rimedio. Si umilia, domanda lume e grazia, confida per l’avvenire. Oh come si riesce rifatti da questi esami di coscienza compiuti con calma, con serenità, ai piedi del Tabernacolo durante gli Esercizii. Solo negli Esercizii si fanno con abbondante profitto. Essi sono d’una necessità assoluta per avanzarci nella via della perfezione, che in un’ora avventurata della nostra vita sacerdotale risolvemmo di battere con generosità.

Ecco perché S. Francesco di Sales, non ostante che sia il santo della discrezione, fa di questi esercizi sp. annuali, che egli chiama, notate bene, rinnovazione della vita divota, un dovere imprescindibile per l’anima che vuole tendere alla perfezione. Ed egli stesso gravato da tante occupazioni, v’impiegava ogni anno, dieci giorni in qualche casa religiosa appartata. Essi in gran parte erano spesi in questi esami sui suoi propositi, sul suo regolamento di vita, e nel conferire intorno ad essi col suo direttore spirituale. GLI E.S.A. sono adunque a noi di assoluta necessità, se vogliamo essere dei sacerdoti veramente santi, secondo il cuore di Dio, e se, accumulando piccole infedeltà a piccole infedeltà, non vogliamo cadere nella tiepidezza e dalla tiepidezza in qualche abisso.

Ma essi sono ancora necessarii per rendere feconde le opere del nostro ministero. A ragione l’Apostolato è divenuto oggi una grandissima preoccupazione pel sacerdote, e oggi più che mai è per lui uno strettissimo e gravissimo dovere. Ma vi è una verità che ogni sacerdote dovrebbe avere impressa a caratteri indelebili nell’anima sua e avere sempre presente alla sua mente: che la fecondità cioè delle opere è sempre in proporzione del grado di vita interiore di colui che le compie, e che in fine solo i Santi sono i grandi operai e i veri operai del Signore. Sì, miei amatissimi confratelli se non saremo uomini di vita interiori – uomini di orazione e di abnegazione, potremo fare folla intorno a noi, riscuotere più o meno un po’ di plauso e di ammirazione, ma condurre le anime a Gesù Cristo, stabilire veramente il suo regno nei cuori e in mezzo alla società in cui viviamo non mai. La fecondità al nostro ministero non viene che dalla grazia di Dio, e questa grazia è concessa in sovrabbondanza soltanto ai sacerdoti di vita interiore.

Gli esercizi con la med. delle verità eterne, degli esempii di Gesù Cristo accendono potentemente il nostro zelo, (la meditaz. dell’inferno) – c’insegnano come regolare questo zelo, come renderlo efficace, prudente, amabile, forte, costante. Non basta avere zelo, ma è necessario che il nostro zelo abbia tutte queste doti.

Nelle medit. quanti lumi non si ricevano anche a pro’ delle anime che dirigiamo, a pro’ delle opere che abbiamo intraprese o che vogliamo intraprendere, essi sono veramente una sorgente di benedizione anche per le anime affidate dalla provvidenza alle nostre cure. La Madre Volpicelli, la Madre Maria di Gesù.

La necessità degli esercizi per le opere di apostolato ce l’insegnano i santi – S. Alfonso, S. Ignazio, S. Carlo il Card. Manning.

Modo come compierli con profitto

Una casa religiosa.

Silenzio – e serietà – Esercitarci.

Propositi scritti.

Il tempo – il danaro – il nostro popolo.

La grandezza di Maria e la devozione dei figli

La grandezza di Maria e la devozione dei figli

Farina B (pagg. 59-61) – Archivio della Postulazione della Causa di Beatificazione di Mons. Farina – Foggia, Cartella: Mons. Casale 1
*Foglio autografo, piegato in 4 paginette, su carta non intestata, senza firma del S. D.
Predica sulla grandezza di Maria e la Devozione dei Figli.
(Salerno, 7 agosto 1947)

La grandezza di Maria e la devozione dei figli
Salerno, 7 Agosto 1947 – giovedì

Mater Domini = Mater Tua.

Nella prima espressione è compendiata tutta la grandezza della Madonna. Et unde hic mihi, ut mater Domini mei veniat ad me. Nella seconda è compendiata tutta la ragione d’essere della nostra devozione, il fondamento ed il coronamento.

Mater Domini – Mater Jesu – Jesu Dei Filii Salvatoris ac Redemptoris nostri. In quanto madre del Salvatore e del Redentore del Mondo le relazioni della Madonna con Dio, con la Trinità SS. sono così intime e sublimi che s’inseriscono quasi nella misteriosa circolazione di vita che è la SS. Trinità, di cui si possono chiamare un complementum.

Complemento non essenziale ed intrinseco – ma accidentale ed esteriore. Le tre Divine Persone non hanno voluto operare ad extra l’opera suprema, causa finale di ogni altra, l’Incarnazione del Verbo, se non per mezzo di Maria – Complementum accidentale, certo Dio non acquista nulla da questo rapporto con Maria: ma chi può dire quanto acquista Maria? Adstitit regina a destris tuis in vestitu dea(u)rato, circumdata varietate.

In tutto l’universo certo Maria è l’oggetto supremo delle predilezioni di Dio – ed è da Lui così sublimata in alto che la sua onnipotenza non può sospingerla oltre senza varcare i confini stessi della divinità.

Perché eletta ad essere madre di Gesù, nostro Redentore Divino – Mater Domini – Dio Padre cumula in Lei, come già le acque sull’ampiezza sconfinata dell’oceano – tutti i tesori delle sue grazie. Per cui S. Agostino duas congregationes.(sic!)

Per questo quando si prende a parlare della Divina Maternità, di questa grandezza che trascende ogni intelligenza e più ancora ogni espressione, conviene appressarsi umili e trepidi come Mosè al roveto ardente e levare in alto lo sguardo verso quella cima, che giganteggia sovrana su tutte le altre – ego in altissimis habitavi – Ave Filia Dei Patris

– Dio Figlio, comunicò a sua Madre tutto ciò che egli acquistò con la sua vita e la sua morte, i suoi meriti infiniti e le sue virtù ammirabili e la fece tesoriera di quanto il Padre gli diede in eredità – per mezzo di essa Egli applica alle sue mistiche membra, comunica le sue virtù, distribuisce le sue grazie – Maria SS. è il misterioso suo canale per cui Egli fa passare, con soavità ed abbondanza le sue misericordie – Ave Mater Dei Filii.

Dio Spirito Santo comunicò a Maria, sua fedele Sposa, i suoi ineffabili doni e la scelse dispensatrice di tutto ciò che egli possiede: cosicché essa distribuisce a chi vuole, quanto vuole, come vuole e quando vuole, tutti i suoi doni e le sue grazie. Nessun dono celeste, pertanto, è concesso agli uomini… concesso agli uomini, che non passò per le mani verginali di Lei perché tale fu la volontà di Dio, il quale dispone che tutti ricevessimo da Maria, perché in tal modo Egli l’ha voluta arricchita, innalzata ed onorata. Ave … Spiritus Sancti.

Ave Complementum totius Trinitatis (accidentale et ad extra).

Tabernaculum Dei cum hominibus – il capolavoro della grazia – Santuario vivente dell’Altissimo.

La maternità è il principio di ogni grandezza di Maria. A ragione di questa maternità, Maria è esente dal peccato originale.

Ella la piena di grazia.

Riunisce in sé tutti i doni soprannaturali, anche quelli di cui non fa uso.

Riceve il suggello della sua verginità.

Unisce in sé due specie di glorie che sembrerebbero escludersi, la più pura fra le vergini eclissa tutte le madri con la più sublime fecondità.

Associata a Gesù nel Magistero Divino e nella Redenzione. Associata alla vita di … Madre che ci ridona la vita perduta per il peccato.

Madre che questa vita conserva ed alimenta.

Schema di meditazione per i seminaristi del Seminario Regionale

Schema di meditazione per i seminaristi del Seminario Regionale

Predicazione B (pagg. 84 – 86) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 4
*Scritto autografo del S. D., su 1 foglio a righi, piegato in due, scritto su 4 facciate.
Schema di meditazione per i seminaristi del Seminario Regionale (sulla necessità che ha il sacerdote di trasmettere le verità da credere, non secondo il proprio ingegno, ma secondo l’insegnamento della Chiesa, che è maestra infallibile).
(Benevento, 13 ottobre 1948).

(Schema di meditazione per i seminaristi del Seminario Regionale)
Benevento – 13 Ottobre 1948

Optavi et datus est mihi sensus, et invocavi et venit in me spiritus sapientiae et praeposui illam regnis et sedibus et divitias nihil esse…in comparatione illius.

Gesù rimproverò un giorno un dottore della legge, che gli faceva certe domande rivelatrici della sua ignoranza – tu es magister in Israel et haec ignoras.

Docentes eos servare omnia quecumque mandavi vobis – non insegnare le nostre opinioni personali, o il parto del nostro ingegno, ma insegnate quello che io vi ho insegnato.

Non enim judicavi me scire aliquid inter vos nisi JesumChristum et hunc crucifixum cioè la dottrina di Gesù Cristo compendiata nella sua Croce S. S.

Il sacerdote dovrà conoscere il dogma, le verità da credere, la morale, cioè la regola della retta condotta nella vita; il culto e la liturgia, le pratiche di pietà con le quali si deve onorare Dio.

Le deve saper proporre e provare con quel corredo di argomenti persuasivi, che offrono le S.S. Scritture, i Padri, i Teologi, i grandi scrittori e oratori ecclesiastici.

Deve saper sgomberare le menti umane dai pregiudizi che potrebbero far vacillare la fede: dagli errori diffusi dagli ignoranti e dai maestri di falsità. Deve poter soddisfare la legittima curiosità di chi vuole arrivare agli estremi limiti ai quali può giungere la ragione umana nelle materie di fede.

Il sacerdote non solo è maestro ma è ancora medico e censore. Medico delle anime, deve per conseguenza conoscerne le malattie per poterle curare; ed avere l’esperienza dei rimedi per poterli applicare opportunamente. Ed è censore che deve vigilare sugli errori correnti, conoscerne i sintomi, le insidie per denunziarli al pubblico e preservarne i fedeli.

La sua scienza deve essere quindi, pura retta misurata sulla chiesa, che è la colonna sicurissima e maestra infallibile. Can. 129 “Clerici studia, praesertim sacra, sacerdotio recepto, ne intermittant, ut in sacris disciplinis solidam illam doctrinam a maioribus traditam et communiter ab ecclesia receptam sectentur, devitantes profanas vacuum novitates et falsi nominis scientiam” Can. 129

Liceo – preparazione agli studi sacri.

Il Seminario, può dirsi, ha la funzione di quelle grandi centrali elettriche scaglionate sulle nostre Alpi, dove sotto il vorticoso pulsare delle turbine si accumula energia che domani sarà distribuita nella vallata.

Se gli accumulatori nel periodo della preparazione resteranno fermi, domani saranno guai. Preso nel vortice dell’azione, il sacerdote sarà come chi è costretto a far camminare una tramvia e a dover far splendere una lampadina senza corrente o a far tenere accesa una lucerna senza olio.

Il grande imperativo quindi delle vacanze è di affrontare con più serietà e responsabilità la vita di seminario. Bisogna che in essi gli accumulatori funzionino a tutto vapore.

Metodo – utilizzare i ritagli di tempo – le ore vacanti.

Spirito di sacrificio.

Certo la natura si risente quando è calpestata, specialmente se in modo ingiusto, o che noi riteniamo tale; ma la parte superiore in noi dice “non mea voluntas”. La santità stessa di Cristo fu congiunta con l’agonia. Questa lotta mortale per il regno di Dio è la nostra ginnastica, la nostra virtù.

La provvidenza divina

Confidare e amare.

Risolvere tutto con l’ascetica?!

Non recusatur labor si adsit amor: nostis enim quoniam qui amat non laborat. Omnis enim labor non amantibus gravis est. S. Agostino.

Non si ricusa il travaglio se si è sorretti dall’amore: conoscete infatti come chi ama non risente il travaglio. Qualsiasi travaglio in vero riesce gravoso a coloro che non amano.

 

Esortazione sul Rosario

Esortazione sul Rosario

Predicazione A (pag. 138) – Archivio della Curia Diocesana di Troia, Scatola VI A N° 22. – Anni ‘20 in poi.
* Foglio dattiloscritto con firma autografa del S. D., scritto su una sola facciata.
Esortazione sul Rosario (Foggia, 18 maggio 1951).

Esortazione sul Rosario

Stringendo (nel)la vostra destra la mistica arma del Rosario – IN MARIA CON MARIA E PER MARIA – rinnovate spiritualmente voi stesse per far trionfare in ogni cuore Gesù.

IN MARIA – Meditando i santi misteri del Rosario, apprendete le lezioni di umiltà e purezza, di sacrificio, di ubbidienza pronta e generosa e di amore santo ed infaticabile che Essa ci dona, dopo di averle apprese direttamente dal suo Gesù.

CON MARIA – Con la preghiera umile, costante, fiduciosa, invocando di fronte ad ogni difficoltà il suo aiuto, non vi staccate mai dal suo fianco e procedete sempre innanzi nella via da Lei tracciatavi, appoggiate al suo braccio materno.

PER MARIA – Per amore di Lei non indietreggiate mai dinanzi a qualsiasi sacrificio, né vi abbattano difficoltà ed insuccessi, nel lavorare per la vostra santificazione e per il bene delle anime, ricordando che sarà sempre sua la vittoria finale. MARIA VINCE SEMPRE – ESSA E’ LA REGINA DELLE VITTORIE.

Foggia 18 Maggio 1951

+Fortunato Maria Farina
Vescovo di Troia e Foggia

Schemi per un Corso di Esercizi Spirituali

Schemi per un Corso di Esercizi Spirituali

Scatola VIII (pagg. 212 – 223) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola: VIII –
Scritti inediti, Conferenze, prediche, discorsi.
*n° 11 fogli, piegati in due, con scrittura autografa del S.D., che comprende 20 facciate.
Schemi delle meditazioni e delle istruzioni per un Corso di Esercizi spirituali.
(senza data e senza luogo).

Corso di Esercizi Spirituali di Mons. Farina
(dal testo risulta: per i monaci)

Introduzione

Placuit Deo per stultitiam praedicationis salvos facere credentes – (1 Ep.la ai Corintii – Cap. 1° – ver.21)

Queste parole esprimono ciò che questi Esercizi Spirituali sono 1°= da parte di Dio 2°= da parte di chi ve li annunzia e di ciò che vi annunzia e vi propone a meditare – 3°= da parte di voi che li fate.

1°= Da parte di Dio – un nuovo tratto della sua misericordia – una nuova grazia ed una grande grazia: riparare e redimere tutto il tempo perduto per lo innanzi: riprendere con nuovo slancio il cammino in avanti – trattenerci più intimamente con Lui e ritrovare noi stessi illuminati dalla sua luce divina.

2°= da Parte di chi ve li annunzia – un vostro fratello: affratellato a voi nella stessa vocazione alla fede e al sacerdozio, nella stessa vocazione al servizio di Dio. Per tanti titoli inferiore a voi…di ciò che vi annunzia – non cose nuove – né in forma peregrina ed affascinante – cose che secondo il mondo e la natura, (e lo spirito del mondo e il naturalismo penetrano sovente anche nel sacro recinto di un chiostro, e in quello ancora più intimo e più sacro di un cuore consacrato a Dio) sono stoltezza o per lo meno esagerazione. Gli insegnamenti datici da Gesù durante la sua vita, confermatici dalla cattedra della Croce.

E l’insegnamento che Gesù ci dona per mezzo della sua Croce pei figliuoli del mondo quei che vivono imbevuti o contaminati dalle massime del mondo – sono ritenuti stoltezza – per quei che vivono dello spirito di fede e battono la via della salute, sono la sapienza e quindi la virtù di Dio.

Verbum enim crucis, pereuntibus quidem stultitia est; eis autem qui salvi fiunt, id est nobis, Dei virtus est.

Da parte di voi che li fate. Nella parola credentes sono espresse le condizioni che si richiedono, affinché questi siano per voi giorni di misericordia e di grazia, giorni di spirituale rinnovazione, di santificazione.

  1. Spirito di Fede – trarre tutte le conseguenze logiche dalle verità alle quali già avete dato l’adesione del vostro intelletto e che ora vi si propongono a meditare.
  2. Spirito di santa operosità – lavorare alacremente, lavoro interiore che costituisce l’assenso agli Esercizi Spirituali – lavoro che esige raccoglimento e silenzio. Soli ai piedi del Crocifisso nella vostra cella ai piedi del tabernacolo. Raccolti interiormente con Dio anche in mezzo alle vostre occupazioni ordinarie.
  3. Desiderare ardentemente la vostra rinnovazione spirituale – implorarla con ardore e con costanza mediante la preghiera – la mistica arma della luce – la Madonna.

Hora est jam nos de sommo surgere: nunc enim proprior est nostra salus – abiiciamus opera tenebrarum et induamur arma lucis. Induimini Dominum JesumChristum.

Rivestiamoci delle virtù di Gesù Cristo per poter irradiare intorno a noi Gesù Cristo.

Dobbiamo avere fame e sete della nostra santificazione. Domandarla incessantemente e in un grado sempre più elevato: non temere di domandare troppo. Gesù già prima di noi l’ha implorata per noi dal suo celeste Padre..

Giorno 1°

1aMed.

1°= Qual è il mio principio? – Dio

2°= Qual è il mio fine? – Dio

3°= Quale la mia ricompensa= – Dio

Creato da Dio ho come fine glorificare Dio nella vita presente per fruire di Lui della sua beatitudine, del suo amore, della sua gloria nell’eternità.

1°= Elegit nos ante mundi costitutionem ut essemus sancti – S. Paulo agli Efesini – 4-

in Charitate perpetua dilexi te (Jeremia XXXI –3).

Dio mi ha creato preferendomi ad un’infinità di esseri possibili, che non saranno mai e il motivo di questa preferenza è l’amore – dilexi te.

Mi ha creato imprimendo in me un suggello delle sue infinite perfezioni – (paulominus ab Angelis (Ps. XIII).

Io devo tutto me stesso a Dio – quanti sono gli istanti della mia esistenza.

Quale confusione per averlo dimenticato. Deum qui te creavit dereliquisti, et oblitus es Domini creatoris tui.

Ploremus coram Domino qui fecit nos.

2°= Lodarlo e glorificarlo nella vita presente.

In primis Dominum Deum dirigere ex toto corde, tota anima, tota virtude.

Fine necessario – fine glorioso – fine di tutto me stesso.

Major sum et ad majora natus.

3°= Ego merces tua magna nimis – Gen. XII. Pax multa diligenti bus legem tuam. Ps.105.

2°= Giorno 1°

Lodare e glorificare Dio nell’adempimento della sua volontà a nostro riguardo.

Adempimento eseguito con amore e con perfezione senza limitazione di sorta, perché desidera tutta la possibile gloria di Dio, desidera qualsiasi cosa a Dio sia cara ed Egli domanda noi.

Ad ognuno di noi è ripetuto averte a malo et fac bonum inquirere pacem et persequere eam

Averte a malo – la fuga del peccato – la lotta contro tutto ciò che dentro di noi e fuori di noi ci stimola al peccato – le nostre passioni il mondo – Satana.

Ora noi sappiamo per fede che tutte le compiacenze del Padre celeste sono riposte nell’Unigenito suo Figliuolo Gesù Cristo; e sa che le compiacenze dell’unigenito Figliuolo Gesù Cristo che noi eleggemmo per nostro Re nel santo battesimo sono riposte nella sua Chiesa, cioè nei fedeli suoi che formano la sua Chiesa.

Siete monaci. Egli vi elesse e vi chiamò – le circostanze che accompagnarono la vostra chiamata erano state predisposte da Lui. Alcuni sono all’alba, altri in pieno mattino, altri al meriggio, altri forse al vespro.

Il monastero nella Chiesa è la lampada ardente che deve irradiare luce e calore – altare di propiziazione – cenacolo di santità.

Il monaco nel monastero – l’uomo di Dio per eccellenza – Homo Dei – Contrassegnato dal sangue dell’Agnello Divino.

I meriti infiniti di questo sangue divino fa valere di continuo al cospetto dell’Altissimo per sé, per la Chiesa, per tutti gli uomini.

È il mediatore degli uomini presso Dio, e predica incessantemente con il suo esempio Dio agli uomini, zela la gloria di Dio fra gli uomini. Mediator Dei et hominum.

Il monaco, infine, insignito del sacerdozio, è il ministro dei tesori della redenzione agli uomini.

= Med. 3a= Giorno 1°

Il peccato obice a questa altissima missione – il peccato ci pone in perfetta antitesi con essa – Dio; peccato.

Dobbiamo di continuo alimentare in noi l’orrore per il peccato, e avere un salutare timore di commetterlo.

S. Benedetto nella sua regola ci mette in guardia. “Deinde non uccidere. Non adulterari. Non facere furtum – Non concupiscere. Non falsum testimonium dicere”.

Gesù ricorda ai suoi Apostoli la caduta di Lucifero videbam Satanam sicut fulgur de coelo cadentem. S. Luca (Cap. X –v. 18) ecce Satana expetivit vos ut cribraret sicut triticum.

Purificati dai nostri peccati passati – portiamo sempre con noi i funesti germogli della colpa – contro i quali dobbiamo combattere.

Satana va in cerca di noi. Ecce Satana expetivit vos ut cribraret sicut triticum.

Giorno 2°=

Med. 4a=

Il peccato veniale e la tiepidezza

Mala sua preferita cum lacrimis vel gemitu cotidie in oratione Deo confiteri.

L’osservanza di questo articolo della regola di S. Benedetto ci fa vivere nella santa umiltà, che è la base e il fondamento primo della perfezione, al cui acquisto noi siamo votati.

Predilezioni di Gesù – per il peccatore pentito.

Peccato veniale – ha gli stessi costitutivi della colpa grave. È un’indegna preferenza accordata alla volontà dell’uomo su quella di Dio.

Diminuisce i lumi dello spirito e rende meno vivo il raggio della fede.

Snerva la volontà.

Sfigura e degrada un capo d’opera divino.

Impedimento alle grazie più speciali.

Tiepidezza incompatibile coi precetti più gravi della legge. Diliges Dominum Deum tuum etc.

Estote perfecti sicut Pater vester etc.

Qui vult venire post me etc.

Incompatibile con l’ideale del santo monaco, uomo di preghiera – di sacrificio – di zelo.

Diminuzione di grazia. Debolezza abituale e crescente: prepara il baratro alla colpa grave.

Giorno 2°=

Med. 5a=

Mortem cotidie ante oculos suspectam habere.

La morte – sua realtà anche per noi = a) più vicina di quanto ci pensiamo ed è inevitabile. b) ci separerà da tutto ciò che è passeggero spogliandoci di tutto, salvo il fatto delle nostre buone opere. c) fisserà la nostra sorte per tutta l’eternità.

Morte certa. Nel cielo non si muore mai, si vive sempre: nell’inferno si muore sempre non si vive mai; sulla terra si vive per qualche tempo e poi si muore una volta per vivere o per morire per sempre, a seconda che la nostra morte buona o triste ci avrà dischiuse le porte del paradiso o quelle dell’inferno.

Accettiamo umilmente la morte: facciamo ogni giorno l’atto di accettazione della morte sottomettendoci a Dio, su questo punto come sul resto: atti di sottomissione e di confidenza: l’atto più eroico, col quale si possa onorare il suo sovrano dominio sopra di noi. Ogni sera a Compieta ripetiamo: “In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum”.

Morte vicina – Quae est enim vita vestra? Vapor est ad modicum parens, et deincepss exterminabitur[1]. E su questo vapore si basano tanti progetti.

Separazione – di quanto ci è caro qua giù – da una parte del nostro essere, cioè separazione dal nostro corpo oggetto di tante sollecitudini, separazioni dal tempo e da tutti i mezzi di salute che in esso ci sono offerti.

Impariamo quanto sia vero Adhaerere Deo bonum est (Ps. 72). Qui adhaeret creaturae cadet cum labili, qui amplectitur Jesum firmabitur aevum.

Suprema decisione della morte – si muore una sola volta: quale sarà la mia morte, tale sarà la mia sorte per tutta l’eternità.

Incertezza della morte – essa verrà senza dubbio ma ben presto, ma quando precisamente in qual luogo, in quali circostanze?

Gesù ci dice solo = “Vigilate, estote parati”.

Timore della morte – il timore della morte deve essere savio e moderato.

È naturale temerla…ma è gran disordine temerla più del peccato.

Si reputa gran male che il corpo abbia perduto l’anima: eppure quanto maggior male è che l’anima abbia perduto Dio. – Bossuet.

Non mori sed male mori malum est.

Preparazione alla morte

1°= Fare subito ciò che forse non si potrà fare in punto di morte. Regolarizzare le cose della nostra anima. Impieghiamo santamente il tempo che ora abbiamo.

2°= fare subito ciò che sarà necessario fare in punto di morte. Mortui estis et vita vestra est abscondita cum Cristo in Deo. (S. Paolo ai Colossesi) – distaccarci.

3°= fare subito ciò che si vorrà aver fatto alla morte – santificaci.

Morte del buon religioso – ecce adsum.

Giorno 3°=

Meditazione 6a=

Diem judicii timere.

La memoria abituale della morte assicura l’innocenza della vita – II Ci distacca da le cose periture – III Ci fa morire col cuore ripieno della più dolce confidenza.

È mezzo efficace per menare una vita santa a questo mezzo si aggiunge quello del pensiero costante del rendiconto che dovrà seguire immediatamente la morte.

I – Rendiconto da rendere al nostro Creatore – al nostro redentore.

Creatore – dono dell’esistenza e della vita, dono del tempo; della salute e di tutti i mezzi di sussistenza, doni delle nostre particolari attitudini al lavoro. Dono d’ingegno e di cultura.

Redentore – dono della Fede – di fare parte della sua Chiesa – di fruire dei suoi sacramenti – dono della vocazione religiosa – del sacerdozio.

Ego sum frater vester quem vendidistis – non poterant rispondere frates nimio terrore perterrit.

II – Rendiconto rigoroso – Uomo – cristiano – religioso – sacerdote.

Uomo – a Dio i doni avuti nell’ordine naturale.

Cristiano – imitare N. S. Gesù Cristo – Gesù umile, noi superbi. Gesù mansueto e buono, noi risentiti – astiosi, vendicativi. Gesù purezza infinita, noi così sensuali – Gesù crocifisso, noi in cerca della comodità e agiatezza.

Religioso – elevarmi su i semplici cristiani per perfezione e santità.

Sacerdote – lavorare per le anime: applicare ad esse i frutti della redenzione.

Il Beato Claudio de La Colombiere fu trattenuto in purgatorio per essere stato alquanto languido e negligente nel compiere un atto di carità.

Quale confusione se dovessimo apparire al cospetto degli uomini nella nostra realtà. In questa realtà compariremo al cospetto dell’eterno Giudice.

La sentenza – Totus tremo atque horreo ad memoriam istius sententiae. S. Bernardo.

Rendiamoci ora giudici di noi stessi.

Confessione fatta bene e non per abitudine. Pensiamo al giudizio ed alla morte nel prepararci alla confessione. Non ci diamo pensiero del giudizio degli uomini, ma del giudizio di Dio.

Imploriamo ora misericordia, ora che ancora ce se ne concede il tempo.

Juste judex ultionis donum fac remissionis ante diem rationis.

Quaerens me sedisti lassus, redemisti crucem passus etc.

Memorare, o piissima Virgo Maria.

Nel giorno del giudizio finale il buon religioso invece di essere giudicato, giudicherà; invece di essere accusato egli sarà difeso e lodato dal Signore. Tunc laus erit unicuique a Deo[2].

7°= Introduzione e Considerazione

Chiamare noi stessi al rendiconto dinanzi al tribunale della nostra coscienza = la Confessione – la pia pratica dell’Esame di Coscienza. Quotidiano.

8°= L’Inferno –

Gehennam expavescere.

Giorno 4°=

Misericordia a Dio – 9a=

  1. E’ infinita – è quindi al di sopra di ogni concezione umana. La somma più grande di peccati sparisce in essa come una festuca in un immenso braciere ardente.
  2. E’ l’attributo preferito di Dio – di tutti i suoi attributi è quello che Egli preferisce – ad esso sembra subordinare gli altri = la Sapienza – La Giustizia – la Provvidenza.
  3. La storia della Misericordia di Dio – Al disegno della creazione è congiunta la previsione del peccato e la misericordia di Dio si mette a l’opera – La storia d’Israele – L’incarnazione.
  4. L’Incarnazione è la Misericordia di Dio Incarnata.

Le parole di Gesù.

Le parabole di Gesù.

Le opere di Gesù.

Frutto: Confidenza per il passato.

Confidenza per l’avvenire.

La storia dei Santi.

————

Ho avuto modo di constatare che questa meditazione della misericordia di Dio ha fatto molto bene alle anime.

Gesù nostro Re – 10a=

1°= fare regnare Gesù Cristo in noi – è un impegno una professione solenne. Si può stare in un luogo come padroni e signori come ospiti: come inquilini: come servi. Gesù ci deve stare come RE. Al regno di Gesù Cristo in noi si oppone il peccato. Le nostre passioni sregolate = l’amore disordinato del nostro io: la ricerca della nostra e non della sua gloria. Esaminiamoci circa ciò che ostacola il regno di Dio nella nostra coscienza – risolviamo di rimuoverlo generosamente e prontamente.

Oremus ut Christus in suo regnet milite et ut miles in suo triumphet Rege.

2°= Fare regnare Gesù Cristo nella sua Chiesa. Fare bene la nostra parte – adempiere bene la mansione da Lui assegnataci nella sua Chiesa.

3°= fare regnare Gesù Cristo nel Mondo.

L’Incarnazione – 11a=

L’umanità e le sue condizioni – Dappertutto la più terribile demoralizzazione.

Ecco il risultato di una civiltà che contava pure tanti secoli di esistenza: da una parte gli stoici dall’altra i Farisei.

“La giustizia innalza le nazioni, ma il peccato rende infelici i popoli”.

La SS. Trinità e le vie della Redenzione.

O altitudo divitiarum sapientiae et scientiae Dei! Quam incomprensibilia sunt judicia eius et investigabiles viae eius – Rom – XI –32-33.

Et Verbum caro factum est. Egli era la luce. In lui era la vita. Questa luce, questa grazia, questa verità, noi la vedremo di nuovo nel corso di questi Esercizi.

L’angelo – la Madonna – il Verbo fatto carne nel seno di Maria – nascondimento – purezza – preghiera = tacere – amare – adorare.

Giorno 5°=

12°= La preghiera pubblica – l’Ufficio Divino. Sacrificium laudis.

13°= Il Santo sacrificio della Messa – La Meditazione

14°= abnegare seipsum – l’Ubbidienza

Giorno 6°=

15°= Abnegare seispum – la Mortificazione – le Croci – La Carità Fraterna

16°= Il Crocefisso – l’amore per le anime – pratica dello zelo

chiusura

La devozione alla Madonna.

Il più sicuro mezzo di perseveranza.

  1. Raduzione in italiano: Che cos’è infatti la vostra vita? Un vapore che apparisce un momento e svanisce subito (Gc 4,15)

  2. 1Cor 4,5.

Suggerimenti per la Pratica dell’umiltà

Suggerimenti per la Pratica dell’umiltà

Predicazione B (pagg. 53 – 55) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 4
*Scritto autografo del S. D., su 1 foglietto piegato in due, scritto su tre facciate.
Suggerimenti per la Pratica dell’umiltà (il S. D. medita sul modo di praticare l’umiltà).
(senza data)

Pratica dell’umiltà

L’umiltà è assolutamente necessaria ad ogni cristiano molto più ad un chierico. Principio d’ogni peccato è la superbia. Senza l’umiltà è moralmente impossibile mantenersi casti: Iddio concede la grazia sua agli umili e resiste si superbi.

Varie sono le forme con cui si esercita la virtù dell’umiltà.

I° = con l’essere intimamente e fermante convinto che in noi non c’è nulla di buono che non sia da Dio.

1° = Sono io veramente convinto di ciò? E il mio operare è tutto conforme a questa convinzione.

2° = Sono forse di quelli che mi reputo più degli altri per qualche dono speciale ricevuto da Dio? Nel trattare col mio prossimo mi guardo da ogni espressione di superiorità, sono umile, condiscendente, amabile, considerando gli altri come miei fratelli, e non già reputandomi superiore ad essi?

3° = Tronco subito i pensieri che mi fanno avere vana stima di me, ricordandomi che non ho nulla di bene che non sia da Dio?

4° = Mi astengo dal parlare di me sia in bene come in male? Il non parlare mai di sé è il modo migliore per togliere ogni pascolo alla ana gloria. Chi è veramente umile parla sempre in modo come se la sua persona non esistesse.

5° = Conservo sempre viva in me la memoria dei miei peccati e dei miei difetti ricordandomi che sono peccatore e gran peccatore.

6° = quando sono rimproverato, anche a torto, dai miei superiori, sopporto in pace l’umiliazione, ricordandomi che per i miei peccati merito anche peggio. Se poi devo giustificarmi lo fo con parole umili e dimesse. Mi guardo dal lamentarmene coi miei compagni e dal mormorare contro dei superiori?

7° = Sopporto in pace le noie, le molestie, le umiliazioni, che mi vengono dai compagni, e raffreno subito in me i sensi di ira, di risentimento, di sdegno? Chi è veramente umile è anche mansueto.

8° = Nutro desiderio di vendetta verso qualcuno? Nel correggere i miei soggetti mi mostro turbato nell’aspetto, nel parlare, nei movimenti del corpo? Mentre faccio le necessarie correzioni mi agito internamente?

9° = Rendo forse male per male quando mi si presenta l’occasione. Come tollero di solito i mali che gli altri mi fanno?… con turbamento, con rabbia, con impazienza?…

10° = Alle offese, alle parole pungenti come rispondo? … Ho taciuto anche una sola volta in vita mia di fronte ai maltrattamenti, usando del silenzio trionfale che adoperò nostro Signore?

11° = Tollero volentieri le offese che ricevo e, finché si può, mi astengo dal servirmi del dritto d’una giusta difesa.

12° = Mi studio di non far mai nulla per essere veduto dagli uomini, apprezzato dai superiori, dai compagni? Nel mio operare non devo avere altro di mira che Dio e la sua maggiore gloria.

13° = Le opere buone che posso fare occultamente, le fo in occulto, secondo l’insegnamento del Vangelo, oppure mi studio di essere veduto per essere ammirato ed apprezzato.

14° = Quando altri è lodato e apprezzato caccio prontamente da me ogni senso di dispiacere nato da invidia, e eccito invece nel mio animo vera allegrezza? Desidero che le parti migliori si diano agli altri, e in pratica soglio considerare tutti come superiori a me, trattando con tutti umilmente e rispettosamente?

15° = Nella Santa Comunione, nella meditazione, nella visita, in tutte le mie preghiere domando di continuo al Signore la grazia della S. Umiltà. Nel mio esame di coscienza mi esamino spesso su questo punto?

Meditazione ed esame di coscienza sulla virtù della S. Purità

Meditazione ed esame di coscienza sulla virtù della S. Purità

Predicazione B (pagg. 56 – 59) – Archivio della Curia Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 4
*Scritto autografo del S. D., su 1 foglietto piegato in due, scritto su 4 facciate.
Meditazione ed esame di coscienza sulla virtù della S. Purità (bellissima meditazione sulla virtù della purità e sui mezzi per fortificarla).
(senza data).

Esame sulla Virtù della S. Purità

1° = Sono diligente nel non dare ascolto ai cattivi pensieri e nell’invocare interiormente la S. S. ma Vergine nel distrarmi subito in altro allorquanto si affacciano alla mia mente.

2° = Evito nel mio parlare non solo i discorsi non buoni, ma qualsiasi espressione un po’ libera o troppo leggera, che potesse anche lontanamente menomare la bellezza di questa virtù.

3° = Evito di osservare, leggere, quello che desterebbe in me la ribellione della carne … e riempirebbe la mente di pericolosi pensieri?

4° = Sono modesto nel mio tratto, anche quando sono solo ricordo che Iddio mi è presente e che il mio corpo è sacro perché tempio dello Spirito Santo.

5° = Nel mio tratto coi compagni sono sempre modesto e amabile: evito rigorosamente tutto ciò che può offendere questa virtù.

6° = Custodisco gli affetti del mio cuore, in modo da non dar luogo ad affetti e simpatie troppo libere e sensibili. Evito ogni familiarità pericolosa, che pone l’agitazione nell’anima mia, turba la pace del mio cuore e mi distoglie dall’adempimento dei miei doveri?

7° = Come combatto le tentazioni dalle quali talvolta sono sorpreso. M’apro con confidenza su questo punto col sacerdote che mi sono prescelto per confessore e per direttore. Ascolto poi i suoi consigli.

Mezzi per conservarsi casto

E’ impossibile conservarsi casto senza usare dei mezzi che Gesù Cristo istesso ci ha indicato per conservare questa virtù. Essi sono l’orazione e la mortificazione.

L’Orazione – La mattina subito levato consacro la mia purità alla Madonna. L’affido a Lei… rinnovo nelle sue mani il proposito di resistere a tutte le tentazioni, e di non peccare.

2° = Fo bene la mia meditazione e propongo spesso come frutto da ricavare la pratica di questa virtù? Vinco la mia indolenza per attendere a questa pratica salutare che ci preserva dal peccato?

3° = Fo sempre che posso la S. Comunione: sono ben persuaso che la Comunione frequente e quotidiana insieme con una tenera divozione verso la S. S. ma Vergine sono il mezzo sovrano per acquistare un’amore grande per la virtù della Purità e custodirla intemerata?

4° = Invoco durante il giorno con orazioni giaculatorie la Madonna implorando da lei tale virtù, come ad esempio: “Mater Purissima, ora pro nobis”. Dirigo spesso a questo fine la recita del mio rosario, la recita dell’Ave Maria che per regola si suol dire in comune al principio e alla fine di ogni azione.

5° = Domando insomma di continuo a Dio, soprattutto nel ringraziamento della S. Comunione, durante la S: Messa, nelle mie visite a Gesù Sacramentato la grazia d’una purezza angelica e quella di trasfondere negli altri col mi tratto amore alla S. Purità.

Mortificazione

E’ moralmente impossibile essere casti se non si è mortificati. La vita dell’uomo qua già è milizia e sarà coronato soltanto quegli che avrà strenuamente combattuto. Cioè quegli che avrà lottato contro le proprie malvagie inclinazioni e avrà rinnegato se stesso.

1° = Amo la mortificazione cristiana e procuro ogni giorno di fare qualche piccolo atto di mortificazione e di offrirlo al Signore per le mani della Madonna per ottenere il dono della castità.

2° = Abbraccio con amore e con generosità le piccole contrarietà quotidiane, che sono inevitabili in una vita di comunità.

3° = Mortifico la mia accidia, studio con ardore, sono accorto a fare buon uso di tutti i piccoli ritagli di tempo, e di non stare mai in ozio. S. Alfonso…

4° = Sono modesto nei miei sguardi, raffreno i miei occhi, soprattutto a passeggio, in modo da non fermarli su oggetti che potessero turbare la pace del mio cuore e la purezza della mia mente. Oh! la modestia degli occhi quanto è bella e da quante tentazioni ci libera.

5° = A tavola sono temperato e sobrio. Sto attento di non mangiare e non bere con avidità e con fretta?

6° = Mi contento di ciò che mi si offre: soffrendo volentieri le cose contrarie al mio gusto in ispirito di mortificazione?

7° = Se mi trovo alla tavola altrui, lodo la delicatezza d’un cibo e biasimo il cattivo sapore di un altro?

8° = Mi curo di mortificare anche il senso dell’odorato, eliminando da me, dalla mia persona, gli unguenti, i profumi, le fragranze, che sono frivolezze solo dei secolari?

9° = Sono amante dell’ordine e della nettezza, e fo che regnino sempre nella mia persona e nelle mie cose?

14 – Il senso del tatto, secondo San Giovanni Climaco, è il più pericoloso degli altri. Come mi regolo nella mortificazione di questo senso?

15 – A questo fine mi guardo da ogni libertà di mano, con qualsivoglia persona, sotto qualsivoglia pretesto sia pure di giuoco e di scherzo.

16 – Considero spesso le…

(il testo termina così)

Predica sull’Eucarestia

Predica sull’Eucarestia

Predicazione B (pagg. 128 – 130) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 7
*Scritto autografo del S. D., su 4 foglietti.
Predica sull’Eucarestia. Il S. D. presenta Gesù Cristo, centro della Chiesa Militante, centro della Chiesa Purgante e centro della Chiesa Trionfante.
(senza data).

Predica sull’Eucarestia
Gesù Cristo – Centro –

La disputa del Sacramento di Raffaello.

Fin quando gli astronomi non ebbero scoperto il sole come centro del nostro sistema, c’era veramente da perdersi a mettere ordine nei fatti del cielo.

La prima impressione che dà la storia umana è quella di un sistema quanto mai complicatissimo, miliardi di moti che si intrecciano, si rincorrono, si incontrano.

Chi riuscirà a semplificare le linee? Ma ecco che siamo riusciti a scoprire il vero sole dell’umanità: Gesù.

————-

Cristo centro della Chiesa militante perché capo del Corpo Mistico.

Noi sappiamo che Dio vuole la salvezza di tutte le anime, in concreto la loro divinizzazione durante la prova terrena, per renderle capaci in eterno della vita celeste. Dio si è fatto uomo, perché l’uomo potesse partecipare della vita di Dio. L’incarnazione, il discendere di Dio verso l’umanità – per(ché) questa non avesse a smarrirsi e trovasse sicura la via della sua ascesa e del suo ritorno a Dio.

E’ Gesù stesso che c’invita ad innestarci a Lui per vivere la sua stessa vita. Manete in me et ego in vobis. Sicut palmes non potest (ferre fructum a semetipso, nisi manserit in vite, sic nec vos, nisi in me manseritis)[1]. Ego sum vitis, vos palmites: qui manet in me et ego in eo hic fert fructum multum quia sine me nihil potestis facere.

Ut omnes unum sint, sicut tu Pater in me et ego in te, sit et ipsi in nobis unum sint.

Come Adamo è il capo fisico dell’umana famiglia e causa della sua rovina, così Gesù Cristo si è fatto capo mistico e causa della sua salvezza.

Si fa causa della nostra salvezza per la via del dolore e dell’espiazione e noi per questa via partecipiamo alla sua opera redentrice e salvatrice.

Tutti i sacramenti hanno più o meno una stretta connessione con il Sacrificio della Messa.

Centro della Pietà individuale e sociale.

Lateutrico – eucaristico

Propiziatorio e satisfatorio

—————-

Gli Apostoli

I Dottori

Vergini

Martiri

Centro della Chiesa Purgante

Non omnis moriar.

Non contristemi nisi cutilli qui spem non habent.

Il legame di amore e di salvezza che ci unisce qui a Cristo, nostro capo in terra di esilio, non si spezza con la morte. Il Corpo mistico trionfa della morte. Cristo resta sempre il nostro dolce capo.

Dio vede macchie anche nei suoi Angeli.

Locum refrigeri – lucis et pacis.

Centro della Chiesa trionfante

La gloria dei beati è il risultato finale, il trionfo definitivo del mistero dell’Agnello che col suo sangue ha redento il mondo e ha così riaperto a l’uomo le porte del Paradiso.

L’Agnello dell’Apocalissi.

Degno sei, o Signore, di aprire il libro.

Per Christum Dominum nostrum la grazia in terra.

Per Christum Dominum nostrum la gloria in Cielo.

E mi mostrò il fiume dell’acqua viva, splendido come cristallo, procedente dal trono di Dio, e dell’Agnello in mezzo della sua piazza e d’ambo i lati del fiume l’albero della vita producente dodici frutti, rendendo per ogni mese il frutto suo e le foglie dell’albero alla salute delle genti. Né vi sarà più maledizione: ma la sede di Dio e dell’Agnello sarà in esso e i suoi servi lo serviranno. E vedranno la sua faccia e il suo nome sarà sulle loro fronti. Non vi sarà più notte né avranno più bisogno di lume di lucerna, né di sole perché il Signore Iddio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli.

  1. Il testo fra parentesi, aggiunto dal curatore, completa il testo di Gv 15, 4.

Riflessioni varie di Mons. Farina

Riflessioni sul Pellegrinaggio a Lourdes (senza data) (Si riferisce al suo secondo pellegrinaggio a Lourdes, avvenuto nel settembre 1908)

Riflessioni sul Pellegrinaggio a Lourdes

Prediche – g) (pagg. 1-2) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F. M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Minuta autografa del S.D., scritta su tre facciate di un foglio quadrettato,piegato in due. Riflessioni sul Pellegrinaggio a Lourdes (senza data) (Si riferisce al secondo pellegrinaggio a Lourdes del SdD, avvenuto nel settembre 1908, come si deduce dal Quaderno n. 5 del Diario –p.49).

1. Riflessioni sul Pellegrinaggio a Lourdes

Sono pochi mesi e per la seconda volta io avevo la fortuna di visitare Lourdes: questa, che ora può dirsi la cittadella di Maria posta ai piedi dei Pirenei tra amene valli, bagnate dal Gave, piena di rigogliosa vegetazione. E vidi ancora una volta coi miei occhi quelle meraviglie, quelle dimostrazioni imponenti di fede, che sono state descritte da valorosi scrittori quali l’Ungsman e il Lasserde, e formarono oggetto di accurati studii da parte degli uomini della scienza fra i quali primeggiano il Bertrin e il Boissarie. In quei giorni circa centomila pellegrini erano passati sfilando in processione solenne ai piedi della grotta delle apparizioni, e acclamando in cento lingue diverse a Gesù in Sacramento, che incedeva in mezzo alla lunga fila degli infermi benedicendo e sanando. E quelle lingue io avevo udito unificarsi tutte in una, allorquando raccolti tutti innanzi all’immensa spianata del santuario, quale solenne protesta di fede ed attaccamento alla chiesa Romana cantarono in latino il Credo.

Quali forti e salutari impressioni s’impressero allora nell’animo: avevo visto infermi guariti, fra i quali qualcuno del nostro pellegrinaggio italiano: una schiera di baldi giovani olandesi, pieni di rigoglio e di vita che avevano lasciato la patria e quanto avevano di più caro, per consacrare la loro vita alle missioni dell’Africa, li vidi lì in ginocchio ai piedi della grotta quando sulle mosse di partire erano venuti per implorare la benedizione di Maria: ero poi profondamente commosso perché sedendo al confessionale avevo potuto toccar con mano, quel che sa operare nell’intimo di cuori Maria, ed ammirare la sua clemenza infinita.

Ma quello che poneva il colmo al mio gaudio e alla mia commozione era ciò che avevo udito dalle labbra di uno dei miei compagni di viaggio, nativo di Spoleto. Egli mi diceva come nella sua patria molti ricordavano un giovane di cospicua famiglia, dall’aspetto gentile ed attraente, alunno del collegio dei Gesuiti, il quale un giorno, mentre si portava in processione la sacra Icona di Maria, misteriosamente chiamato da Lei, lasciava d’un tratto la sua vita elegante, i suoi sollazzi, troncava gli affetti terreni coi quali onestamente peraltro s’era legato il suo cuore, ed entrava nel noviziato dei Passionisti. E mi diceva che ora più che mai si parlava di lui, perché testé era stato innalzato all’onor degli altari, quei che, l’avevano conosciuto nel mondo s’inginocchiavano ora commossi ai piedi della sua immagine, ammirando in lui un nuovo trionfo della misericordia di Maria.

Quel (che) vidi in quei giorni: le meraviglie di Lourdes, i trionfi di questo giovane vissuto nella 2a metà del secolo XIX, e che come noi fu educato dai padri della Compagnia di Gesù più vivi mi si rappresentano alla mente in questo giorno e in quest’ora in cui mi trovo insieme con voi ai piedi di quest’immagine dell’Immacolata ricca per noi di tanti cari ricordi. A misura che c’inoltriamo nella vita ci è caro di tanto in tanto rivivere nelle care memorie del passato, nelle dolci rimembranze dei nostri anni primi: esse tornano e sono pel nostro spirito come la fragranza di primavera lontana.

Presentazione per la conferenza del Comm. De Simone (27 Dicembre 1911)

Presentazione per la conferenza del Comm. De Simone

2. Prediche – h) (pagg. 1-3) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina – Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Minuta autografa del S.D., scritta su un foglio quadrettato, avanti e dietro.
Presentazione per la conferenza del comm. De Simone.(Il S. D. presenta il Comm. De Simone, chiamato a fare una conferenza in un convegno di giovani).
(27 Dicembre 1911)

Presentazione per la conferenza del Comm. De Simone (27 Dicembre 1911)

Non è una mia presentazione che io intendo fare: il nome dell’illustre Comm. De Simone è ben conosciuto e la sua persona non ha bisogno di presentazione. Tanto più che egli ci appartiene, e benché Napoli sia ora il campo della sua molteplice e feconda attività, a questa nostra provincia appartiene la sua famiglia, è in essa che egli ebbe i natali, ad essa il suo cuore si sente avvinto dai vincoli più forti e più teneri a un tempo. Ho preso solo per brevi momenti la parola per esprimere a lui a nome dei giovani cattolici salernitani i sensi della più viva riconoscenza per aver egli subito annuito al loro desiderio di averlo qui a prestare la sua valida cooperazione per un’opera pietosa in cui bellamente s’intrecciano ed armonizzano insieme l’amor della Fede e l’amor della patria. Per dire, a voi Eccellenza, tutta la loro gratitudine per aver voluto con la vostra veneranda presenza dare lustro a questo convegno ed applaudire al loro operato. Per esprimere tutto il loro compiacimento, a voi illustre Cav. Quagliariello, che instancabile nel promuovere tutto quanto valga a lenire i dolori ed i mali, che sono inseparabili dalla guerra, anche la modesta opera loro voleste efficacemente incoraggiare. La vostra presenza qui ci è cara perché ci dice che la Salerno di oggi non è dissimile dalla Salerno dei secoli andati che eroicamente difese la sua indipendenza contro la ferocia musulmana, ergendo il suo labaro glorioso, che era sormontato dalla croce, e sul quale splendeva l’immagine del nostro patrono. Per dire in fine grazie a tutti voi, quanti generosamente contribuiste a quest’opera di patriottica e cristiana solidarietà. Ed ora, soddisfatto in nome vostro, o giovani, a questo debito di doverosa riconoscenza, e a voi che rivolgo una parola.

Il vostro voto è pago: quegli che voi sospiraste di avere in mezzo a voi, quale oratore vostro; quegli il cui dire vi rapì e vi conquise nel convegno di Cava, si è degnato rendere paghe le vostre brame. Eccolo egli è qui. Poco più di trent’anni or sono, giovane al par di voi egli intese nel suo petto accendersi la fiamma dei santi ideali che oggi anche ai vostri cuori si apprende. Sul declivio del colle di S. Martino, v’è in Napoli un piccolo santuario dedicato alla Vergine, all’ombra delle sue candide mura una schiera di baldi giovani veniva ad attingere ai piedi di Colei, che Dante sublima nelle sue rime immortali, vigore e ispirazione per un largo apostolato di bene. Quei giovani occuparono poi tutti posti eminenti o nel campo civile o nel campo ecclesiastico, e uno di essi è proprio quegli che voi oggi voleste qui. Il volgere degli anni anziché spegnere in lui i santi ardori della prima giovinezza li ha raddoppiati e triplicati. E anche nei nostri convegni, nelle Settimane Sociali egli ci si rivela sempre profondo pensatore, oratore facondo, apostolo infaticabile. Con l’inoltrarsi nella vita si è conservato sempre giovane nello spirito, sicché in mezzo ai giovani trova la sua delizia, e al vostro invito, egli benché gravato di molteplici cure rispose con trasporto, rispose annuendo con gioia.

La sua parola adunque vi accenda, ma più che la sua parola a voi giovani cattolici siano sproni gli esempii suoi. Che un giorno di qui a non molti anni nei nostri convegni, nelle Settimane Sociali egli possa vedersi circondato da voi divenuti sulle sue orme apostoli infaticabili del bene. Ed egli possa allietarsi nel constatare che quel seme, che oggi fidente egli venne a deporre nei vostri cuori giovanili, fecondato dalla grazia divina, germinò e dette frutti abbondanti e duraturi.

Adorazione 1a - Riflessione sulla virtù della S. Purità (3 Febbraio 1912)

Riflessione sulla virtù della S. Purità

3. Prediche – d) (pagg. 1 – 2) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F. M. Farina, Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Minuta autografa del S.D., scritta su un foglio quadrettato, scritto avanti e dietro.
Adorazione 1a – – Riflessione sulla virtù della S. Purità –
(3 Febbraio 1912)

Adorazione 1a Riflessione sulla virtù della S. Purità

Questa mattina abbiamo considerato il Cuore di Gesù modello di purità, sorgente di purità, maestro di purità. Gesù nel raccoglimento e nel silenzio della meditazione ci ha fatto intendere com’egli ama con amore di predilezione questa virtù, Egli è il diletto che si pasce tra i gigli. Il suo cuore trova le sue delizie tra le anime caste.

Oggi ai piedi del suo altare ci ha misteriosamente ammaestrato circa quello che dobbiamo fare, circa quello che dobbiamo evitare per conservare questo giglio purissimo nell’anima nostra e renderla olezzante dei suoi casti effluvi.

Adesso, al termine di questa giornata di ritiro, che deve preludere a un mese impiegato da voi santamente; impiegato santamente soprattutto mediante la pratica di questa virtù.

Ed ora Gesù ci chiama a raccolta intorno al suo altare. A sovvenire alla nostra debolezza egli ci dona tutto se stesso: tanti altri mezzi di soccorrerci non lo hanno appagato: ed ecco che mediante la S. Eucarestia Egli vuol renderci forti e inespugnabili a tutti i nostri nemici donandoci tutto se stesso. La S. Eucarestia non è semplicemente un nuovo dono, che Gesù qui offre alle nostre anime: ma è un compendio di tutti i suoi doni. Quanti sono i bisogni che possiamo sentire per praticare questa virtù, a tutto qui possiamo trovare provvedimento e rimedio. Le nostre anime deboli, afflitte, tentate, vessate dal demonio, ottenebrate dalle passioni, ferite forse nella lotta estenuate e moribonda, trovano qui nella S. Eucarestia, il mezzo e tutti gli aiuti di cui hanno bisogno e che sogliono trovare divisi in tanti altri mezzi, negli amici, nei consiglieri, nei maestri di spirito, nei libri, negli esempi, nelle considerazioni, nelle divozioni tutte del Cristianesimo. In questi mezzi molte anime… di molti spesso ci può mancare l’occasione, o la facilità opportuna al caso nostro. In questo Sacramento Gesù Cristo è sempre presente e pronto, e dappertutto e per tutti.

L’incorrispondenza degli uomini.

Preghiamo.

Riflessione su S. Michele Arcangelo (Orsara, 8 maggio 1924)

Riflessione su S. Michele Arcangelo

4. Predicazione B (pag.17) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 2
*Scritto autografo del S. D. su una pagina.
Riflessione su S. Michele Arcangelo (Il S. D. annuncia che in S. Michele Arcangelo si onora la più viva immagine della divinità e la più viva espressione della maestà di Dio).
(Orsara, 8 maggio 1924).

Riflessione su S. Michele Arcangelo
Orsara di Puglia – 8 Maggio 1924

Dinanzi al nome di Michele Arcangelo noi c’inchiniamo ed onoriamo in Lui la più viva immagine della divinità, la più viva e magnifica espressione della maestà di Dio.

Tutte le creature hanno in sé un riflesso delle perfezioni di Dio, costituiscono una stupenda gradazione, quasi una scala mirabile, alla sommità della quale rinveniamo la natura angelica, di cui la più ammirabile attuazione è San Michele Arcangelo. La gloria di colui che tutto muove ecc.

Dio è spirito purissimo, pura intelligenza, intelligenza infinita, la cui vita e la cui manifestazione è amore. Deus charitas est. E gli angeli che sono alla sommità della scala degli esseri creati, più vicino a Dio, meglio riflettono la sua infinita perfezione e più a Lui si rassomigliano e per ciò sono pure intelligenze e la loro vita e la loro manifestazione è amore.

Dante nel canto XXIX del Paradiso:

In sua eternità di tempo fuore

Fuor d’ogni altro comprender, come i piacque

S’aperse in nuovi Amor l’Eterno Amore.

Atto di consacrazione della città di Troia a Maria (8 dicembre 1929)

Atto di Consacrazione della città di Troia a Maria

Fiorita d’anime (pagg. 5-16) – FIORITA D’ANIME. Foggia, Gennaio 1930 – Anno VII – N. Straordinario, che riferisce sulla celebrazione del 25° di Sacerdozio e 10° di Episcopato di Mons. Farina con la presenza del Card. Ascalesi, Arcivescovo di Napoli nella Cattedrale di Troia.
(Viene qui riportato l’Atto di consacrazione della città di Troia a Maria).
Il tutto è stato pubblicato in Appendice al volume Mons. Fortunato M. Farina -Vescovo alla scuola di Maria” (pp.141-153).

Atto di Consacrazione della città di Troia a Maria

———————–

Vergine Immacolata, augusta Madre di Dio, Regina del Cielo e della Terra, accogliete benigna l’offerta che questa città, per mezzo di me, suo Pastore, oggi vi fa di tutta sé stessa, consacrandosi solennemente e irrevocabilmente a Voi.

Siate, adunque, in modo tutto particolare, anche la nostra Regina, la nostra onnipotente interceditrice presso il trono dell’Altissimo: siate la preservatrice della Fede e della integrità dei costumi di questo popolo, che oggi Vi acclama, pregandovi di essere suo sostegno e sua scorta verso la Patria celeste.

Vegliate, o Vergine Santissima, sul suo Pastore e su tutto il suo Clero; fate discendere su di essi, con tenerezza e sollecitudine materna, l’abbondanza di quei tesori di grazia, di cui Voi foste costituita da Dio tesoriera ed arbitra, sicché tutte le anime, confidate alle loro cure, siano per il loro ministero santificate e fatte degne del Cielo.

Impetrate a quelli che civilmente reggono questa città luce di consiglio e di sapienza, affinché in ogni loro atto, animati dalla fede, che animò i loro padri, – i quali vollero dedicato a Voi il loro maggior tempio, monumento insigne di fede e di arte, – si ispirino sempre agli eterni principii di giustizia e di amore, insegnati dal Vangelo.

Riguardate, incessantemente, con occhio di particolare predilezione tutti i suoi figli, dai più umili a quelli che furono posti più in alto, affinché, affratellati dai dolci vincoli della carità, si aiutino e amino a vicenda e, calcando le vostre orme, servano ed amino Iddio nel tempo per possederlo ed amarlo insieme con voi nella beata Eternità – Così sia.

Breve pensiero per il giornaletto dei giovani di A.C.

Breve pensiero per il giornaletto dei giovani di A.C.

6. Farina 2003 (pag. 1) – Archivio “Orizzonte di Troia”, periodico locale, via Torquato n. 2 – Troia – di Vincenzo De Sanctis (tel. 0881-977119)

* Copia di minuta autografa del S.D , scritta orizzontalmente su un foglietto, con firma autografa del SdD.

Breve pensiero per il giornaletto dei giovani di A.C. dell’Opera S. Michele di Foggia. (In occasione della festa dell’Immacolata propone un ispirato pensiero sulla devozione a Maria).

(8 Dicembre 1949)

Breve pensiero per il giornaletto dei giovani di A.C.
dell’Opera di S. Michele di Foggia.

Gesù ci ha dato la sua Madre Immacolata quale propugnacolo e pegno di vittoria: vittoria sul peccato, su le macchinazioni di Satana, su la morte eterna.

Soltanto tenendosi stretto a Maria, con costante e filiale devozione, potrà il giovane cattolico, nelle intime battaglie dello spirito e in quelle del suo apostolato, riportare sicura vittoria e avere parte un giorno al trionfo eterno con Cristo.

8 Dicembre 1949

† Fortunato M. Farina
Vescovo di Troia e Foggia

Riflessione sul mistero della Trinità

Riflessione sul mistero della Trinità

7. Scatola XI (pag. 7) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola XI – Cartella: Testimonianze varie 5 (Litanie dell’Angelo Custode).
* Minuta autografa del S.D., senza firma e senza titolo, scritta su una facciata di un foglietto.
Riflessione sul mistero della Trinità (senza data).

Riflessione sul mistero della Trinità

Dio esige l’ossequio della parte più nobile del nostro essere, l’intelligenza, inclinandoci riverenti dinanzi ai misteri che da Lui ci furono rivelati. Il mistero è una verità superiore ma non contraria alla ragione. Il mistero della S.S. Trinità per quanto da noi non si possa comprendere possiamo per altro conoscere che non è contrario alla ragione e che non implica contraddizione. Scrutari temeritas, credere pietas, nosse aeterna felicitas. Imitare Dio nell’unità e nella trinità. Il mistero non è velo che nasconde ma è spiraglio di luce a cui la nostra mente da sé non potrebbe.

Il mistero della Trinità sebbene incomprensibile non include alcuna contraddizione.

Natura, costanza ed essenza valgono teologicamente al medesimo; e l’essenza derivando da l’essere indica ciò per cui una cosa è quella che è. Persona è una sostanza individuale di natura razionale. Individuo pertanto è ciò che è indistinto in sé e si distingue dagli altri. La persona dunque in ciascuna natura è ciò che è distinto in quella natura; significa, se si parla dell’uomo, quelle carni, quell’ossa, quell’anima che sono principio individuale di ciascun uomo. La persona in Dio è una relazione sussistente nella Natura Divina: perciò quando noi diciamo che Dio è uno noi parliamo della sua essenza, quando diciamo che Dio è trino parliamo della triplice relazione che sussiste in Lui di paternità, di filiazione, di spirazione.

Piccolo metodo per l’Orazione Mentale

Piccolo metodo per l’Orazione Mentale

8. Scatola IX (pagg. 203 – 205) – Archivio della Curia Diocesana di Troia, Scatola: IX – Documentazioni (XIII)
*Fotocopia di n. 4 foglietti, autografi del S.D.senza firma.
Piccolo metodo per l’orazione mentale, compilato dal S. D. Comprende tre parti: Principio, Progresso della Meditazione, Conclusione della Meditazione.
(senza data e senza luogo)

Piccolo metodo per l’Orazione Mentale

Prima parte = Principio

Segnarsi con devozione e mettersi alla presenza di Dio, prostrarsi in ispirito innanzi a Lui ed adorarlo. Domandandogli umilmente perdono dei propri peccati e lume per fare con profitto l’orazione. Invocare l’aiuto della Madonna, dell’Angelo Custode e dei Santi. All’uopo uno può servirsi delle seguenti preghiere, recitandole posatamente, facendo ad ogni trattolino una pausa, per rendere propri i sentimenti, che le parole esprimono.

“Mio Dio, vi credo a me presente – e profondamente vi adoro. – Mi umilio ai vostri piedi e vi domando di vero cuore perdono. Mio Dio, datemi lume per amore di Gesù Cristo. Mi raccomando a Voi, SS.ma Vergine – Angelo mio Custode, Santi miei Avvocati, soccorretemi “ Ave Maria, etc….

“Eterno Padre, per le mani della Vergine SS.ma Immacolata, vi offro il Cuore Adorabile del vostro Gesù e il Sangue Suo Preziosissimo: unito ai meriti infiniti della sua vita, passione e morte. Per questo tesoro inestimabile, che vi offro, degnatevi di mandare il vostro Spirito Santificatore su di me e su tutti i miei confratelli nel sacerdozio, affinché ci purifichi, c’illumini e ci santifichi. Eterno Spirito Santo, pel Cuore Adorabile di Gesù abbiate pietà di noi”.

Veni, Sancte Spiritus, reple (cordis íntima tuórum fidélium).

Corda fidelium…ectc…

Seconda parte = Progresso della Meditazione

Rimanendo alla presenza d Dio, s’incomincia a considerare passo, passo la verità o il mistero prescelto: si può all’uopo servirsi di qualche libro. Si procurerà, mediante la considerazione, di eccitare in noi qualche buon proposito, che sia però semplice, particolare e pratico. Eccitandosi in noi degli affetti, si darà ad essi libero sfogo, si smetterà di leggere o di considerare, e invece si pregherà Iddio. Gli si esporranno i bisogni propri e quelli degli altri. Lo si ringrazierà, Lo si adorerà, Gli si domanderà perdono, aiuto, ecc… Sfogati gli affetti, si ripiglia di nuovo la lettura o considerazione, e così si procederà oltre, alternando affetti a considerazione. Non bisogna darsi pensiero di leggere tutta la meditazione, se gli affetti riempiono tutta la mezz’ora, e si sono considerati solo pochi periodi: si fa punto lì. Il fine e il frutto della meditazione sono il proposito e gli affetti.

Terza parte – Conclusione della Meditazione

Si ringrazia Iddio dei lumi ricevuti. Gli si offre la buona risoluzione presa. Gli si domanda grazia per eseguirla. All’uopo si può fare uso della seguente preghiera:

“Vi ringrazio, SS.ma Trinità, di tutti i lumi che mi avete dato, Vi offro le buone risoluzioni fatte unite col Sangue di G. C., datemi grazia di eseguirle. Mia buona Madre Maria, Angelo mio Custode, Santi miei Avvocati, pregate per me e fate che io salvi e santifichi questa povera anima insieme con le anime dei miei fratelli.” Ave Maria, etc.

si domandava la benedizione alla Madonna dicendo:

Nos cum Sponso et prole pia

Benedicat Virgo Maria

Si consiglia di avere un libretto sul quale scrivere, qualche volta nella settimana o nel mese, qualcuno dei buoni pensieri, che più ci ha colpito durante la meditazione, e più ancora qualcuno dei buoni propositi fatti, per poi rileggerli di tanto in tanto, per rinfervorirsi ed esaminarsi se si è stato fedeli ai buoni proponimenti. Questa pratica si consiglia soprattutto pel ritiro mensile e per gli esercizi annuali.

Ciò che si scrive in tale libretto è buono farlo poi leggere al proprio direttore spirituale per avere la sua approvazione circa i propositi, e quindi usufruire del merito dell’ubbidienza nell’osservarli, ed anche per fare che egli conosca il frutto che noi ricaviamo dall’orazione e lo stato dell’anima nostra.

Saluto ad un novello sacerdote

Saluto ad un novello sacerdote

Prediche – a) (pag. 1) – Archivio della Postulazione della Causa di Canonizzazione di Mons. F.M. Farina
Cartella: Documenti I (D. Domenico Ruggiero)
* Minuta autografa del S.D., scritta su piccolo foglio quadrettato, piegato in due, su due facciate.
Saluto ad un novello sacerdote (senza data)

9. Saluto ad un novello sacerdote

Ieri, quando il suono delle nostre campane festanti, e i ripetuti colpi dei mortaletti, annunziarono il tuo arrivo in mezzo a noi, un fremito di gioia corse per la mia persona: la Chiesa, alla quale ho consacrato tutti i miei acquistava in te un nuovo ministro. E anche la natura per breve ora, dopo una giornata piovosa non parve estranea a tanta gioia e il nostro cielo annuvolato, in un estremo lembo, verso oriente, apparve sereno, vivamente tinto di roseo dai raggi del sole, che declinava. Fervidamente allora pregai per te, fratello carissimo, l’Augusta Regina dei Vergini, che in modo affatto particolare, noi sacerdoti ci gloriamo d’avere per madre.

Questo che ieri formò l’oggetto della mia preghiera, t’esprimo ora come l’augurio più fervido del mio povero cuore.

L’estremo lembo del nostro cielo tinto di rubino fiammante sia simbolo delle vermiglie rose della carità ardentissima onde tu, novello sacerdote del Cristo, d’oggi innanzi infiorerai la tua vita.

Il suono delle nostre campane festanti adombri la tua voce che sarà instancabile nell’annunziare ai popoli il Verbo dell’Eterna.

E i colpi finalmente echeggiavano per queste nostre valli verdeggianti invitandone a festa, ci dicano finalmente che tu forte della possanza infinita di Dio, ne sarai, negli a venire atleta invittissimo.

Pensieri sull’Eucarestia – Comunione

Pensieri sull’Eucarestia – Comunione

Predicazione B (pag. 49) – Archivio della Curia Diocesana di Troia, Scatola VI bis. – Cartella n. 3
*Scritto autografo del S. D. su un foglietto.
Pensieri sull’Eucarestia – Comunione (Eucarestia memoriale perenne della passione di Gesù).
(senza data).

(titolo scritto da altra mano):
Pensieri sull’Eucarestia – Comunione

Gesù Salvatore ci ha dischiuso le porte del celo morendo per noi – l’Eucarestia è il memoriale perenne della sua passione. Gesù Salvatore della società – il cristianesimo trionfa del mondo pagano intorno a l’agape eucaristica. I fiori di carità e di gentilezza spuntano sui campi di battaglia per opera di Gesù.

Oh povera Europa, che compie delirante il suo suicidio, per essersi allontanata da Gesù, per aver così ostinatamente preclusa le sue orecchie alla voce del suo Vicario in terra.

Gesù nostro Duce – Nella lotta contro i nostri nemici spirituali – Lotta contro l’errore – contro il senso – Gesù duce divino della chiesa contro la prepotenza dei tiranni, contro l’errore – i dottori S. Agostino, S. Bernardo, S. Gregorio, S. Tommaso, S. Bonaventura, San Francesco di Sales, S. Alfonso – Il nostro San Gregorio.

Gesù nostro pastore – ufficio del pastore, è quello di nutrire e allevare le sue pecorelle, alimenta la nostra vita interiore – ci conforta se deboli stanchi, affranti. Gesù alimenta nella sua chiesa le opere sante, per cui essa apparisce circonfusa dell’aureola della santità.

Esame per la riforma della vita

Esame per la riforma della vita

Predicazione B (pagg. 60 – 67) – Archivio della Curia Diocesana di Troia – Scatola VI bis. – Cartella n. 4
*Scritto autografo del S. D., su 1 foglietto piegato in due, scritto su tre facciate, più 5 fogli, di cui 2 a 2 facciate:Eucarestia e Confessione; gli altri 3 scritti su una sola facciata.
Esame per la riforma della vita, da farsi nel giorno del ritiro mensile (Il S. D. fa un lungo esame di coscienza su levata, preghiere del mattino, S. Messa e altre pratiche di pietà, umiltà, Eucarestia, Preghiera, Confessione e Purità).

Esame per la riforma della vita,
da farsi nel giorno del ritiro mensile

– Levata –

Nello svegliarmi ho rivolto a Dio il mio pensiero? Mi sono segnato devotamente e ho cercato di vestirmi con modestia e con prontezza. Ho avuto cura di serbare il silenzio e il raccoglimento per dispormi a far bene le preghiere del mattino e la meditazione?

– Preghiere del mattino e meditazione –

Prima di mettermi a pregare ho radicato in me il sentimento della fede nella presenza di Dio? Ho recitato le mie preghiere posatamente e divotamente? Ho fatto l’offerta di tutte le azioni della giornata? Ho rinnovato nelle mani della Madonna i miei propositi e ho affidato alla sua materna custodia la purezza dell’anima e del corpo mio?

Ho messo tutto l’impegno a fare bene la meditazione? Nel farla ho cercato di esprimere a Dio gli affetti del mio cuore e di supplicarlo per i miei bisogni spirituali e temporali? Ho avuto cura di prendere sempre qualche risoluzione pratica per quella giornata e ho avuto poi cura di mantenerla?

-Messa ed altre pratiche di pietà –

Ho assistito con vera divozione alla S. Messa? Sono stato sempre compenetrato della sublimità e del valore inestimabile del Divin Sacrificio oppure sono stato spesso dissipato e distratto? Quando mi è toccato di servire qualche messa straordinariamente l’ho fatto con piacere e con vivo sentimento di fede e di preghiera? Ho cercato di avere cura di ritrarre per l’anima mia e per quella dei miei prossimi il più gran vantaggio da sì fatto esercizio straordinario?

Durante il giorno ho elevato di tanto in tanto il mio pensiero a Dio rinnovando l’offerta della giornata fatta al mattino ripetendo qualche orazione giaculatoria.

Ho nutrito per la Madonna sentimenti di affetto e di confidenza filiale? L’ho invocata nelle tentazioni? Ho fatto fiducioso ricorso a Lei in tutti i miei bisogni? Come ho recitato l’Angelus, il Santo Rosario e l’Ave al principio e alla fine delle mie azioni? Li ho forse recitati in fretta e per abitudine, senza affetto e senza divozione. Ho fatto mai qualche fioretto in suo onore? Il sabato ho avuto cura di onorarla con qualche particolare ossequio?

Ho avuto della S. Comunione la più grande stima e ho cercato di comunicarmi il più spesso possibile? Come ho fatto il mio apparecchio e il mio ringraziamento? Ho cercato di farli più col cuore che con le labbra, parlando a Gesù con tutta semplicità e confidenza? Mi sono mai accostato alla S. Comunione per abitudine, senza le dovute disposizioni, e con l’anima macchiata di peccato e senza la retta intenzione e con fini terreni ed umani. Ho pensato talvolta durante il giorno alla bella sorte che ho avuto di comunicarmi, e ho rivolto qualche pensiero affettuoso a Gesù in Sacramento. Come sono stato in Chiesa alla sua presenza. Quando mi è stato consentito, ho cercato di attestargli il mio amore con qualche piccola visita.

Mi sono accostato alla Confessione compenetrato dal pensiero che andava a ricevere un sacramento, oppure con leggerezza e per pura consuetudine? Ho implorato l’aiuto di Dio prima di cominciare l’apparecchio e mi sono raccomandato alla Madonna per ottenere la sua materna assistenza e la grazia di confessarmi bene. Ho fatto con accuratezza il mio esame di coscienza e ho insistito soprattutto per far bene l’atto di dolore e il proposito di emendarmi. Ho preso di mira in modo particolare quel peccato o quel difetto in cui più facilmente io cado? Apro con semplicità e schiettezza l’animo mio al confessore? Gli parlo delle mie passioni, delle mie tentazioni e delle mie cattive intenzioni per essere da lui aiutato e consigliato, ed anche ben guidato e diretto? Mi confesso sempre come se la confessione che sto per fare fosse l’ultima della mia vita. La mia coscienza mi rimorde di nulla quanto alle mie confessioni passate? Oh! di quale pace interiore godono coloro che si confessano bene.

Ho fatto con attenzione e con posatezza la lettura spirituale? Ho applicato a me stesso quello che leggevo? Prima e dopo la lettura mi sono raccomandato al Signore?

Come ho fatto le preghiere della sera? Ho fatto con cura il mio esame di coscienza? Ho proposto seriamente di emendarmi e di impiegare meglio il tempo che Iddio ancora mi avrebbe concesso. Prima di coricarmi mi sono raccomandato alla Madonna e ho implorato la sua materna benedizione. Prima di prendere sonno l’ultimo mio pensiero è stato per lei?

– Umiltà –

1 = E’ ben radicata in me la convinzione che tutto quello che in me vi ha di bene è da Dio e che di mio non ho se non le debolezze e peccati?

2= E’ vivo in me il ricordo dei peccati commessi e mi tengo per ciò in santa umiltà al cospetto di Dio e degli uomini?

3= Mi studio in tutte le mie azioni di piacere a Dio solo e non darmi pensiero del giudizio degli uomini, e di non compiere con vedute terrene ed umane?

4 = Piglio in pace e con animo docile le riprensioni dei superiori? Accetto con animo sereno e senza serbare risentimento o rancore le piccole umiliazioni che mi vengono talvolta inflitte dal prossimo. Chi è veramente umile non si offende mai, né nutre in cuore risentimento alcuno per qualsiasi motivo

5= Quando mi confesso apro con sincerità e schiettezza l’animo al mio confessore? Fo con umiltà l’accusa delle mie colpe senza scuse, senza attenuanti, esponendogli con tutta verità lo stato dell’animo mio.

Beati gli umili perché essi sono gli animi prediletti del Sacro Cuore.

– Eucarestia –

1= Ho avuto per la S. Eucarestia grande amore e divozione e grande rispetto? Ho fatto di Gesù, vivente in questo Sacramento di Amore il mio amico, il mio confidente? Sono venuto a cercare ai piedi del Santo tabernacolo il conforto nelle mie pene, l’aiuto nelle me necessità, la forza contro la mia debolezza? Ho rivolto spesso a Gesù Sacramentato il mio pensiero durante il giorno?

2= Ho tenuto il Santo Sacrificio della messa nella sua vera e giusta estimazione? In qual modo vi ho assistito ogni giorno? Andando in chiesa per assistervi ho pensato alla sublimità dell’azione, che andavo a compiere oppure sono stato dissipato e distratto.

3= Quale contegno ho serbato in sagrestia ed in chiesa nel partecipare alle sacre funzioni.

4= Mi sono sempre accostato alla S. Comunione con le dovute disposizioni? Vi sono forse andato qualche volta per fini terreni ed umani, o, peggio ancora, col peccato mortale nell’anima?

5= Come ho fatto il mio apparecchio? Ho indirizzato alla S. Comunione la mia meditazione, la S. Messa, tutte le mie pratiche di pietà, tutte le mie azioni?

6= Come ho fatto il mio ringraziamento? Sono stato silenzioso e raccolto parlando intimamente cuore a cuore con Gesù Cristo? Ho chiuso sempre il mio ringraziamento col fissare un atto di rinunzia o un fioretto da fare durante il giorno per offrirlo a Gesù Cristo come attestato del mio amore riconoscente? Ho consacrato a Gesù Cristo il giglio della S. Purità, e gli ho domandato istantemente la grazia di conservarmi puro?

7= Ho avuto cura di fare ogni giorno qualche visita a Gesù Sacramentato. Quale contegno ho serbato in queste visite? Ho parlato in esse a Gesù più col cuore che con le labbra?

8= Ho domandato alla Madonna la grazia di poter in qualche modo emulare i suoi santi ardori per la Divina Eucarestia?

– Preghiera –

1= Quale stima ho fatto della preghiera? Sono stato fermamente convinto, che senza la preghiera non mi è possibile perseverare nel bene e vivere lontano dal peccato? Dopo le mie cadute spirituali ho fatto subito serio ricorso alla preghiera per ottenere gli aiuti necessari per rialzarmi e risorgere ad una vita nuova.

2= Prima di mettermi a pregare ho avuto cura di ridestare in me la fede nella presenza di Dio, e di pormi umilmente al suo cospetto?

3= Come ho fatto le preghiere del mattino? Come l’offerta di tutte le azioni del giorno? Come ho recitato l’Ave o l’Actiones Nostras al cominciare delle principali azioni del giorno?

4= Come ho ascoltato la S. Messa? Come ho fatto il mio ringraziamento dopo la S. Comunione? Come la mia visita a Gesù Sacramentato. Durante il giorno ho innalzato spesso la mia mente a Dio e l’ho invocato secondo il bisogno, con qualche orazione giaculatoria?

5= Come ho recitato le preghiere della sera? Come ho fatto il mio esame di coscienza? Quale impegno ho avuto per recitare bene e con fervore il santo Rosario? Ho cercato di aver sempre presente la massima di S. Alfonso: “Chi prega si salva, chi non prega si danna”. Ho professato sempre stima per la preghiera?

– Confessione –

1= Prima di confessarmi ho pensato che andavo a ricevere un Sacramento e ho messo tutto l’impegno per riceverlo con le disposizioni richieste?

2= Prima dell’esame di coscienza ho insistito seriamente nella preghiera per implorare da Dio la grazia di confessarmi bene. Ho invocato i lumi dello Spirito Santo, la materna intercessione della Vergine S. S., l’assistenza del mio Angelo Custode?

3= ho fatto con accuratezza il mio esame di coscienza? Senza ansietà e senza scrupoli, ma anche senza negligenza?

4= Finito l’esame ho avuto cura di eccitare in me vero dolore delle mie colpe e fermo proposito di non più commetterle? Il dolore è la parte essenziale della confessione, e quando lo si trascura la confessione è per lo meno nulla, se non sacrilega?

5= Ho aperto con confidenza l’anima mia al Confessore riguardando in lui la persona stessa di Gesù Cristo? Ho vinto il mio naturale rossore eccitando il mio cuore a vera e profonda umiltà. Chi è veramente umile si confessa sempre bene e con profitto. La confessione è il più bello e il più profittevole esercizio di umiltà.

6= Ho prestato pronto e docile ascolto alle esortazioni e ai consigli del confessore? Ho con generosità troncate e rimosse le occasioni di peccato?

7= Subito dopo la confessione ho fatto il mio ringraziamento e ho soddisfatto alla penitenza impostami? Ho rinnovato nelle mani della S. S. Vergine i miei buoni propositi?

8= Mi sono confessato con regolarità ogni otto giorni? Mi sono avvalso della confessione come uno dei mezzi più efficaci per vivere lontano dal peccato e progredire nella via del bene?

– Purità –

1= Come ho amato e praticata la virtù della santa Purità? Ho cercato di essere delicato e generoso nella pratica di questa virtù?

2= la mattina e la sera ho rinnovato nelle mani della S. S. Vergine i miei buoni propositi e ho invocato la sua materna protezione?

3= ho frequentato con le dovute disposizioni i Santi Sacramenti per attingere da essi la forza soprannaturale di cui ho bisogno per conservarmi puro? Nella confessione sono delicato su questo punto e apro con sincerità il mio animo al Padre Spirituale, dicendogli anche delle tentazioni, che soffro, per avere così da lui lume e consiglio? Tentazione svelata e già mezza vinta e superata.

4= Quando qualche tentazione viene ad assalirmi, sono pronto nel pensare subito ad altro e nel non ammettere alcuna discussione in proposito. Le tentazioni contro la S. Purità le vince solo chi fugge.

5= Sono generoso nel fuggire qualsiasi occasione e incentivo a peccare? Nel conservare puri gli affetti del mio cuore e nel non amare disordinatamente alcuna creatura? Beati i mondi di cuore poiché essi vedranno Dio?

Breve riflessione sul Natale

Breve riflessione sul Natale

Predicazione B (pag. 3) – Archivio della Curia Diocesana di Troia, Scatola VI bis. – Cartella n. 1
*Scritto autografo del S. D. su un foglietto (una sola facciata), senza firma del S. D.
Breve riflessione sul Natale (E’ un invito ad adorare Cristo, che è nato per noi).
(senza data).

Breve riflessione sul Natale

Christus ecc. il Cristo è nato a voi, venite adoratelo: è questo l’invito secolare col quale la Chiesa chiama i suoi figli nella mistica poesia di questa notte invernale a varcare la soglia dei suoi templi e a vegliare nella preghiera, mentre Essa con tutto lo splendore del rito e la solennità della Sacra Liturgia, celebra i divini misteri. Il Cristo è nato a voi – sono circa venti secoli che sotto le volte delle vetuste e storiche basiliche al pari che nelle più umili chiesette di campagna risuonano in questa notte sul labbro dei sacerdoti tali parole – e che coi avete fatto vostre e che nel tripudio e nell’esultanza dei vostri cuori avete ora cantato insieme con noi, mentre l’effigie del santo bambino di Betlem era portata processionalmente sotto le arcate del vostro storico tempio, preceduta e circondata dagli umili pastori, ricordanti a noi gli avventurati pastori del piccolo villaggio della Giudea ove il Christus nacque.

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